Quanto inquino se compro un chilo di frutta? Paola Riscazzi, coordinatrice della società SPRIM, ha messo a punto un nuovo strumento utile per saperlo. Disponibile entro l'anno
Paola Riscazzi coordinatrice dei progetti “Green e Sviluppo sostenibile” di SPRIM, società di consulenza specializzata nei temi della salute e dell’ambiente, sta lavorando, insieme all’Università di Piacenza, alla messa a punto di quella che è stata denominata “etichetta ambientale” applicata, per il momento, a prodotti alimentari e che sarà disponibile entro l’anno.
In pratica, come ci spiega in questa intervista, si tratta di uno strumento in più, utile al consumatore, per sapere quanto un chilo di frutta o di carne, incidano sull’economia in termini di inquinamento e danno alla biodiversità.
Perché vi siete posti l’esigenza di un’etichetta ambientale?
Siamo partiti dalla considerazione che esiste l’esigenza sempre più diffusa di avere informazioni dettagliate sull’impatto ambientale dei processi produttivi dei beni che si consumano. In altri termini, cresce la necessità di capire quanto i prodotti alimentari e non acquistati quotidianamente incidano sull’ambiente, perché cresce tra i cittadini l’interesse per tutto ciò che ha ripercussioni sull’ecosistema. Di conseguenza, è sempre più importante che il dialogo tra azienda e consumatori su questo punto sia chiaro e trasparente.
A chi serve questo tipo di etichetta?
Con l’etichetta ambientale si fornisce al consumatore uno strumento per consentirgli una scelta consapevole di quello che acquista, da usare in base alla propria sensibilità ecologica. La maggioranza delle persone è ormai attenta a questi aspetti: perché non dare ai consumatori il diritto di scegliere sulla base delle proprie convinzioni? C’è anche un’altra esigenza che si sta diffondendo e che riguarda aziende, virtuose sotto il profilo della sostenibilità ambientale, che si rendono conto di quanto sia sempre più importante comunicare questo proprio impegno all’esterno.
Quali sono i prodotti più interessati?
Abbiamo iniziato dall’alimentare, coinvolgendo prodotti di diverse filiere, dal bene di origine vegetale a quello di origine animale, da quello semplice al trasformato. L’idea è di estendere a breve l’indagine anche ai prodotti no food di largo consumo, ad esempio i beni destinati all’igiene personale, come saponi, shampoo, dentifrici.
Qual è la vostra idea di etichetta ambientale?
L’etichetta ambientale a cui pensiamo presenta diverse novità. Prima di tutto è caratterizzata da tre macro-categorie di impatto ambientale, riferite ad aria, acqua e suolo.
Si tratta cioè di un’etichetta “multicriterio”, uno strumento di valutazione più completo e obiettivo rispetto al Carbon footprint di cui spesso si sente parlare. Questo indicatore, infatti, sebbene utile e funzionale, è parziale, dal momento che tiene conto del solo effetto sul cambiamento climatico provocato dalle emissioni di gas serra.
In realtà la valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto deve tenere conto di una molteplicità di fattori che hanno effetti sull’intero ecosistema. Nella nostra etichetta, poi, tali macro-categorie vengono aggregate, con pesi diversi, in un indicatore di impatto ambientale “globale”
Ci spiega che metodo avete usato?
L’intera metodologia è stata messa a punto in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza e in particolare con l’Istituto di Chimica agraria e ambientale, con cui abbiamo creato una vera e propria Piattaforma ambiente per i beni di largo consumo (PAB).
La tecnica di base applicata per l’analisi ambientale è il Life Cycle Assessment (LCA), un metodo conosciuto e validato a livello internazionale, che consiste nella valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto lungo l’intero ciclo di vita. Quindi, si parte dall’estrazione delle materie prime, passando per la fase primaria di coltivazione e/o allevamento, di trasformazione dei semilavorati fino all’ottenimento dei prodotti finiti, comprendendo le fasi di trasporto, distribuzione, acquisto, uso finale, smaltimento del packaging o di quel che resta del prodotto.
