Il globe-trotter Patrizio Roversi con la ex moglie Syusy Blady ha rinnovato il modo di parlare di viaggi in tv. E da innovatore continua a pensare a un turismo slow. Questa volta raccontato sul web e dedicato a chi ama il mare...
Negli ultimi vent’anni Patrizio Roversi, insieme all’inseparabile compagna di viaggi Syusy Blady, ci ha portato in giro per il mondo, realizzando programmi Tv che mettevano insieme turismo, cultura, divulgazione, incontri con luoghi e persone… tutto da un punto di vista rigorosamente personale. Lo stile che li caratterizza è infatti proprio quello dei viaggiatori della “porta accanto”. Abbiamo incontrato Patrizio Roversi per parlare della sua lunga esperienza di turista e velista per caso, dell’evoluzione” tecnologica” e dei loro progetti futuri.
Com’è iniziata l’avventura di Turisti per caso?
Con un viaggio a Parigi dove Syusy aveva girato alcune immagini che abbiamo in seguito mostrato a Gianni Minoli. Gli sono piaciute e per Mixer, la trasmissione della Rai, siamo andati a Mosca nell’’89 per un servizio che doveva essere politico sulle prime elezioni libere di quel Paese. Ma le annotazioni a margine di Syusy, che aveva incrociato per caso sulla piazza Rossa il Geiar di Dallas, mitico telefilm degli anni ’80, hanno colpito di più. Così è iniziata la nostra avventura televisiva, con il primo vero viaggio in India, dove siamo andati muniti di una piccola telecamera. Il risultato è stato trasmesso in Tv, è andato bene, e così siamo partiti con il programma Turisti per caso.
Perché il vostro è stato considerato un programma innovativo?
Prima di tutto usavamo telecamere semi professionali, all’inizio di quella rivoluzione tecnologica che in seguito avrebbe messo a disposizione di tutti strumenti informatici avanzati. Poi il racconto personale. Non si trattava del solito documentario con tanto di trama, copione, e una troupe numerosa. Vi è da dire che non era tutto così semplice, soprattutto nel lavoro successivo di visione, catalogazione, selezione del materiale girato. Si trattava di una lunga “ruminanza” che in media produceva un solo minuto di trasmissione per un giorno di lavoro. Il risultato era però un racconto, anche minimalista, ma reale della nostra esperienza di viaggio. La filosofia che ne emergeva si può sintetizzare con queste parole: se ce la facciamo noi, ce la possono fare tutti…quasi un’istigazione al viaggiare.
In seguito come si è evoluto il vostro progetto di viaggio?
È seguita la nostra esperienza di Velisti per caso, con un approccio diverso rispetto al passato: collegare in un viaggio tappe diverse ma con un unico progetto, con l’obiettivo di utilizzare un mezzo di trasporto molto rappresentativo come la barca a vela, quasi un totem, per affermare l’idea del viaggio lento, progressivo e l’attenzione a temi ambientali, visto che, per fare un esempio, sulla nostra barca “Adriatica” abbiamo adottato fonti di energia rinnovabili. Il passo successivo ci ha visto organizzare, con Evoluti per caso, un viaggio in America del Sud che ripercorreva le tappe toccate da Darwin, in occasione del bicentenario della nascita. La partecipazione di otto università italiane ci ha consentito di fare divulgazione scientifica, metterci a metà strada tra ricercatori, scienziati, studiosi che salivano in barca con noi, e il pubblico che ci vedeva da casa.
La disponibilità di nuovi sistemi di comunicazione è stata utile per esplorare possibilità diverse?
Sicuramente. Siamo da tempo approdati sul web con l’idea che chiunque può documentare e condividere con altri utenti le proprie esperienze di viaggio su una piattaforma dove, d’altro canto, tutti possono accedere per avere informazioni. Il prossimo progetto ora è di lanciare una web Tv. La mia idea sull’attuale modo di fare televisione è molto critica: sono contrario a una tv generalista che ha ammazzato il mercato, moltiplicando l’offerta sino allo spasimo. Credo che il futuro sia costituito da una Tv on demand, non più a flusso continuo dove si vedono programmi di cui magari non si è minimamente interessati in quel momento, ma piuttosto una web Tv capace di rispondere a esigenze e curiosità specifiche. Un primo esperimento – che abbiamo chiamato VideoPortolano anfibio, ed è previsto parta a gennaio – lo stiamo mettendo a punto in Liguria, dove vogliamo creare un portale, con molte informazioni in tre lingue, destinato ai diportisti italiani e stranieri sui porti e porticcioli e sulle attrazioni dell’immediato entroterra. Una specie di Tv di servizio che sarebbe bello replicare anche per altre zone dell’Italia.
Com’è cambiata, nel tempo, la sua percezione del viaggio?
