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Paolo Pileri: il suolo non è infinito, occorre tutelarlo come risorsa ambientale

di Mariella Caruso
28 Febbraio 2014

Il docente del Politecnico di Milano lancia l'allarme sul consumo della "pelle del pianeta". Un solo ettaro assorbe 3,7 milioni di litri di acqua e per rigenerarne 10 cm occorrono 2.000 anni

Ruspa

Image by © Chris Henderson/Corbis

«Occorrono duemila anni per generare dieci centimetri di suolo che la benna di un escavatore distrugge in una manciata di secondi». Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale ambientale al Politecnico di Milano, non cerca di indorare la pillola. Il suo scopo è quello di puntare l’obiettivo sul consumo indiscriminato di suolo, «una risorsa ambientale, senza il quale tutti saremmo fritti, non riconosciuta come tale e, quindi, non tutelata dal legislatore», ha spiegato nel corso del suo intervento alla seconda edizione del Forum sulla sostenibilità Wigreen.

Cos’è il suolo?

Il suolo è la pelle del pianeta, sono quegli importantissimi 70-100 centimetri sotto i nostri piedi da cui dipendono fertilità, capacità di trattenimento delle acque e del carbonio sulla terra. Un risorsa ambientale limitata e non rigenerabile della quale nessuno si preoccupa.

Come mai c’è quest’assoluta mancanza di cultura sull’importanza del suolo nelle nostre vite?

C’è poca formazione, poca conoscenza e poca divulgazione in materia. Questa mancanza di cultura, soprattutto da parte di chi ha responsabilità sui cambi di uso del suolo, è un problema che produce grossissimi guai.

Come per esempio l’Italia che frana? Qual è la correlazione tra frane e urbanizzazione?

Frana

Image by © EPA/LUCA ZENNARO/Corbis

Un ettaro di suolo non urbanizzato è in grado di trattenere fino a 3,7 milioni di litri di acqua senza che la comunità impegni alcuna risorsa per questo straordinario servizio che il suolo libero ci rende.

Nel momento in cui si urbanizza, è assolutamente necessario investire capitali nella realizzazione di infrastrutture in grado di trattenere il quantitativo d’acqua pari a quello che sarebbe stato assorbito dal suolo che è stato urbanizzato. Non facendolo quella stessa acqua non viene trattenuta a monte, la si ritrova aumentata a valle.

Questo scempio di suolo, unito ai cambiamenti climatici in corso, produce quel patatrac che conosciamo bene: gli eccessi di acqua che fanno franare pezzi del nostro paese o che ne mettono sott’acqua altri con un aumento della spesa pubblica di gestione delle emergenze e delle ricostruzioni.

Nonostante tutto ciò in Italia non esiste una legge che riconosca il suolo come risorsa…

Purtroppo no, il suolo non è riconosciuto come risorsa. Anche il Testo unico ambientale fa molta confusione e sarebbe da aggiornare perché l’art. 54 recita: “suolo: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”. Il suolo, quindi, viene assimilato alle infrastrutture presenti su di esso, ovvero a qualcosa di molto diverso di quella sottile “pellicina” indispensabile alla terra.

Per questo manca una filiera delle responsabilità? Chi dovrebbe entrare a pieno titolo in quest’ultima?

La nostra Costituzione è molto chiara in questo. Se il suolo venisse riconosciuto come risorsa ambientale, dovrebbe essere lo Stato a tutelarlo e a vigilare su di esso. Sono convinto che, in primo luogo, dovrebbe essere completamente rivista l’architettura delle responsabilità amministrative.

Oggi queste ultime, per varie vicende, sono completamente nelle mani dei Comuni i quali sono spesso costretti, per le scarsa risorse a loro disposizione, a fare cassa cedendo suolo e generando, così, tutta una serie di economie che, pur se sul momento, sembrano positive, alla lunga si trasformano in ulteriori costi per le amministrazioni e non solo. Del resto la realtà ci mette sempre più spesso davanti ad amministrazioni che sono in ginocchio proprio per il consumo di suolo del passato

Di fatto, quindi, il suolo dovrebbe essere considerato una pertinenza dell’ambiente in senso stretto

Esattamente. Il suolo, come l’aria, l’acqua e tutte le risorse ambientali, non rispettano i confini amministrativi voluti dall’uomo, come quelli segnati tra un Comune e l’altro. Anche la pianificazione territoriale dovrebbe essere innovata da questo punto di vista smettendo di immaginare che ognuno debba gestire il suolo sulla base di confini amministrativi decisi dall’uomo. Questo è anacronistico.

Terreno

Image by © muro/F1 Online/Corbis

Anche se l’associazione non è immediata, il cambiamento della destinazione di suolo ha effetti anche sulle immissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e sulla produzione alimentare

Ogni Comune, anche il più piccolo, così come il più piccolo imprenditore che consumi una infinitesimale quantità di suolo concorre al cambiamento climatico e della bilancia alimentare mondiale. Ogni anno un ettaro di suolo dà da mangiare a sei persone. Un ettaro di suolo urbano non solo non produce cibo, ma gli occupanti dei nuovi insediamenti richiedono cibo a loro volta. Quindi entriamo nel campo dell’inversione, lo stesso applicabile alle immissioni di anidride carbonica nell’aria.

Sotto i nostri piedi è immagazzinato una quantità di C02 quattro volte superiore a quella presente in atmosfera. Quindi se, drammaticamente, immaginassimo il ritorno in atmosfera della C02 che sta nel sottosuolo sarebbe un disastro. Oggi le immissioni di C02 in atmosfera derivanti da cambi d’uso del suolo sono stimate nella misura del 15% del totale. Purtroppo, però, di esse non c’è traccia nei bilanci di sostenibilità ambientale.

Vigna sulle colline italiane

Image by © Michael Newton/Robert Harding World Imagery/Corbis

È corretto, quindi, dire che l’Italia sta perdendo la propria sovranità alimentare senza rendersene conto

Già da qualche anno non siamo in grado di produrre cibo per tutti gli abitanti e per tutti i turisti che arrivano. Stiamo rischiando anche di mettere in crisi l’export italiano che fa del del nostro Paese un brand conosciuto in tutto il mondo. Purtroppo i suoli coltivabili si riducono sempre di più. È vero che, ultimamente, sta crescendo la consapevolezza ma, ahimè, in questo paese passa sempre troppo tempo tra la presa di coscienza e lo sviluppo di un’azione efficace, in questo caso qualcosa che eviti lo scempio dell’indisciminato consumo di suolo.

Perché sennò il disastro sarebbe irreversibile visto che per rigenerare 10 centimetri di suolo occorrono 2.000 anni

Questo è un punto chiave. Non ci sono tecnologie che ci restituiscano la capacità ecosistemica di un suolo consumato. La cementificazione interrompe il ciclo del suolo che viene gettato via per sempre. Perché è bene ricordarlo: l’acqua e l’aria si rinnovano, il suolo no ed è l’unica risorsa non tutelata nel nostro Codice. Una contraddizione che grida vendetta alla quale il legislatore deve porre rimedio quanto prima.

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