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«Il talento è dentro ognuno di noi: va però cercato o sbloccato»

di Andrea Ballocchi
1 Febbraio 2017

Daniele Popolizio, mental coach di tanti fuoriclasse dello sport, spiega il suo metodo e insegna cosa serve a tutti per comprendere e valorizzare le proprie potenzialità

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Lo straordinario talento di Federica Pellegrini è emerso anche grazie al lavoro del mental coach Daniele Popolizio, Foto: Michiel Jelijs/Flickr

Cos’è il talento? Intellettuali e scienziati da sempre hanno cercato di darne un’interpretazione. C’è chi invece studia il modo di farlo emergere e di evidenziarlo in tutta la sua purezza. A partire da coloro che, nello sport, hanno già dato prova di averne. Qualche nome? Federica Pellegrini, Carolina Kostner, Hernan Crespo. Queste tre stelle rispettivamente di nuoto, pattinaggio, calcio sono stati o lo sono tuttora assistiti da Daniele Popolizio, psicologo psicoterapeuta, responsabile del progetto Sport per l’UE e, nel recente passato, docente di Psicologia dello sport presso l’Università Europea di Roma. Ma decisamente conosciuto con la qualifica di mental coach: a lui si deve la strutturazione di questa figura professionale ed è lui il fondatore ufficiale riconosciuto del mental coaching a livello italiano ed europeo.

Grazie a un lavoro di ricerca teorico e applicato ai migliori talenti dello sport, è giunto a dimostrare l’esistenza di numerosi meccanismi mentali legati alla performance e allo sviluppo/affermazione del talento individuale. Da qui ha sperimentato e messo a punto la “tecnica dell’imbuto”, finalizzata allo sviluppo del talento. «Si parte da un approccio globale alle qualità della persona per creare un profilo del talento individuale completo e per esprimerlo e svilupparlo, rimuovendo tutti i meccanismi personali che lo “imbrigliano” – spiega l’esperto. I livelli di affiancamento variano a seconda delle esigenze e dell’obiettivo che si prefigura l’assistito, ed è pensata con delle fasi di carico e di scarico dello stress, utilizzandolo anche in maniera propulsiva, a proprio vantaggio, e non solo un’insidia da cui difendersi». Il metodo di lavoro è finalizzato a sbloccare determinati circuiti che ognuno possiede e che innescano un determinato tipo di risposte.

Ci può descrivere i tratti comuni e diversificati del suo lavoro?

Innanzitutto abbiamo predisposto quattro livelli di preparazione, divisi in fascia d’età e di livello dell’atleta raggiunto o che vuole raggiungere, dall’emergente al campione affermato. Quello che cambia è anche il livello d’intensità con cui ci si prepara perché entrano in gioco anche pressioni e responsabilità diverse. A ciò si aggiungono differenze di genere e di disciplina sportiva. Per sintetizzare, il metodo risponde al 40% a un denominatore comune, il restante è mirato alle esigenze peculiari di ogni assistito.

Ci può fare qualche esempio di lavoro svolto da un atleta da lei seguito?

Penso a Mattia Perin, portiere del Genoa, che sta facendo un lavoro che contempla anche la psicologia della visione, basata sull’interpretazione di determinati eventi considerandone l’aspetto positivo e valutandolo in ogni aspetto. Gli è stato utile quando si è infortunato in modo grave: da subito ha reagito in modo propositivo.

In Italia è prevista un’individuazione della figura del mental coach?

Certo, anche se poi a volte accade che accanto a professionisti seri e riconosciuti compaiano anche delle figure totalmente improvvisate. La norma in Italia c’è e prevede che per mettere in atto interventi psicologici si faccia riferimento solo a due figure professionali: lo psicologo psicoterapeuta e lo psichiatra. Chi esercita come psicologo non può intervenire sull’inconscio delle persone; per entrare in tutte le dinamiche psicologiche più profonde occorre l’intervento di uno psicoterapeuta. Il mental coach è uno specialista, psicologo – iscritto allo specifico Albo professionale, del campo del potenziale. Non solo: trattandosi di una figura professionale specialistica, necessita anche del titolo di psicoterapeuta specialista e anch’esso deve essere iscritto all’Albo nazionale.

Che tipo di approccio adotta con l’atleta che si rivolge a lei?

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Secondo Daniele Popolizio “occorre arrivare al proprio talento non sbattendoci contro casualmente ma cercandolo”, Image by iStock

Innanzitutto con un sistema di valutazione che comprende opportuni test con cui andiamo a valutare l’atleta in fase iniziale, facendo una diagnosi completa delle aree problematiche e potenziali. Il profilo psicologico che emerge si correla con le tipologie che scientificamente hanno molte probabilità di arrivare al successo: una di queste, ad esempio, è l’esuberanza. C’è poi il caso di atleti che arrivano da noi con valutazioni tecniche che spesso vengono ribaltate quando si sblocca, dopo aver seguito un tipo di preparazione psicologica che lo libera completamente. Spesso accade perché si tende a etichettare il talento a occhio, mentre invece va considerato che dentro ognuno di noi c’è un patrimonio spesso bloccato, frenato.

Ci può fare un esempio?

Sto seguendo un giovane attaccante che milita nella “primavera” di una squadra di vertice della serie A, definitivamente esploso nella compagine giovanile e che da poco ha esordito in prima squadra. Bene, due anni fa venne da me perché stava pensando di smettere di giocare. Alcuni tecnici lo definivano una promessa mai sbocciata. Dopo un lavoro specifico è rinato. Spesso lo stesso modo di fare valutazioni superficiali lo si nota anche a livello scolastico. Tali valutazioni affrettate tendono a condizionare la crescita del giovane.

Quale consiglio può dare per capire il proprio talento?

Innanzitutto va detto che tutti ne abbiamo uno. Occorre entrare in un’ottica e in una mentalità diversa: occorre arrivare al proprio talento non… sbattendoci contro casualmente. Il talento va cercato e occorre imparare a cercarlo perché chi lo fa e lo mette a frutto ha il suo futuro saldamente nelle proprie mani. C’è una branca scientifica che ci permette di sbloccarci e di comprendere che cosa siamo più portati a fare. Dobbiamo cercare di capire fin dalla più tenera età e di osservare quando a nostro figlio gli riescono le cose più naturali rispetto ad altre. È indispensabile imparare le regole del vivere civile, ma occorre anche che la stessa educazione non condizioni il talento, la cui espressione a volte è frenata dal sistema famigliare o scolastico.

Consigli per superare le difficoltà?

Altra qualità da imparare a maturare fin da piccoli è la resilienza, ossia la capacità di affrontare e superare una difficoltà. Al bambino è importante far sì che sviluppi la capacità di cavarsela, senza intervenire sempre per evitargli qualsiasi problema. Non c’è solo la forza fisica ma anche, e soprattutto, quella mentale.

E per chi scopre il proprio talento più tardi?

Consiglio di avere il coraggio di cambiare e non di andare avanti per forza con quello che si ha, ma impegnarsi, studiare, prepararsi a scovare il proprio talento, considerando anche il mental coaching come ausilio.

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