Da secoli le persone, per paura, si rifugiano nelle certezze. Un male oggi sempre più radicato che allontana dalla pace. Perché le persone non sanno mettersi più in ascolto dell'altro
I suoi genitori, dopo essere stati costretti, come molti altri ebrei, a fuggire a causa delle persecuzioni in Siria, il paese dove vivevano, si trasferirono a Milano. Ed è qui che Andrée Ruth Shammah è diventata, attraverso il Teatro Franco Parenti di cui è a capo, le sue magnifiche regie e le sue profonde riflessioni sulla cultura dalla quale proviene, un punto di riferimento per il mondo culturale non solo meneghino ma anche italiano. E proprio di Italia e futuro dice…
Signora Shammah, se dico Italia e cultura cosa le viene in mente?
Che l’Italia sia un Paese che non ha pari nel mondo in quanto a creatività, arte e bellezza, è noto. Ma ha bisogno di essere più rispettata, amata e difesa da noi italiani per primi, perché spesso a non credere a questo dato di fatto siamo proprio noi.
Forse anche perché a volte la cultura viene percepita come troppo impegnativa e poco divertente. È lo stesso anche per il teatro, che magari allontana i giovani?
Non penso. Molte compagnie di giovani vengono ogni anno a lavorare su molti palcoscenici delle nostre città e magari noi neppure lo sappiamo: li percepiamo, però, perchè il teatro è una forma d’espressione che raccoglie molto i giovani. Qui, nel nostro teatro, ho sempre cercato di dare delle opportunità a tutti i giovani che mi sono passati vicino, perché un giovane può essere uno stupido o una persona straordinaria allo stesso modo in cui può esserlo una persona matura. Detto ciò, credo che il teatro sia molto importante per le nuove generazioni e bisognerebbe capire perché un ragazzo, dopo la fase in cui si frequenta il teatro con la scuola (attività che in genere viene percepita come un dovere e una fatica) preferisca andare agli happy hour piuttosto che a vedere uno spettacolo teatrale.
Lei che risposta si è data?
Nessuna di preciso. Ma una cosa che ho notato è che se si porta il teatro fuori dai luoghi canonici i giovani vengono a vederlo. Se si propone lo stesso spettacolo non in uno spazio tradizionale ma in un altro posto il giovane si sente di sceglierlo perché evidentemente nell’educazione tradizionale il teatro è stato sempre mostrato come qualcosa di non vitale e di noioso. Questo vuol dire che, al di là dell’oggetto, anche come comunichi il teatro, il modo quindi in cui lo proponi, può avvicinare o no le giovani generazioni. E in tal senso stiamo, per esempio, lavoriamo moltissimo come Teatro Franco Parenti sui social network e sull’online.
Secondo lei se ci fossero più donne nei ruoli chiave della cultura, ma anche dell’economia e della politica, vivremmo in un mondo migliore?
Non ne ho alcun dubbio perché le caratteristiche di pazienza, dedizione e intuizione delle donne sono fuori discussione. Nei ruoli chiave del teatro ci sono, per esempio, moltissime donne e qui al Parenti siamo quasi un matriarcato. A esser sincera mi sono sempre chiesta cos’è che ancora impedisce alle donne di ricoprire ruoli di primo piano all’interno della società anche perché si è ormai capito che non mancano loro le capacità. D’altra parte credo che i maschi oggi non ci siano quasi più anche a causa di noi donne. Li abbiamo messi molto in difficoltà, non quando abbiamo fatto le donne ma quando abbiamo deciso di fare gli uomini per essere accettate, tradendo in questo modo la nostra femminilità. Credo, però, che oggi si stia capendo che non c’è bisogno di usare gli stessi mezzi dell’altro sesso ma bisogna, invece, rivendicare proprio il nostro modo di essere e di fare le cose.
Perché, secondo lei che è nata da genitori ebrei fuggiti dalla Siria, la pace fra Israele e Gaza e in moltissimi altri angoli del Pianeta, è ancora tanto lontana?
Perché credo che il mondo non sia ancora uscito dalla Shoah e rimanga intrappolato nella logica del bene e il male, dei buoni e dei cattivi, delle vittime e dei carnefici. Noi uomini siamo tutti uguali e l’unica cosa che non si dovrebbe accettare mai è che un uomo possa sopraffarne un altro. Se si partisse da questo la Shoah e tutti gli altri drammi non esisterebbero. Non ha importanza chi ha ragione e chi ha torto ma l’errore è pensare che uno debba aver ragione, per forza, sull’altro. Questa sopraffazione mi sembra che, non solo non sia finita, ma stia addirittura aumentando. Nel mondo non esiste una verità assoluta ed è bene sempre mettere in discussione le proprie posizioni piuttosto che arroccarsi su certezze che ci costruiamo per sfuggire alle nostre paure. È, infatti, sempre la paura che spinge gli uomini a tratteggiare la realtà in modo netto: bianco o nero. Sappiamo che i nazisti erano uomini colti, ascoltavano la musica più sublime e guardavano il teatro più bello, eppure questo non gli ha impedito di perpetrare l’orrore, proprio perché si erano arroccati sulle loro false certezze. Allora verrebbe da dire che la vera cultura non è forse aver letto i grandi libri o aver ascoltato musica, ma è stare in mezzo agli uomini e ascoltare l’altro. Solo il mettersi in ascolto l’uno dell’altro ci permetterà forse di cambiare veramente. E in questo penso che il teatro sia uno dei pochi luoghi dove ancora ci si parla e si ascolta liberamente.