Dai campi, accanto ai quali sorge il locale di famiglia, arriva il grano per la farina degli impasti, molita in un mulino artigianale a vista
Undici ettari coltivati a grano e farro monococco a Vada, una piccola frazione di Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno, a due passi dal mare. Un piccolo molino a vista dove il grano coltivato diventa farina. Un uliveto di 2000 piante le cui olive, dopo la molitura, diventano olio extra vergine di olio. Dietro queste due coltivazioni c’è Antonio Polzella, un pizzaiolo-coltivatore o, forse, un coltivatore-pizzaiolo. Che, poi, è la stessa cosa perché cambiando l’ordine dei fattori nulla cambia.
Polzella, classe 73, è un vulcano, un entusiasta, un pizzaiolo che interpreta nel suo personalissimo modo il chilometro zero. Le pizze che mette in tavola a La Ventola, infatti, sono la combinazione perfetta tra il frutto dei suoi campi, la scelta delle migliori materie prime e un lavoro costante che gli ha permesso di conquistare premi ed essere citato nelle migliori guide di settore.
«All’origine di tutto – racconta Antonio – c’è la terra dove, adesso, sorge anche La Ventola, l’hotel residence che è anche ristorante e pizzeria. Papà prese la terra in mezzadria quando dal Molise si trasferì in Toscana». Nel tempo i Polzella puntarono sull’ospitalità e quella terra era stata trascurata. A metterla al centro del suo progetto è stato, anni dopo, proprio Antonio che ha messo a frutto anche gli insegnamenti di nonna Maria, che a Benevento, paese d’origine del ramo materno di Antonio, sin da giovane impastava acqua e farina.
«Oggi coltivo farro monococco e tre tipi di grani antichi: il Senatore Cappelli e due originari di questa zona, il Gentil Rosso e il Verna. Inizialmente non mi occupavo della molitura del raccolto, poi ho deciso che volevo fare tutto da me e ho sistemato un piccolo molino all’ingresso della pizzeria così posso occuparmi di tutto il processo», continua Polzella che prepara le sue pizze, tutte frutto di studi approfonditi, con le farine di tipo 1, 2 e integrale dei suoi campi che miscela con mais corvino e farina Petra evolutiva. Tutte, però, sono il frutto del lievito madre di cui il pizzaiolo si prende cura personalmente tutti i giorni.
E, come del lievito, si prende cura anche dei clienti celiaci e diabetici. Ai primi ha dedicato una “stanza” di lievitazione, un impasto di cui si cura mamma Polzella e un forno che gli ha fatto guadagnare la certificazione Aic. Per i secondi, invece, ha pensato una pizza a basso tenore di glicidi e indice glicemico. E non mancano gli impasti senza lievito, ottenuto per idrolisi degli amidi, ovvero attraverso la fermentazione spontanea.
Tutti gli altri, invece, possono scegliere tra quelle inserite in una carta in continua evoluzione che affonda le radici nella tradizione, «che – sottolinea il maestro pizzaiolo – non deve essere mai dimenticata». Al filone tradizionale è da ascrivere il Ciaccino, una focaccia senese rivisitata anche secondo le tradizioni livornesi in un personalissimo 5&5. «Una torta di ceci – illustra concludendo – con farina macinata a pietra della Garfagnana, burrata Val di Cecina, melanzane grigliate condite con olio extra vergine d’oliva marinato con aglio e peperoncino».