Wise Society : Roberto Defez: «L’agricoltura italiana non è competitiva senza Ogm»
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Roberto Defez: «L’agricoltura italiana non è competitiva senza Ogm»

di Fabio Di Todaro
18 Settembre 2014

Lo scienziato napoletano, ospite a "The future of science", spiega perché nel futuro non si potrà fare a meno degli organismi geneticamente modificati

Image by © Peter Beck/CORBISMai come in questo momento, se si parla di organismi geneticamente modificati, occorre essere chiari e rigorosi. È questa necessità ad aver spinto Roberto Defez, direttore del laboratorio di biotecnologie microbiche all’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli, a redigere in 145 pagine un manuale utile al consumatore che intende informarsi prima di prendere una posizione: più o meno favorevole agli Ogm. In “Il caso Ogm – Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati” (Carocci Editore), lo scienziato napoletano fa il punto sul dibattito tornato in copertina negli ultimi mesi.

Cos’è un organismo geneticamente modificato?

Si tratta di organismo che ha subìto una modifica al proprio Dna, la struttura depositaria dell’informazione genetica, tramite l’inserimento di geni prelevati da altre specie. In ambito vegetale si usano soprattutto frammenti del batterio bacillus thuringiensis: alcuni suoi geni, una volta trasferiti nella pianta, codificano proteine che risultano tossiche per l’apparato digerente di diversi insetti, responsabili della distruzione di quasi il 10% del raccolto annuale di mais nel mondo. Così aumentano le difese per la pianta senza ricorrere a sostanze di sintesi.

Sembra una questione piuttosto tecnica eppure l’avversione è abbastanza diffusa, almeno a queste latitudini: perché?

Per anni a essere è stata sotto attacco l’industria chimica: vero è che spesso è mancato il controllo, ma non si può criminalizzare un intero comparto, visto anche il ruolo che gioca nella scienza. Adesso, invece, il mirino s’è spostato sugli Ogm: senza pensare che i principali organismi modificati in commercio abbattono l’uso della chimica. L’ostilità mediatica, soprattutto in Europa, resta molto forte: così le aziende chimiche, che negli Stati Uniti si sono quasi interamente concentrate sulle biotecnologie, non possono affrontare l’argomento con la dovuta serenità.

Perché l’Italia avrebbe la necessità di ripartire dagli organismi geneticamente modificati?

Perché ha perso competitività e ha visto calare drasticamente le rese per ettaro. La bilancia agroalimentare del paese è in deficit fisso per 4-6 miliardi di euro l’anno da decenni. Tutto ciò con cui produciamo le nostre eccellenze alimentari deriva da materie prime di importazione, non di rado geneticamente modificate.

Genetically modified maize corn - Image by © Martin Moxter/imageBROKER/CorbisTra le priorità c’è il mais, secondo lei: per quale motivo?

L’unica varietà coltivabile in Europa è il mais bt e i numeri danno concretezza al messaggio. L’Italia, paese in cui questa coltivazione non è consentita, ha una resa di mais di 78 quintali per ettaro. La Spagna, con terreni molto simili coltivati con Ogm, produce 110 quintali di mais per ettaro. Oltre alle conseguenze quantitative, abbiamo anche un danno qualitativo. Oltre la metà del mais raccolto in Italia nel 2013 non era commercializzabile per l’uomo: conteneva un quantitativo elevato di fumonisine, delle tossine tossiche per l’esofago e il sistema nervoso centrale.

Perché gli Ogm costituirebbero un vantaggio anche sul piano nutrizionale?

Sono tutti alimenti pensati per avere un profilo migliore di nutrienti: in particolare di acidi grassi, vitamine e antiossidanti. Eloquente è il caso del golden rice: un tipo di riso arricchito con un precursore della vitamina A, il cui deficit è responsabile di milioni di casi di cecità soprattutto nei paesi in via di sviluppo. È pronto ormai da quindici anni e apporterebbe enormi benefici: ma le resistenze di molte organizzazioni continuano a ritardarne l’entrata in commercio.

Agli oppositori, però, non va giù il monopolio sulle sementi delle multinazionali

I brevetti non sono eterni: nel 2001 è scaduto quello sull’erbicida glifosato, quest’anno scadrà quello per il mais resistente al glifosato e nel 2015 cadrà ogni vincolo anche per il mais bt. Chi lo vorrà, potrà produrlo. Ma da vent’anni a questa parte, purtroppo, l’ideologia ha soppiantato la scienza, condizionando anche alcune scelte economiche. E adesso mi chiedo: continuando nel solco dell’ostracismo, i nostri agricoltori avranno le competenze per produrre alimenti Ogm?.

Colture Ogm e colture tradizionali possono essere sviluppate a breve distanza?

Con campi lontani più di sei metri la contaminazione accidentale non supera mai i livelli che proibiscono la messa in commercio di mais biologico o tradizionale. Ma questa distanza potrebbe ulteriormente ridursi se a Giorgio Fidenato, in Friuli Venezia Giulia, fosse data la possibilità di trovare nuovi riscontri. Tra mille difficoltà sta coltivando mais bt a quattro metri da un campo tradizionale. Il risultato potrebbe essere incoraggiante: per evitare contaminazioni basta che le due piante fioriscano in momenti diversi. È un esperimento a cui sono molto interessati anche i proprietari dei terreni limitrofi: dovesse andare bene, anche le loro rese aumenterebbero.

Image by © Monty Rakusen/cultura/CorbisDefez, gli Ogm costituiscono un rischio per la salute umana?

Per fortuna questa polemica è già in fase di dissoluzione. Al momento sono oltre cinquanta i tipi di Ogm importati in Italia e autorizzati per il consumo anche umano. Molti di questi costituiscono la base della nostra mangimistica, fondamentale per realizzare prodotti tipici a denominazione di origine protetta e controllata. Quindi il meglio del made in Italy che esportiamo nel mondo deriva da animali nutriti con Ogm. Che fine farebbe se continuassimo a opporci in questa maniera»

Twitter @fabioditodaro

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