Di solito mi chiedono se mi sento più viaggiatore o turista… credo sia una differenza che fa parte del passato. Con l’eccezione del turista interessato solo alle cartoline e ai villaggi-vacanze, figura che comunque mi sembra stia sparendo, credo si stai affermando sempre più l’idea del turismo a tema. Penso ai viaggi che ho fatto con i podisti i quali hanno, è vero, uno scopo preciso che è quello di partecipare a delle gare, ma che nel frattempo vedono anche il mondo. Oppure il viaggio a piedi, simile a quello in barca a vela, perché allo stesso modo ti fa misurare le distanze e risponde a esigenze diverse, di tipo spirituale se fai il pellegrinaggio a Santiago di Compostela per esempio, oppure per ritrovare se stessi, o ancora per riprendere il contatto con l’ambiente naturale o paesaggistico.
Il viaggio organizzato ha ancora un futuro?
Ci sono Paesi dove è inutile o pericoloso avventurarsi da soli e dove è meglio affidarsi a un viaggio organizzato. Penso all’Egitto dove è preferibile affidarsi all’agenzia per organizzare la spina dorsale del percorso, che tanto ha tappe obbligate, cui magari aggiungere visite di interesse personale. Oppure è pericoloso andare da soli in certe aree del mondo, come il deserto africano o in un posto come lo Yemen. Altri esempi che mi vengono in mente sono quelli di Cuba, dove è preferibile iniziare con una prenotazione di due giorni in un albergo per poi trasferirsi sicuramente in una delle loro “case particular” per un rapporto più diretto con un popolo meraviglioso. Anche per il Giappone, Paese di non semplice comprensione per noi occidentali, consiglio di affidarsi a una guida locale – sono in molti a conoscere l’italiano – magari attraverso la società Dante Alighieri, per entrare davvero in contatto con la loro cultura. Penso che il futuro delle agenzie turistiche sia quello di diventare molto più flessibili, senza pretendere cifre eccessive, per personalizzare il più possibile i viaggi tagliandoli “su misura”.
Ha sempre senso andare a vedere di persona realtà che troviamo in tv, sui giornali, oppure su internet?
Senza nessun dubbio ha senso più che mai viaggiare perché basta girare al di fuori dei cosiddetti non-luoghi, come aeroporti, hotel o centri commerciali, per trovare differenze e contraddizioni che neppure immaginiamo. Il viaggio è fatto “fisicamente ” di incontri con persone che sono i “miei incontri” e le “mie esperienze”, del tutto diversi dai tuoi. Se grattiamo un po’ la crosta della globalizzazione si scoprono mondi dalle diverse identità e l’orgoglio delle proprie origini sembra quasi rafforzarsi invece di scomparire.
È importante, quindi, entrare in contatto con la cultura locale del posto che visita?
Basta aver voglia di uscire dagli alberghi, da dietro i finestrini del pullman per vedere il mondo, per conoscere popoli splendidi. Quando sono partito per il mio primo viaggio in India, non ne avevo voglia, lo confesso, soprattutto avevo paura. Mi è bastato poco per vincere la mia pigrizia e la mia diffidenza ed entrare in contatto con i luoghi e le persone. La cultura del posto è una variabile indispensabile del viaggio. Lo è anche a New York, dove la cultura locale è paradossalmente quella globale, ma proprio per questo è unica e interessante.
Il viaggio che ricorda più volentieri?
Ogni viaggio ha una sua ragione e per questo io sono per il ritornare in luoghi già visti perché il mio obiettivo è sentirmi adattato, accolto dal posto che visito. Per questo mi piacerebbe ritornare nella Polinesia francese per rivedere luoghi già visti e anche isole dove non sono stato per ritrovare il Paese com’era cinquant’anni fa. Oppure, un mio posto d’elezione è l’America latina dove tornerei di corsa nonostante l’abbia già girato molto, perché sento molte affinità con la loro ideologia, lingua, cibo… e mi accorgo che sono molto più vitali rispetto a noi che scontiamo gli effetti di quest’Europa in crisi.
E il prossimo progetto?
Abbiamo terminato da poco Misteri per caso, un progetto – voluto soprattutto da Syusy – divenuto anche un libro che ha riunito tutte le contraddizioni e i misteri archeologi e storici incontrati in venti anni di viaggi. Abbiamo il progetto della web Tv. Però l’idea che vorremmo realizzare insieme e che a me piace molto, è quella di uno slow tour che vorremmo chiamare “Italiani non per caso”, fatto nel nostro Paese, girando in tutta libertà, senza programmi precisi: in auto, camper, treno o anche a piedi, al di fuori dei percorsi turistici classici, ma seguendo tutte le piccole vie e strade del nostro territorio. Perché il Paese a più alta variabilità paesaggistica, ambientale, culturale, gastronomica resta sempre l’Italia.