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Pia Pera: coltivare la terra per trovare la pace

di Sebastiano Guanziroli
7 Settembre 2010

La scrittrice racconta come ha scoperto le doti terapeutiche dell'orto. Un contatto diretto con la natura. Per produrre quello che in tempo di guerra era necessario alla sussistenza. E oggi è vitale. Ma per altre ragioni. Per riscoprire il valore della semplicità. E trovare la felicità

Pia Pera, scrittriceScrittrice, traduttrice e giornalista, Pia Pera è divenuta protagonista delle letture di tanti appassionati di orticoltura pubblicando nel 2003 L’orto di un perdigiorno, racconto di un personale “ritorno alla natura” in un casale nella campagna toscana. Come recitava il sottotitolo, “Confessioni di un apprendista ortolano”, era una sorta di diario che pagina dopo pagina raccontava i progressi fatti e i piaceri che ne derivavano. Da allora ha pubblicato altri libri su natura, paesaggio e giardini, l’ultimo dei quali è Giardino & orto terapia. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità”(Salani, 2010).

 

Il suo desiderio di comunicare ciò che la natura può insegnare all’uomo si è concretizzato in un progetto chiamato “Orti di pace” (www.ortidipace.org), di cui è ideatrice e responsabile, che è diventato un punto di riferimento dove scambiare informazioni, raccontare esperienze personali, mettere in rete progetti di orti didattici, sociali e terapeutici. Da tutte queste esperienze è nato anche un Manifesto, che auspica la creazione di spazi “dove ci si prende cura di fiori e ortaggi scoprendo al contempo nell’orto un luogo ideale dove intrecciare tutta una serie di scambi con la natura, l’ambiente e la comunità, coltivando intanto la pace interiore”.

 

Come è nata l’idea di “Orti di pace”?


E’ un progetto che ho pensato circa cinque anni fa perché volevo trovare uno strumento che permettesse di diffondere l’idea e la pratica di creare orti sociali e orti nelle scuole mettendo in contatto le persone. L’obiettivo di “Orti di pace” era ed è aiutare le persone a passare dalla voglia di fare al fare, perché sapevo che tanti avevano il desiderio di creare orti ma si fermavano davanti a ostacoli di tipo pratico. Il progetto ha avuto successo perché hanno collaborato in tanti, e ora è diventato un luogo di incontro a più voci.

 

Come mai si fa riferimento a una parola importante ma impegnativa come “pace”?


Il senso è multiforme. Da una parte c’è un riferimento a quelli che una volta venivano chiamati “orti di guerra”, creati per pura sopravvivenza, e che mi auguro non abbiano più motivo di esistere. Poi si fa riferimento al coltivare la pace interiore, che predispone alla vita pacifica e alla pace in senso più ampio. L’orto rasserena e aiuta a fare comunità. Magari si inizia col parlare di semi e si finisce col conoscersi meglio. Anche la pluralità di colture è un fattore di pace.

 

Tra i vari progetti che fanno riferimento a “Orti di pace” ce n’é uno cui è particolarmente legata?


La cosa che mi ha colpito di più in questi anni è che ogni progetto ha una storia diversa e una sua voce, e tutti sono ugualmente importanti. Una in particolare però che mi piace ricordare è quella di Ponticelli, quartiere di Napoli ad alta densità camorrista, dove i ragazzi si sono avvicinati alla natura grazie all’orto: prima sfregiavano le piante, ora hanno imparato a prendersene cura. Imparando a prendersi cura dell’orto, impareranno poi a prendersi cura anche di altro.

 

Lettuces, album di vivevans/flickrNel vostro progetto ora c’è una particolare attenzione al rapporto tra il selvatico e il coltivato: cosa hanno da insegnare?


E’ una novità per noi. Prima ci occupavamo solo di orti: è lì che si imparano le regole fondamentali del rapporto con la vita, perché si lavora l’orto per avere da vivere, perché è qualcosa di primario ed essenziale; coltivare è sicuramente importantissimo dal punto di vista formativo, soprattutto per bambini e ragazzi. Però non ci si deve chiudere nell’orto, perché l’orto stesso ha bisogno di natura selvatica, e allo stesso modo è importante fare anche un’esperienza più libera della natura: i bambini devono poter avere un rapporto più giocoso con la natura.

 

Lei è prima di tutto una scrittrice. Che cosa le danno di differente l’orto e la scrittura?


L’orto dà molta serenità interiore, è qualcosa di semplice e facile che ogni giorno ti mette in contatto e vicinanza con la natura e con il mondo. Per me è una cosa molto importante, perché credo che quello alla semplicità sia un vero e proprio diritto dell’uomo. Io scrivo molto di quello che le piante mi danno e ci danno, e infatti il mio ultimo libro è sottotitolato proprio “Coltivando la terra si coltiva anche la felicità”. Anche scrivere, in fondo, è come coltivare una pagina e prendersi cura di qualcosa.

Boy holding bunch carrots, album di woodleywonderworks/flickr

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