Wise Society : Amnesty fotografa un mondo pericoloso e inospitale per i rifugiati

Amnesty fotografa un mondo pericoloso e inospitale per i rifugiati

di Francesca Tozzi
6 Giugno 2013

Il 2012 è stato un anno difficile per i diritti umani, calpestati in troppe aree del pianeta, Italia compresa. I profughi in fuga da conflitti alimentati dalle nostre armi e i migranti in cerca di nuove opportunità riempiono i campi d'accoglienza o vengono bloccati alle frontiere mentre la comunità internazionale sta a guardare. L'ultimo rapporto di Amnesty International mostra che c'è ancora molto da fare sulla strada della civiltà

Rifugiati e migranti vivono una situazione di instabilità e pericolo in varie, troppe zone del pianeta. Zone calde, spesso destinate a conquistarsi le prime pagine dei giornali per qualche giorno prima di tornare nel dimenticatoio. Dalla Siria all’Afghanistan, dalla Corea del Nord a molti Paesi africani. Non sempre i rifugiati riescono a ricevere asilo e assistenza. Non sempre riescono a integrarsi in tessuti sociali resi già instabili dai conflitti politici, dalle guerre di religione o anche solo dalla crisi economica.

Alla base di tutto c’è una sola causa: la comunità internazionale non sta facendo abbastanza per garantire il rispetto dei diritti umani. È questo il messaggio diffuso da Amnesty International in occasione del lancio dell’edizione italiana del Rapporto annuale 2013 (Fandango Libri), rapporto che descrive la situazione dei diritti umani in 159 Paesi e territori nel periodo tra gennaio e dicembre 2012. L’assenza di soluzioni efficaci per fermare i conflitti, alcuni dei quali si trascinano da decenni, sta creando una sottoclasse globale. I diritti di milioni di persone in fuga dalle guerre o in cerca di lavoro sono stati violati da governi che hanno mostrato di essere interessati più alla protezione delle frontiere nazionali che a quella dei loro cittadini o di chi quelle frontiere oltrepassava chiedendo un riparo o migliori opportunità.

Nel 2012 c’è stata un’escalation di violenze che ha spinto alla fuga numerose persone, dalla Corea del Nord al Mali, dalla Repubblica Democratica del Congo al Sudan, profughi costretti a cercare riparo all’interno dei loro stati, ma spesso oltrefrontiera.

Siria, ulteriore prova dell’inefficienza dell’Onu

Un altro anno è andato perso per la popolazione della Siria, dove poco o nulla è cambiato se non il sempre più alto numero delle vite perse o distrutte. Milioni di siriani sono stati costretti a fuggire dal conflitto. La situazione dei campi d’accoglienza in Giordania è da mesi insostenibile, in Libano nemmeno esistono. Il mondo cosiddetto civile, le sedicenti democrazie occidentali sono state a guardare mentre le forze armate e di sicurezza di Damasco continuavano a compiere attacchi indiscriminati e mirati contro i civili e a sottoporre a sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni extragiudiziarie i sospetti oppositori. La tesi che i diritti umani sarebbero “una questione interna” ha congelato ogni azione internazionale. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, cui è affidata la sicurezza globale e la leadership nella gestione delle emergenze umanitarie, ha ancora una volta mostrato di non saper svolgere un’azione politica unitaria e concertata. «Il rispetto per la sovranità degli Stati non può essere usato come scusa per non agire – ha dichiarato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia – Il Consiglio di sicurezza deve adoperarsi per fermare gli abusi che distruggono le vite umane e costringono le persone a lasciare le loro case. Deve farlo, rigettando la teoria, ormai logora e moralmente corrotta, che gli omicidi di massa, la tortura e le morti per fame non devono riguardare nessun altro Stato. In un mondo privato di frontiere dai moderni strumenti di comunicazione è sempre più difficile tenere le violazioni nascoste dentro i confini nazionali: questo offre a tutti un’opportunità senza precedenti di agire per i diritti di milioni di persone sradicate dalle loro case». L’opinione pubblica si deve mobilitare facendo le dovute pressioni dal basso.

Chi ha cercato, nel corso del 2012, di fuggire da conflitti e persecuzioni attraversando i confini internazionali ha trovato di fronte a sé diversi ostacoli. È stato più difficile per i rifugiati varcare le frontiere in uscita che per i flussi di armamenti varcarle in entrata. Tuttavia, l’adozione nell’aprile 2013 di un Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi ha fatto nascere la speranza che le forniture di armi destinate ad alimentare atroci guerre civili saranno fermate. Nello stesso tempo, però, l’Unione europea ha posto in essere misure di controllo alle frontiere che non garantiscono la sicurezza delle persone che fuggono da conflitti e persecuzioni. In varie parti del mondo migranti e richiedenti asilo finiscono regolarmente nei centri di detenzione e persino in container per la navigazione o gabbie metalliche. I diritti di un’ampia parte dei 214 milioni di migranti non sono stati protetti né dai loro governi né dagli Stati in cui si sono trasferiti.

