Su emobility e ricarica elettrica si gioca una partita determinante per il futuro non solo della decarbonizzazione dei trasporti, ma anche per creare opportunità a una filiera, quella direttamente o meno coinvolta, che dalla mobilità elettrica può e potrebbe trarre grandi vantaggi. Solo nel mese di giugno, ha proseguito la crescita di vendite di elettriche e ibride che hanno toccato le 14.105 unità, assommandosi al parco circolante che oggi supera le 167mila unità, delle quali le auto 100% elettriche sono la prevalenza (circa 85mila veicoli).
Su mezzi e infrastrutture di ricarica si stanno sviluppando progetti e ci sono finanziamenti in prospettiva assai importanti, a partire dal PNRR. In tutto questo MOTUS-E sta lavorando già da qualche anno per riuscire a conciliare la necessità di “fare sistema” e di cogliere in pieno le potenzialità della mobilità elettrica, dalle imprese ai cittadini. D’altronde fa parte del suo Dna: infatti, è la prima associazione in Italia costituita da operatori industriali, filiera automotive, mondo accademico e movimenti di opinione per fare sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica.
Da questo mese ha un nuovo segretario generale: Francesco Naso. Lo abbiamo voluto incontrare, chiedendogli qual è oggi lo stato dell’arte e le prospettive del settore.
Ingegner Naso, quale nuovo segretario generale di Motus-E, quale sarà la cifra distintiva del suo operato, che riguarda sia emobility sia infrastrutture di ricarica elettrica?
Innanzitutto, la mia sarà un’azione in continuità con quanto fatto insieme al mio predecessore, Dino Marcozzi, con cui abbiamo costruito insieme Motus-E. Il tema su cui vorremmo spingere maggiormente è quello dell’industria e della formazione delle competenze. È un punto centrale, su cui intendiamo operare anche per sgombrare il campo da malintesi e critiche all’elettrificazione dei trasporti. Serve una riconversione industriale, sulla quale diversi Paesi si stanno muovendo da tempo, e a tale proposito stiamo spingendo per una mappatura della filiera. Siamo convinti che esistono eccellenze, in vari campi. Purtroppo, come spesso accade, non si riesce a “fare sistema”, obiettivo per cui è nata Motus-E. Vogliamo supportare questa necessità. Abbiamo già avviato contatti con ANIE, ANCMA, ANFIA per cercare di individuare gli strumenti in grado di permettere alle imprese di riconvertirsi.
A proposito di emobility e ricarica elettrica: qual è lo stato dell’arte, quali le potenzialità e i limiti?
Il quadro, tutto sommato, è positivo nel senso che se andiamo a calcolare i punti di ricarica rispetto ai veicoli non siamo messi così male. Serve certamente una certa capillarità: il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (PNIRE) è in aggiornamento, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture nei luoghi pubblici o accessibili al pubblico. Ora siamo a oltre 23mila punti di ricarica in questa condizione. Si deve crescere molto sugli high power charger e su questo il PNRR sta cercando di fornire una risposta. (In questo senso, nel Piano nazionale Ripresa e Resilienza è scritto che per raggiungere gli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione è previsto un parco circolante di circa 6 milioni di veicoli elettrici al 2030 per i quali si stima siano necessari 31.500 punti di ricarica rapida pubblici – nda). Proprio per fornire un aiuto, Motus-E sta realizzando una simulazione di piano in modo da affidarla al MiTe e fare tutto il possibile per riuscire a “metterla a terra” entro il 2026. A tale riguardo le ricariche ultra-veloce, da 100-150 kW dovrebbero abilitare l’utilizzo del veicolo elettrico anche come primo mezzo di famiglia o comunque estenderlo quale opportunità sempre più concreta per le flotte aziendali. Come ha messo in luce RSE, il 70% dei viaggi è inferiore ai 250 km, gestibili con una singola ricarica, ma il restante 30% può essere soddisfatto con una ricarica veloce o ultra-veloce, a patto di trovare un punto dove farla. In questo senso, quello che occorre fare ora è un riordino del quadro complessivo, dagli incentivi alla pianificazione con Comuni e Regioni per far sì che ci siano le condizioni per una capillarità territoriale.
A proposito di ricarica privata, oggi che situazione c’è in Italia?
La ricarica privata sta crescendo. Oggi dovrebbero essere circa 80mila i punti di e-charge privati. Secondo i nostri scenari, le domestiche e le “colonnine” aziendali costituiranno oltre il 65% delle opportunità di ricarica, in termini di erogato (kWh) nei prossimi dieci anni.
Quello che occorre in questo momento è fare cultura: oggi c’è il Superbonus 110% che comprende incentivi trainati per l’infrastruttura di ricarica domestica, c’è la normativa EPBD che obbliga in caso di ristrutturazioni importanti di predisporre infrastrutture di recharge. Per questo motivo abbiamo avviato corsi di formazione ad hoc per amministratori di condominio, cercando di fugare i dubbi nella popolazione.
Naturalmente, servono poi auto che diano senso alla crescita dell’infrastruttura. A oggi si assiste a tassi di utilizzo molto bassi. Infine, un altro punto delicato riguarda la logistica. In questo caso occorre pensare a misure complementari, perché è impensabile considerare che un furgone si possa alimentare con ricariche pubbliche. In quanto veicoli in circolazione lavorativa, con tempi stretti, richiedono punti ricarica liberi. In questo caso serve un piano della logistica integrata e uno sforzo interministeriale utile ad avviare un sistema in grado di favorire l’elettrificazione, o quantomeno la decarbonizzazione della logistica dell’ultimo miglio.
Spesso si considera la mobilità elettrica con una logica meramente sostitutiva delle automobili oggi circolanti e non di riduzione del parco auto. Qual è il suo giudizio in merito?
Questo è un punto importante. Spesso si prendono in considerazione i 39 milioni di veicoli circolanti come fossero una quota da sostituire tout court. È una concezione sbagliata. Gli stessi OEM del mondo automobilistico si sono resi conto che si sta andando verso un concetto di “servitizzazione della mobilità” (Mobility as a service) perché consapevoli che proprio le giovani generazioni non richiedono un mezzo di proprietà. L’idea è sfruttare maggiormente l’impiego dei mezzi già esistenti diminuendo la quota di immatricolati. Occorre quindi pensare di arrivare a una diminuzione di 4/5 milioni di unità da qui al 2030 – come già visto nei nostri scenari – mediante politiche mirate. Inoltre va considerato lo spazio urbano da recuperare, in favore dei cittadini. In questo senso, occorre puntare a favorire la sharing mobility, l’impiego della mobilità dolce, gli spostamenti mediante trasporto pubblico locale. Siamo convinti che l’elettrificazione sia parte integrante dei tre pilastri della visione del trasporto sostenibile e decarbonizzato: Avoid-Shift-Improve. A questo proposito si deve puntare a: evitare (Avoid) gli spostamenti “inutili” e per questo smart working e telelavoro avranno un ruolo importante; supportare forme di mobilità diverse, collettive, condivise (Shift); e migliorare (Improve) l’efficienza dei mezzi di trasporto. In quest’ultimo senso, l’elettrificazione costituisce un elemento fondamentale.
Andrea Ballocchi