Non bisogna fare le cose per avere qualcosa in cambio. Ma semplicemente perché è necessario farle. Una convinzione che guida le scelte e l'attività del raffinato musicista sardo. E che potrebbe davvero cambiare in meglio le persone (e il mondo)
Musicista e compositore di fama internazionale (www.paolofresu.it), con oltre 350 album al suo attivo, Paolo Fresu torna ogni estate a Berchidda, suo paese natale nel Nord della Sardegna, per dirigere il Festival Time in jazz (www.timeinjazz.it) da lui stesso ideato e organizzato fin dal 1998. Un circuito di concerti di altissimo livello in diverse località del territorio che si svolgono fra boschi, vigneti, chiesette di campagna, piazze e siti archeologici. Uomo schivo e gentile, artista carismatico e instancabile, Fresu lavora sempre su progetti diversi: ha in preparazione un nuovo disco in trio per il gennaio 2012 e diverse nuove tournèe in vari Paesi tra cui il Sud America. Per festeggiare il suo mezzo secolo (è nato il 10 febbraio 1961) ha lanciato e realizzato il progetto Cinquant’anni suonati (www.50fresu.it) cinquanta concerti, cinquanta giorni consecutivi in cinquanta luoghi straordinari della Sardegna, da metà giugno a fine luglio 2011. Per festeggiare se stesso, la sua musica e un’isola che gli ha dato tanto.
Quali riflessioni ci possiamo portare via da questa XXIV edizione di Time in Jazz dedicata alla Terra, e allo stato del Pianeta?
Quello di quest’anno, la Terra, è stato un tema particolarmente complesso ed emozionante, sia perché abitiamo sulla terra, sia perché terra significa anche territorio: la “glocalità” ed è forse quello ha sposato meglio le nostri ambizioni, le nostre finalità. Mi sembra che a proposito di queste tematiche ci sia da parte della maggioranza delle persone una coscienza nuova e diversa. La Sardegna, non a caso, è stata la prima regione a indire un referendum sul nucleare e i suoi abitanti a votare così numerosi per il no: trovo che sia un fatto positivo. Ci stiamo rendendo conto che si sono fatti troppi errori in passato nei confronti dell’ambiente e che è compito di tutti porvi rimedio. È importante, secondo me, per sensibilizzare il pubblico anche su questi temi usare bene i grandi eventi come questo festival frequentati da tanta gente che è ricettiva alle questioni ambientali. Noi come Time in jazz, ma anche io, in prima persona come artista noto, abbiamo una grande responsabilità e credo che dobbiamo anche prendere posizioni nette in alcuni casi. Io l’ho fatto quando, a gennaio di quest’anno, c’è stato il disastro ambientale dell’azienda E.On a Porto Torres e lo sversamento in mare di migliaia di litri di petrolio proprio di fronte al Parco Naturale dell’Asinara, e ho già espresso le mie forti perplessità a proposito dei quattro radar previsti qui nell’isola (a Capo Pecora e l’Argentiera nei posti più belli e strategici della Sardegna) che dovrebbero monitorare il flusso migratorio delle persone, e che invece non si capisce a cosa servano.
La vocazione all’ecosostenibilità di Time in Jazz è sempre più evidente. Ci sono, secondo lei, dei comportamenti virtuosi che dal festival possono essere esportati altrove?
Sì, in questo momento forse quello della produzione dell’energia alternativa. Noi abbiamo fatto un esperimento ben riuscito quest’anno con il “carro delle energie” di Tommaso Onori, un’iniziativa che ha reso possibile tramite un gruppo elettrogeno-ecologico alimentato dall’energia solare e eolica, la realizzazione di molti spettacoli senza incidere sull’ambiente. Si tratta di uno strano veicolo con sistema fotovoltaico e pale eoliche con il quale abbiamo alimentato di fatto quasi tutti i concerti del tour !50 (compreso il sistema di amplificazione e di luci a led) che ho fatto a luglio in giro per l’isola. Non a caso il sottotitolo era “musica non convenzionale a energia rinnovabile”. Il discorso però non riguarda solo la produzione dell’energia ma soprattutto il suo consumo, che va limitato il più possibile: noi infatti eravamo partiti proprio dall’idea di consumare poco e quindi poter autoprodurre l’energia che ci serviva. Il problema non è dimostrare che con il fotovoltaico si può essere autosofficienti ma, per esempio, utilizzare meglio le pale eoliche. Non tanto fare nuovi parchi eolici, ma usando di più le pale piccole, meno impattanti e che ogni famiglia potrebbe avere. Non dobbiamo nasconderci però, che a livello individuale le energie alternative siano ancora una cosa da ricchi: io sto facendo il fotovoltaico a casa mia a un costo di 16 mila euro. E capisco che magari chi non ha una grande disponibilità economica ci pensa due volte a farlo. Non ci sono sgravi, non ti danno aiuti, è ancora tutto troppo difficile, quindi per il momento credo sia meglio riuscire a sensibilizzare le persone su cose più fattibili e immediate: mettere tutti a casa le lampadine a basso consumo, usare i riduttori per l’acqua, gli elettrodomestici in meno più intelligente, questa è la vera scommessa che può partire dal basso. E quello che la gente si porta via da Berchidda è innanzitutto un’emozione, un suggerimento. È chiaro che da qui non possiamo cambiare il mondo, ma essere di stimolo. La musica e l’arte possono suggerire e portare allo sviluppo di una sensibilità verso l’ecosostenibilità che nel tempo può diventare reale, tradursi in comportamenti concreti.
