Il vincitore dell'ultimo Giro d'Italia parla del suo rapporto con la bicicletta e della necessità per le città italiane di una mobilità più sostenibile
Quando si parla di mobilità sostenibile il primo pensiero è legato alla bici, unico vero mezzo di trasporto ecologico. E quando si pensa alla bici il pensiero va al ciclismo e ai campioni che sul quel mezzo macinano decine di migliaia di chilometri ogni anno, qualsiasi tempo ci sia. Uno su tutti è certamente Vincenzo Nibali, un campione dei campioni: basti ricordare che appartiene al ristretto “club” – lui e altri cinque – di coloro che hanno vinto Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta di Spagna nella loro carriera.
Quest’anno ha bissato la vittoria alla competizione nazionale e solo la sfortuna l’ha messo fuori dai giochi per la conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi. Ora che ha smaltito l’infortunio e si sta riprendendo dall’intervento chirurgico alla clavicola, si sta riappropriando del suo mezzo preferito, quello che ama sin da ragazzino: la bicicletta. Un mezzo per un fine, la vittoria, ma che prima di questo significa impegno, fatica e determinate condizioni e valori perché si possano centrare certi traguardi: «Per raggiungerli entrano in gioco tanti aspetti, tra questi la famiglia, il modo in cui sei cresciuto. Quello che consiglio a chi vuole avvicinarsi a questo sport è di farlo scegliendo un ambiente tranquillo dove si può imparare divertendosi, seguiti da persone attente al bene dei ragazzi e alla loro crescita sportiva e non solo, contenti sì per una vittoria, ma che non la pretendono a tutti i costi».
A Vincenzo Nibali in Puglia è stata dedicata una pista ciclabile e una squadra ciclistica; lui stesso ha fondato un’associazione sportiva dilettantistica che ha nella bici il suo fulcro.
Quali sono gli aspetti positivi del ciclismo e i valori che offre ai giovani?
Il ciclismo ti può offrire un’apertura mentale più facilmente rispetto a tanti altri sport. Innanzitutto si pratica all’aperto, che consente di conoscere e vivere paesaggi e orizzonti sconosciuti, scoprendo sempre nuove vie e itinerari. Pensiamo per esempio a praticare il ciclismo in Italia, con i suoi paesaggi così vari, che dal mare portano alla montagna, alle colline, ai laghi… è vero, nel ciclismo si può fare anche tanta fatica, ma la bici la si può vivere anche solo per fare una scampagnata tranquilla, gustandosi una giornata, la compagnia e un panorama coinvolgenti.
Cosa rappresenta per te e che rapporto hai con la bicicletta?
È uno strumento che mi permette di rilassarmi, che serve come valvola di sfogo se sono nervoso. Tante volte mi è capitato di uscire in bici per focalizzare meglio un determinato aspetto o situazione e mi ha permesso e mi permette di pensare più lucidamente e di fare scelte che si rivelano positive. In merito al mio rapporto, come dice mio padre, la bici ti premia a volte ti tradisce. Quest’ultimo aspetto mi è capitato di sperimentarlo in occasione delle ultime Olimpiadi: mi sono sentito davvero tradito in quel tratto di discesa in cui la ruota anteriore ha ceduto leggermente, facendomi allargare sulla traiettoria della curva e alla fine mi sono ritrovato per terra. Così in un attimo ho visto svanire tutto, il lavoro svolto, la fatica, la preparazione… però molte altre volte è il mezzo che mi ha permesso di raggiungere determinati obiettivi e di conquistare traguardi prestigiosi.
Che valore aggiunto potrebbero garantire le piste ciclabili per la sicurezza?
Le piste ciclabili sicuramente sono lo strumento che aiuterebbe di più a migliorare la sicurezza stradale. Troppo spesso sulle strade si rischia, si è esposti al pericolo di essere travolti, investiti. Già aiuta solo poter contare su una linea tratteggiata che indica chiaramente lo spazio riservato ai ciclisti perché offre la sensazione a chi è in sella di contare su uno spazio definito, che non invade la carreggiata riservata alle vetture. Purtroppo oggi la vita è sempre più frenetica, i ritmi sono molto più alti. Però da padre di una bimba che tra poco andrà all’asilo penso con una certa apprensione al tragitto, alla fretta di chi si reca al lavoro unita a quella di chi porta i figli a scuola, con il rischio di distrazione e delle pericolose conseguenze legate. Di incidenti poi che coinvolgono i ciclisti se ne sentono sempre di più. L’anno scorso un ragazzo della mia squadra amatoriale in Sicilia è venuto a mancare proprio a causa di un incidente. Ed è una tragedia che vorremmo tutti evitare.
Partendo dalla tua esperienza internazionale, quali sono i Paesi che ti hanno più colpito positivamente per la loro attenzione ai ciclisti?
Innanzitutto la Svizzera e in particolare Lugano, dove vivo da qualche anno. Qui tutte le strade, quantomeno le più trafficate, prevedono la presenza di piste ciclabili, ampie tanto che a volte è possibile girare affiancati. Addirittura con i miei compagni di squadra mi è capitato a volte di poter godere di questi spazi e circolare in piena sicurezza. Di certo, l’Olanda è un Paese dove la cultura della bici è ben radicata. Ci sono anche nazioni dove le piste ciclabili esistono solo nel contesto urbano, mentre all’esterno non ci sono.
E come giudichi l’Italia?
Il nostro è un Paese bellissimo e ricco di storia, ma spesso risente, a livello urbano, del vincolo costituito dalla presenza di strutture antiche, che limitano la possibilità di creare spazi riservati a pedoni e ciclisti.