Tanti crimini e qualche passo avanti

Nel corso del 2012 Amnesty International ha documentato specifiche restrizioni alla libertà d’espressione in almeno 101 Paesi, torture e maltrattamenti in almeno 112 Paesi. Militari e gruppi armati hanno commesso stupri in Ciad, Mali e Repubblica Democratica del Congo. I talebani in Afghanistan e Pakistan hanno ucciso donne e ragazze. In paesi quali Cile, El Salvador, Nicaragua e Repubblica Dominicana, a donne e ragazze rimaste incinte a seguito di stupro o la cui gravidanza poneva a rischio la loro salute o la loro vita è stato negato l’accesso ai servizi sanitari. In tutta l’Africa, il continente delle guerre dimenticate, le violazioni dei diritti umani da parte di forze di sicurezza e gruppi armati hanno messo in evidenza la debolezza degli strumenti regionali e internazionali per la difesa degli stessi.

Nelle Americhe, i procedimenti legali, spesso lunghi e complessi, svolti in Argentina, Brasile, Guatemala e Uruguay hanno fatto fare importanti passi avanti alla giustizia nei confronti delle violazioni del passato ma il sistema interamericano di protezione dei diritti umani è stato criticato da diversi governi.

In Asia la libertà d’espressione è stata repressa in Cambogia, India, Maldive e Sri Lanka e i conflitti armati hanno danneggiato la vita di decine di migliaia di persone in Afghanistan, Myanmar, Pakistan e Thailandia. Il governo di Myanmar ha rilasciato centinaia di prigionieri politici ma altrettanti rimangono ancora in carcere.

In Europa e Asia Centrale i governi hanno potuto ancora sottrarsi alle responsabilità per i crimini commessi nel continente europeo nel contesto del programma di “extraordinary rendition” degli Stati Uniti (strategie di contrasto al terrorismo, ndr). Nei Balcani le possibilità di ottenere giustizia per i crimini commessi durante le guerre degli anni Novanta si sono allontanate. Qualcosa si è mosso nella giusta direzione. Le elezioni in Georgia sono state un raro esempio di transizione democratica in un’area, quella delle ex repubbliche sovietiche, in cui regimi autoritari hanno mantenuto la loro presa sul potere. In Africa del Nord, nei Paesi che hanno visto la fine dei regimi autocratici, si è assistito a un aumento della libertà d’informazione e a crescenti opportunità per la società civile ma la primavera araba è stata oscurata da attacchi alla libertà d’espressione per motivi legati alla morale e alla religione; attivisti politici e per i diritti umani hanno continuato a subire la repressione, tra cui arresti e torture. Nel mese di novembre il conflitto israeliano-palestinese ha conosciuto una nuova escalation.

A livello globale, la pena di morte ha continuato la sua ritirata nonostante alcuni passi indietro come le prime esecuzioni in Gambia dopo quasi 30 anni e la prima impiccagione di una donna in Giappone dopo 15 anni. Nel 2012 “solo” 21 Paesi hanno eseguito condanne a morte. Ormai più di due terzi dei Paesi del mondo sono abolizionisti per legge o nella pratica.

La situazione in Italia

Durante la presentazione del Rapporto annuale 2013, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha commentato il capitolo relativo al nostro Paese: «Anche quest’anno – ha dichiarato – riporta una progressiva erosione dei diritti umani, ritardi e vuoti legislativi non colmati, violazioni gravi e costanti se non in peggioramento. Una situazione con molte ombre: in primis l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne ( nel 2012 sono stati registrati circa 122 casi), poi gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello Stato o sono stati torturati o maltrattati in custodia; non dimentichiamo, infine, la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è diverso dalla maggioranza per colore della pelle o origine etnica».

La consapevolezza della necessità di un cambiamento ha spinto Amnesty International a lanciare, all’inizio del 2013, un vero e proprio pacchetto di riforme, l’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, documento che è stato proposto ai leader delle coalizioni in corsa per le elezioni politiche e a tutti i candidati. «Vi hanno aderito i leader di quattro formazioni politiche che compongono l’attuale governo (Berlusconi, Bersani, Monti e Pannella) così come 117 attuali deputati e senatori – ha continuato – è stato un risultato importante, ma ora è arrivato il momento di mantenere le promesse: ci aspettiamo che coloro che hanno firmato l’Agenda, in tutto o in parte, tengano fede agli impegni specifici presi con Amnesty International». É necessario anche in Italia fare riforme serie nel campo dei diritti umani, senza procrastinare e trovare scuse. «Non regge l’alibi della crisi, ammesso che considerazioni economiche possano valere a fronte della necessità di proteggere valori fondamentali. Anche le violazioni dei diritti umani costano, e spesso più della loro tutela. Né rappresenta un’obiezione valida la presunta limitazione dell’agenda del governo. Il parlamento è stato eletto e il governo è in carica: entrambi sono tenuti a svolgere le rispettive funzioni nell’interesse generale e a garantire l’attuazione delle convenzioni internazionali che il nostro Paese si è impegnato a rispettare» ha concluso Marchesi. Il Rapporto annuale 2013 è interamente online sul sito di Amnesty International dove è anche possibile vedere un video che racconta il dramma dei rifugiati e delle vittime di guerra.

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