La squadra italiana non entra nella top ten e viene penalizzata perchè opta per una scelta sostenibile e realizza il suo vassoio con gli scarti della preparazione del piatto precedente
La sostenibilità paga. O meglio dovrebbe pagare. Così c’insegna chi fa delle buone pratiche, dell’economia circolare e del riciclo una filosofia di vita. Ci sono, però, ambiti nei quali la visione green del mondo fa ancora fatica a emergere. Uno di questi è il Bocuse d’Or, prestigiosa competizione internazionale biennale di alta cucina per nazioni ideata nel 1987 da Paul Bocuse. Nonostante la svolta green e sostenibile che il Bocuse d’Or ha cominciato a percorrere sin dalla scorsa edizione quando lo chef francese, scomparso lo scorso gennaio, ha inserito tra le prove un piatto completamente vegetale (quest’anno bastava il 50%), l’Italia è stata penalizzata nella finale europea, svoltasi in Italia all’Oval del Lingotto di Torino lo scorso 10 e 11 giugno, proprio a causa della sua scelta orientata alla sostenibilità.
La squadra italiana, capitanata dallo chef pugliese Martino Ruggieri di stanza a Parigi come chef adjunt al Pavillion Ledoyen di Yannick Alleno, non è stata premiata per l’interpretazione innovativa, sostenibile e antispreco del «plateau», la cui preparazione è stata la seconda delle due prove alla quale le squadre erano chiamate. Con un’audacia visionaria, il concorrente di Martina Franca insieme alla sua squadra – con il beneplacito del tristellato Enrico Crippa, presidente dell’Accademia Bocuse d’Or Italia e del Bocuse D’Or Europe 2018 e di Yannick Alléno con cui lavora in quel di Parigi – non ha puntato sugli argenti e sui cristalli prediletti da tutte le altre squadre per la presentazione. Per comporre il vassoio italiano, infatti, lo chef ha utilizzato il materiale scartato dalla prova precedente (una dedica alla sua Puglia e alla colazione dei contadini con un piatto a base di uovo, formaggio ed erbe spontanee) che, invece, di finire nella spazzatura è stato valorizzato. Così le verdure bruciate ed essiccate e le lische di pesce sono diventate la base per gli ingredienti del plateau nel quale, al centro, troneggiava una ceramica di Albissola: un polpo azzurro che con i suoi tentacoli voleva rappresentare la metafora dell’Italia di oggi. Si è trattato di una vera rivoluzione della filosofia dell’approccio alla composizione del vassoio.
Quest’interpretazione sostenibile ha fatto scivolare la squadra italiana di Ruggieri al di fuori dell’agognata top ten. «Un rischio che abbiamo voluto correre», ha ammesso amaramente a gara conclusa Crippa. Questo non impedirà alla formazione italiana di andare, il 29 e 30 gennaio 2019, alla finale del Bocuse d’Or in programma a Lione.
Il cuoco di Martina Franca, infatti, pur non riuscendo a entrare nella golden list dei primi dieci che dava l’accesso diretto all’ultimo atto dell’Olimpiade degli chef, ci andrà con una wild card. Per la cronaca il primo posto è andato al norvegese Christian Andrè Pettersen che, come tutti gli altri concorrenti, ha preparato il suo vassoio con l’uso obbligatorio di ingredienti locali piemontesi quali il filetto di fassona piemontese, animelle di vitello, il riso S. Andrea di Baraggia biellese e vercellese, senza allontanarsi dal rigore della presentazione formale e senza alcun pensiero sostenibile.