Si tratta dunque di un sistema riconosciuto scientificamente che, tra l’altro, è regolato da specifiche norme ISO. Il passo successivo, che caratterizza l’originalità della nostra metodologia, è la scelta del metodo di valutazione dell’impatto ambientale e l’utilizzo dei relativi indicatori. Il nostro gruppo di ricerca, in particolare, ha selezionato diciotto indicatori di impatto ambientale e li ha associati alle tre macro-categorie, in numero di sei per l’aria, cinque per l’acqua e sette per il suolo.
Quali sono le altre novità dell’etichetta ambientale che avete messo a punto?
Una delle questioni più controverse che interessa l’analisi del ciclo di vita del prodotto riguarda l’incertezza dei dati. Senza scendere troppo nel dettaglio, abbiamo definito un metodo per attenuare la problematica dell’incertezza relativa alla fase di raccolta dati.
La questione si pone soprattutto quando non sono disponibili dati primari (ossia quelli che si raccolgono “sul campo”, presso aziende, stabilimenti o altre unità operative), e si deve fare riferimento a stime, statistiche, medie, range di valori.
La difficoltà che ne consegue è quella di esprimere i risultati in modo attendibile e comprensibile per l’utente finale: a volte infatti si forniscono informazioni che servono poco al consumatore perché troppo difficili. Il nostro sforzo, ed è questa un’altra novità, è stato di applicare una metodologia (“logica fuzzy”) che ci permette di affrontare il problema dell’incertezza e di esprimere l’impatto ambientale del prodotto in modo semplice, attraverso una percentuale.
Visivamente, questo si traduce in una freccia su una scala che cresce da sinistra a destra, e che indica il contributo percentuale della porzione giornaliera rispetto all’impatto ambientale provocato quotidianamente dal cittadino medio europeo.
Questo permette di ragionare su base giornaliera e di esprimere il risultato in modo più semplice e immediato per il consumatore, che potrà rendersi conto di come sono posizionati i prodotti che sceglie sullo scaffale del supermercato.
Ci sono state delle sorprese nel corso di queste indagini?
È risaputo che il processo produttivo degli alimenti di origine vegetale ha un impatto ambientale minore, ma le nostre valutazioni indicano che i beni di origine animale non hanno un impatto cosi rilevante sull’ambiente, come comunemente si crede.
È fondamentale infatti considerare la porzione quotidiana di alimento consigliata dai nutrizionisti; è ovvio che in assoluto la carne ha un impatto maggiore rispetto ai vegetali, ma di carne ne mangiamo in quantità decisamente minori rispetto a frutta, verdura e cereali.
Un altro aspetto da non dimenticare è poi il valore nutrizionale, che può variare parecchio tra i vari alimenti, e rendere priva di senso una comparazione basata semplicemente sul peso (es. 1 kg di frutta rispetto a 1 kg di carne).Tenere in considerazione questi aspetti consente di dare maggiore obiettività ai criteri usati per il calcolo finale, legando insieme il concetto ambientale con l’aspetto nutrizionale.
Quali sono le aziende coinvolte?
Sono soprattutto aziende alimentari. Le prime che sono state coinvolte da SPRIM erano già sensibili alle questioni ambientali ma con l’esigenza di rendere noto il loro impegno in modo adeguato.
Altre aziende, magari criticate per essere poco sostenibili, sono interessate a comunicare un cambio di strategia e l’etichetta ambientale può testimoniare un progresso, anche misurandolo nel tempo.
E il produttore che sceglie l’etichetta ambientale può chiedere che sia personalizzata secondo le proprie esigenze, sicuro di affidarsi a un metodo scientifico. Si tratta di una dichiarazione che, nel rispetto di norme stabilite, si caratterizza per semplicità e certezza, trasparenza e accessibilità.
Quando avremo disponibili le prime etichette ambientali?
L’etichetta è nata solo da qualche mese, ed è stata presentata ufficialmente solo nel marzo 2012 nell’ambito della Conferenza Internazionale FAO dedicata all’alimentazione e alle diete sostenibili. Stiamo perfezionando il modello che è in continuo progress. L’obiettivo è di fornire entro l’anno le prime etichette ambientali iniziando dai prodotti alimentari.