Secondo l’esperta di bioarchitettura bisogna promuovere un’architettura che sia connessa all’ecologia e fare come si è fatto a Onna, paese distrutto dal terremoto.
«Credo che ognuno di noi abbia una profonda nostalgia di un contesto urbano che torni a essere integro. Mi riferisco alle periferie, agli scempi che ci circondano e questa profonda nostalgia è una delle molle che riaccende in noi il desiderio di case in cui ci si senta a proprio agio. Questo desiderio va collegato all’esigenza di risparmiare risorse e di rendere efficiente il patrimonio edilizio esistente. L’attenzione a tecnologie e a materiali naturali, sani, giusti e sicuri e al risparmio energetico si dà per scontato». Ad affermarlo è Wittfrida Mitterer, altoatesina, autentica esperta in materia di bioarchitettura e docente di rigenerazione urbana alla facoltà di Architettura dell’Università statale di Innsbruck. Wisesociety.it l’ha intervistata per capire in che modo architettura ed ecologia possono andare a braccetto.
Cos’è la bioarchitettura e che ruolo ha il bioarchitetto?
Bioarchitettura ha a che fare con la città, come insieme di elementi in cui si intrecciano connessioni che sono radicate dentro di noi, in una serie di relazioni che scandiscono la geografia dei luoghi in cui abitiamo. La bioarchitettura non deve essere stravolgente, strabiliante, avulsa, ma deve avere a che fare con un contesto normale, quotidiano. In tutto questo il bioarchitetto deve orientare la committenza a essere “più avanti”, puntando a concetti quali la biocompatibilità e l’ecosostenibilità, che l’architetto tradizionale non prende sempre in considerazione».
Quanto è importante il ruolo della comunicazione e come va comunicata l’idea di bioarchitettura?
L’auspicio è che un domani all’architettura non serva più il prefisso “bio” per smarcarsi da quello che oggi è la concezione tradizionale. Ciò che occorre è la nascita prima di tutto di un’attenzione all’affettività: una bella architettura non è un insieme di tante belle architetture ma la qualità complessiva nel loro insieme, un luogo in cui l’individuo abbia piacere a mettere le radici. La casa è un immobile (non-mobile) e allora va pensata con le radici, nella storia e nella geografia. L’edificio non va costruito come un oggetto di design che tiene conto unicamente della forma e della funzione: ciò, può andar bene a un oggetto (mobile) che può essere spostato da un luogo a un altro indifferentemente. Una casa fa parte di un organismo e va valutata dal punto di vista della qualità di questo organismo, in modo olistico.
Ci può fare un esempio?
Pensiamo a un americano che giunge in un piccolo borgo della campagna toscana, con le case con le crepe, le finestre rotte, i vicoli con le buche: rimarrà colpito, commosso da quel luogo. E questo comprova che la “bella architettura” uno la vive anche se non vi appartiene, risiedendo in un contesto completamente diverso. È la qualità delle relazioni tra i singoli manufatti e lo spazio pubblico che attraggono. Perché la dove c’è relazione, c’è nesso e dove c’è nesso c’è significato. Questo vuol dire che un luogo che per noi significa qualcosa, ci permette di mettere le radici, di sentirsi a casa. Bioarchitettura è quando un luogo consente una facilità di antropizzazione, dove le persone hanno piacere di fermarsi, di chiacchierare, di sostare. A che cosa serve una bella piazza, tutta progettata con arredi urbani, strade perfette dritte, se nessuno si ferma e la vive?
Nel fare formazione e informazione quali sono i concetti chiave e quali sono gli aspetti da divulgare a chi si sta formando come architetto?
La Fondazione italiana per la Bioarchitettura, che presiedo, ha lanciato una campagna di alfabetizzazione all’ecologia e alla qualità dell’architettura, promossa dalla Provincia di Firenze. Tre gli obiettivi: avviare un processo di alfabetizzazione all’ecologia ed alla qualità dell’architettura allo scopo di sensibilizzare i cittadini, in particolare i giovani, alla qualità degli ambienti di vita; coinvolgere attivamente gli utenti finali, i committenti e gli operatori, vero presupposto per la formazione di tecnici consapevoli, predisposti correttamente verso la cultura della sostenibilità e della biocompatibilità; istituire un tavolo tecnico in cui sono rappresentate anche le istituzioni, teso a legare ecologia e qualità dell’architettura perché la qualità degli ambienti di vita risiede innanzitutto nelle logiche di relazione.
Occorre tornare al significato dell’ecologia, quello originario creato dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866: la scienza che studia le relazioni tra gli organismi viventi e il loro ambiente. Tutto è connesso.
Lei è stata nominata dalla Germania a coordinare il masterplan per la ricostruzione di Onna (L’Aquila), paese totalmente distrutto dopo il terremoto in Abruzzo del 2009. Da quali presupposti nasce il progetto e oggi a che punto è la ricostruzione?
Tutto è partito dalla volontà della Germania di avviare questo masterplan che prevede la ricostruzione del paese, che sorgerà sull’impianto del vecchio centro storico, nella fedeltà e nella riproposizione delle linee architettoniche e urbanistiche. Ma seguendo i più moderni criteri di sicurezza antisismica e di bioarchitettura. Una ricostruzione partecipata dall’intera popolazione. L’anno scorso è stato inaugurato “Progetto Onna InfoBox” un luogo della memoria, d’incontro, confronto e documentazione di cosa è stato e di cosa potrà essere; si sta lavorando al cantiere della chiesa cittadina e altro è sorto. L’obiettivo di questo progetto è sì ricostruire, ma anche promuovere la ripresa socio-economica del territorio di riferimento.