Blogger, influencer, social, chef televisivi e multinazionali inquinano l'informazione agroalimentare ed enogastronomica
Ormai parlare di cibo è diventata un’arte nazionale, quasi un’ossessione. «L’attenzione è spasmodica. Tutti vogliono raccontarlo. Nella maggior parte dei casi, però, in maniera superficiale argomentando e dimenticando di fornire le indicazioni principali: chi lo produce, quali sono le caratteristiche nutritive», ragiona Carlo Bogliotti, direttore editoriale di Slow Food Editore. Spesso a mancare sono le informazioni necessarie al consumatore per scegliere con criterio un alimento anziché un altro, o premiare un produttore per la qualità della sua produzione. Come si racconta correttamente il cibo? Come possono i piccoli produttori far parlare di loro senza farsi schiacciare dal marketing delle multinazionali? Sono due delle domande alle quali, nel corso di Terra Madre Salone del Gusto 2016 si è cercato di rispondere nel convegno dedicato alla “Gastronomedia“.
CONSUMATORE AL CENTRO – Per le aziende di nicchia, quelle che si concentrano sulla qualità è importante parlare direttamente al consumatore, per farlo diventare, secondo una visione lanciata dal movimento di Carlo Petrini, un “co-produttore”. «Avere un filo diretto con il consumatore è stato fondamentale per un’azienda come la nostra – afferma il patron del pastificio Di Martino -. Abbiamo dovuto trovare vie più intelligenti e meno costose e lo storytelling, anche se è un concetto abusato, è stato importante per parlare di noi all’estero dove dobbiamo sempre partire da zero per spiegare innanzitutto cos’è la pasta, cos’è Gragnano». Se all’estero non conoscono la pasta, in Italia c’è una scarsa consapevolezza del lavoro delle piccole aziende agricole che, faticosamente, cercano di farsi strada in un mercato globalizzato. «Ritengo che sia importante non separate il prodotto dal territorio – osserva Francesca Valente, produttrice nell’entroterra abruzzese di uva montonico, varietà che è presìdio Slow Food -. Il nostro progetto è il recupero del vitigno e dell’artigianalità ed è importante raccontare la storia del prodotto e dei contadini resilienti che hanno conservato nel tempo le tradizioni. È un modo per dare un giusto valore al lavoro ed evitare che le grandi aziende ne approfittino cercando di strappare queste piccole gemme defraudando i contadini del loro lavoro».
LE STORTURE DELLA COMUNICAZIONE – Purtroppo, soprattutto nel mondo della comunicazione del cibo, le storture sono tantissime anche per colpa del gran parlare che si fa, dalla televisione al web, di prodotti, di cibo e di tutto ciò che gli ruota intorno con gli chef in primo piano. «In Italia su sport e cibo tutti si considerano esperti e questa attenzione mette molta pressione – riflette Ivan Milani, chef del “Piano 35” di Torino -. Anche se le guide sono sempre esistite, oggi a far cambiare le cose è la rapidità con cui i contenuti si diffondono, capita che un piatto è su Instagram 25 secondi dopo essere uscito dalla cucina». Tutto il chiacchiericcio di blogger e influencer per i quali tutto è sempre mirabolante, siti più o meno scientificamente attendibili che s’affidano a comunicati stampa pubblicati senza approfondimento, non è funzionale a chi ha necessità di far conoscere la propria piccola produzione. Qual è il modo migliore per farlo? «Il rigore premia sempre, andare al cuore delle storie aiuta – conclude Fernanda Roggero, caporedattrice di Food24 del Sole24ore -. I pezzi più letti, però, rimangono quelli di servizio». Perché più delle chiacchiere servono informazioni, soprattutto in chiave alimentare.