Il cantautore italiano si racconta: tra inquietudini emotive, paure per il cambiamento climatico, acquisti consapevoli e missioni in Africa
«Nelle grandi metropoli si vive troppo a stretto contatto. Questa vicinanza scatena molto più facilmente contrasti, così da mettere molto più facilmente le persone una contro l’altra: stare in fila al semaforo o alla cassa di un supermercato, vivere in appartamenti così vicini tra di loro scatena pulsioni negative. Così, invece del senso di collettività, che è un fattore aggregante, a scatenarsi è l’inquietudine». Il cantautore romano Niccolò Fabi, che wisesociety.it ha incontrato, ha sintetizzato questo pensiero nel testo di Ha perso la città, uno dei nove pezzi del suo ultimo album “Una somma di piccole cose”, che comprende anche Filosofia agricola, pubblicato lo scorso aprile che è il risultato di un’analisi molto lucida, a tratti spietata, di dinamiche emotive, personali e collettive.
Ritiene, quindi, che le città rappresentino un problema?
Non nel senso negativo del termine. Ricordiamoci che meno siamo, più amiamo la vicinanza e cerchiamo di stare insieme. Anche se la vita in campagna la si trascorre sempre con piacere, è anche vero che si sente il bisogno di ritrovarsi con gli altri in piazza, perché quando non si vive in città si ritrova il desiderio di stare insieme.
Nei testi di questo disco si sofferma sulla necessità di non lasciarsi sopraffare dalle “regole commerciali”. Questo disco, in cui è privilegiato l’ascolto intimo rispetto a quello radiofonico, le sovverte già. Perché questa scelta precisa?
Perché ho rispettato il mio desiderio di voler essere una persona serena. I nostri comportamenti, come già detto, hanno una ripercussione sociale. Non posso permettermi di scegliere con egoismo o di mettere depressione e cattiveria nelle mie scelte, ma assecondare quello che sono. Ci sono già tante persone problematiche perché non vorrebbero fare quello che fanno.
Questo è uno dei motivi per cui ha scelto isolarsi in campagna per scrivere le nuove canzoni?
La campagna è un luogo che mi piace, cerco di andarci quando posso perché vivo a Roma. Poi mi piaceva che le nuove canzoni risentissero di quel clima di serenità che mi suscita quel luogo dove non ho solo scritto le canzoni, ma le ho anche registrate.
Nonostante la sua attenzione per l’ambiente ma non hai mai avuto l’idea di fare un concerto “a impatto zero”. Perché?
Mi sembra qualcosa di molto simbolico sotto l’aspetto del marketing, ma poi bisogna capire cosa realmente significhi impatto zero.
Quali sono i tuoi comportamenti, nella vita di tutti i giorni, che caratterizzano la tua attenzione per l’ambiente?
Consapevolezza del territorio e scelte individuali come evitare di costruire mettendo a rischio la natura, come facevano le antiche popolazioni che sviluppavano un senso di alleanza con il pianeta di cui non si sentivano proprietari, ma ospiti. Nel quotidiano cerco di stare attento agli acquisti quotidiani, compro in un posto a Roma che si chiama Zolle che raduna aziende della campagna romana che coltivano bio, faccio la raccolta differenziata, ma non sono così fanatico da non andare al ristorante se non è biologico.
Con Mario Tozzi porta in scena “Musica sostenibile”. Come nasce?
Come il tentativo di provare a raccontare consapevolmente la sostenibilità scegliendo canzoni che avessero a che fare con ambiente e territorio. Non è uno spettacolo “commerciale”, né itinerante. Lo replichiamo su invito o in date particolari come anniversari riadattandolo a seconda delle esigenze. Parlare di qualcosa attraverso l’arte è efficace perché chi ti segue abbassa le difese e i concetti vengono assimilati in maniera più profonda.
Quali canzoni ha scelto per lo spettacolo?
Dolcenera di Fabrizio De André che parla dell’alluvione di Genova del 1970; I ragazzi della via Gluck di Celentano; Quannu ti lave a facce, una canzone salentina sul rispetto dei contadini per la terra. Adesso metterò anche Ha perso la città.
Oltre che per l’ambiente, dal 2006 sei impegnato anche per l’Africa. È qualcosa che continua?
Sì, quel primo viaggio in Sudan fatto grazie all’Ambasciata italiana a Khartoum nel 2006 che aveva lo scopo portare dei fondi raccolti in un concerto benefico per la costruzione di un’opera salesiana mi ha fatto venire voglio di conoscere meglio questo continente. Continuo ad andare una volta l’anno in un viaggio fuori dalle rotte turistiche.
Che mondo vorresta per suo figlio?
Quello che vorremmo tutti, in cui la gente protegga l’ambiente, non siano schiavi delle multinazionali e consumino responsabilmente, in cui la finanza non abbia controllo sulla politica.
Crede che si potrà invertire la rotta?
Ho paura che avremo bisogno di una grande paura che sia ben superiore ai cambiamenti climatici che, pur, ci accompagnano tutti i giorni.