Il fondatore dell’Istituto farmacologico Mario Negri, racconta come il ricorso ai farmaci generici consentirebbe di avere risorse per rimborsare quelli più costosi.
«I farmaci generici hanno lo stesso effetto degli originali. Ma se invece di chiamarli così li presentassimo come equivalenti, non staremmo nemmeno qui a porci il problema». A 86 anni Silvio Garattini, fondatore e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, non si stanca di ripetere quanto afferma da tempo: tra il prodotto “griffato” e quello equivalente non c’è alcuna differenza. «Il principio attivo, responsabile dell’effetto, il dosaggio e la preparazione farmaceutica sono analoghi. Invece la bioequivalenza, ovvero la quantità di farmaco che nella stessa unità di tempo passa nel circolo sanguigno dopo l’assunzione, può avere una variabilità del 15-20%. Nulla però che influisca sull’azione e l’efficacia terapeutica del farmaco».
A quali requisiti deve rispondere un farmaco generico?
La purezza del principio attivo deve essere comparabile. Se si tratta di una compressa, occorre stabilire la velocità di dissoluzione perché è importante che il principio attivo venga liberato nell’apparato digerente per poi essere assorbito. Bisogna infine eseguire gli studi di farmacocinetica: occorre, cioè, determinare qual è la concentrazione del principio attivo nel sangue per un determinato periodo di tempo. I farmaci equivalenti devono essere comparabili a quelli di marca, nei limiti della variabilità individuale. Medesimi sono anche i controlli finali da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco, a garanzia per i cittadini della massima qualità di tutti i medicinali.
Tra i farmaci equivalenti e quelli di marca può esserci differenza negli eccipienti utilizzati: quali sono le possibili conseguenze?
Gli eccipienti servono a mantenere la stabilità o, per esempio, contribuiscono a fare in modo che la compressa si sciolga più rapidamente. Queste sostanze possono differire tra i due prodotti, ma ciò che conta è che la loro presenza non alteri l’assorbimento del farmaco. Alcuni eccipienti possono essere allergizzanti, ma questo vale anche per i farmaci di marca.
Una volta immessi in commercio, a quali controlli vengono sottoposti i farmaci generici?
Esattamente gli stessi che riguardano i “griffati”. Ogni anno l’Istituto Superiore di Sanità sceglie un campione di prodotti da controllare: tra gli equivalenti e non. E poi è sempre in funzione il sistema di segnalazione di reazioni avverse all’Aifa.
Perché, allora, in Italia si fa fatica a vincere il clima di sospetto che avvolge gli equivalenti?
Le persone di una certa età sono abituate a vedere sempre la stessa confezione e le medesime compresse: il cambiamento potrebbe far scattare in loro un atteggiamento di “rifiuto”. Molto più importante, però, è la propaganda delle industrie farmaceutiche che non vedono di buon occhio prodotti concorrenti che le costringono ad abbassare i prezzi dei propri. Nemmeno farmacisti e medici, infine, sono esenti da responsabilità: i primi rischiano di veder calare i loro introiti, mentre i secondi non possono più sapere quale ditta produttrice di farmaci equivalenti tragga vantaggio dalla loro prescrizione.
Come ha reagito l’industria farmaceutica alla crescente diffusione degli equivalenti?
Commercializzando dei prodotti analoghi con le stesse indicazioni che mantengono ancora il brevetto. È successo già in almeno tre casi. Il farmaco anti-ulcera ranitidina è stato sostituito dagli omeprazoli. La simvastatina, per abbassare il colesterolo, è stata rimpiazzata dalla rosuvastatina. E agli ACE-inibitori, usati contro l’ipertensione, oggi spesso si preferiscono i sartani. Ridurre la spesa sanitaria attraverso il ricorso ai farmaci generici potrebbe permetterci di avere risorse per rimborsare i farmaci più innovativi e molto costosi: a partire dagli ultimi scoperti per la cura dell’epatite C.
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