A proposito… In un momento di crisi dei valori come quello che stiamo vivendo, che compito possono avere l’arte, la musica, anche la sua musica in particolare?
Io penso che possano fare davvero molto: stimolare la gente a vedere quello che di bello c’è, ad essere più aperti e spontanei, ad abbattere le barriere tra il proprio essere e il mondo. In questo momento storico in cui le persone hanno davvero paura e tendono a rinchiudersi la musica, soprattutto in luoghi profondamente legati alla natura come questi, permette a chi l’ascolta di tornare a relazionarsi con il mondo, con l’altro, scoprendo magari di aver vicino un amico e non un nemico come si è portati a pensare. Un dato interessante piuttosto recente dice che le persone comprano meno cd, ma vanno più spesso ai concerti perché lo ritengono un momento importante di fruizione collettiva: un po’ la stessa differenza che c’è tra guardarsi un dvd a casa da soli o andare al cinema. Al cinema ridi con gli altri, piangi con gli altri. La cultura, la musica diventano uno stimolo all’apertura verso le cose, che poi significa dialogo, comunicazione, emozione: condividere un sentimento collettivo. Una cosa davvero molto preziosa.
Ci racconta qualcosa sulla recente esperienza dei cinquanta concerti per i suoi 50 anni? Un avvenimento più unico che raro nel mondo della musica…
È stato un evento straordinario, a metà tra sogno e follia, e penso che con queste modalità non sia mai stato fatto al mondo. Cinquanta giorni, cinquanta concerti, cinquanta gruppi, mai un palcoscenico, ma sempre immersi nella natura totale. Abbiamo suonato nei posti più belli e impensabili dell’isola ed è stato un successo incredibile. Ogni sera c’erano 4 mila persone presenti e 2 mila che ci seguivano in streaming: per un concerto jazz, davvero una cosa impensabile. Io mi aspettavo molto, volevo che fosse un regalo, un cammino nella mia terra e per la mia terra, ma anche l’incontro con una Sardegna diversa, un viaggio nella scoperta delle potenzialità dell’isola, con la possibilità di incontrare gente nuova, stabilire un rapporto con tutti. Ed è stato non solo così, ma molto di più di quello che mi aspettavo: una cosa rarissima. Quando abbiamo finito ci siamo guardati negli occhi e ci veniva da piangere: ci siamo detti e ora che cosa possiamo fare più di questo? Ora però sento il bisogno di riflettere su questa esperienza straordinaria, sul suo successo che ancora non ho capito del tutto. Non venivano a sentirmi ogni giorno 3-4 mila persone perché sono Paolo Fresu, e perché i concerti erano tutti gratis tranne l’ultimo a Cagliari (che comunque ha fatto il pienone lo stesso) credo che questo evento abbia mosso una sorta di immaginario collettivo, che abbia dato il via a un bisogno di ritrovarsi, di stare insieme e di assaporare la bellezza dei luoghi. Mi ha fatto capire sempre meglio che c’è bisogno di bellezza, di cultura, di condivisione. Non ce ne dobbiamo dimenticare.
A 48 anni il primo libro (l’autobiografia Musica Dentro) a 50 questo evento straordinario e in questi anni anche l’esperienza della paternità. Che cosa vuole dai suoi prossimi 50 anni?
Esattamente quello che ho. Poter continuare a fare quello che sto facendo, perché mi piace, mi diverte. Poter stare con la mia famiglia, fare musica, ascoltare qualcuno del pubblico che alla fine di un concerto mi dice: “grazie è stato bellissimo”
Come vede il futuro del mondo, dell’umanità?
Io sono una persona positiva, nel senso che credo che in ogni uomo ci sia qualcosa di straordinario, anche se poi magari non riesce a manifestarsi. Le vere piaghe del nostro tempo, per me oggi sono un sistema economico completamente sbagliato e tutto ciò che ne deriva. Ma il segno di un cambiamento c’è: lo stesso sistema economico è in crisi perché abbiamo capito che è sbagliato. Abbiamo perso certezze, l’uomo sta cercando un nuovo cammino. Nel secolo scorso l’umanità è arrivata a un limite, ora bisogna cambiare percorso. Mi sembra ci siano riflessioni profonde su queste tematiche anche da parte dei giovani: il problema, soprattutto in Italia, è cambiare mentalità, nella politica come nella società. Bisogna smettere di pensare di fare una cosa per avere qualcosa in cambio, ma solo di pensare di farla perché va fatta. Molto dipende da come gestiremo il futuro, ma le persone insieme possono fare molto e stanno cominciando a capirlo. Io spero che le nuove generazioni trovino un rapporto diverso tra il proprio sé e il mondo. E mio figlio vedrà un mondo migliore se saprà prima pensarlo in un modo diverso.
Qual è il valore più importante per lei e quello che, per primo, insegna a suo figlio?
La libertà. La libertà di capire il mondo, il rispetto verso gli altri e quindi verso se stessi e quello che ci circonda.