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Michele De Lucchi: lo zen delle case-scultura e i progetti ispirati a Gandhi

di di Maria Vittoria Capitanucci
19 Agosto 2013

Il famoso architetto predilige il legno. Materiale che, secondo lui, il tempo rende ancora più bello. Si concentra costruendo piccole case. E crede che i principi fondanti della vita possano convivere con la consapevolezza del presente. Con un invito. Tornare a essere semplici

Architetto Michele De Lucchi, Ministry of Internal Affairs of Georgia and Patrol Police Headquarter, Tbilisi, Georgia, 2006-2009

Michele De Lucchi è uno degli architetti e designer più affermati in Italia. Vincitore del Compasso d’oro con la lampada Tolomeo di Artemide, ha collaborato con le più note aziende italiane, da Olivetti a Telecom, da Compaq a Philips, progettato e ristrutturato edifici in Italia e nel mondo. Portano la sua firma anche la ristrutturazione della Triennale di Milano (uno dei progetti a cui è più legato) e il Neues Museum di Berlino. Dal 1990 ha creato Collezione privata, un’azienda in cui disegna prodotti utilizzando una tecnica e una filosofia artigianali. Nel 2006 gli è stata conferita una laurea ad honorem per il suo contributo alla qualità della vita.

Michele De Lucchi, foto di Ottorino De Lucchi

Lei che ha sempre dimostrato un forte senso etico e un interesse nei confronti di un vivere consapevole, può indicarci le linee guida per l’abitare?

La consapevolezza del presente e il recupero dei valori più antichi vivendo con semplicità. Vivere consapevole è anche preoccuparsi delle cose che si consumano con maggiore velocità: l’energia e i materiali, certo. Ma ci sono altre due cose che non bisogna sprecare: sono lo spazio e il tempo. Buttare via spazio per noi architetti è immorale; sprecare il tempo è cosa comune, ma affidata alla coscienza di ognuno.

Nella sua architettura e nel suo design il legno è un materiale che torna costantemente, una presenza che è più di una passione. Ci racconti perché lo predilige.

È vero: il legno è per me un materiale unico; lo amo per il suo profumo, per la sua consistenza, per il suo colore (un mondo fatto di legno, però, sarebbe eccessivamente rustico per me). Ma soprattutto, amo i materiali che invecchiano bene, il legno, la pietra, il metallo. Si tratta di lasciare a questi materiali la loro autenticità accettando la loro naturalizzazion. Il tempo è il più grande artista che esista, quallo che riesce a fare sulla superficie delle cose è inimitabile.

Il legno è il materiale delle sue case-scultura, le piccole casette intagliate. Come nasce questa passione?

Tutto è iniziato quasi casualmente, nella mia casa sul Lago Maggiore. Desideravo utilizzare pezzi di tronco che mi piacevano tanto senza “sacrificarli” nel fuoco. Per ‘concentrarmi’ in maniera zen, volevo contemporaneamente impegnarmi in qualcosa e poiché riesco a immaginare soprattutto costruzioni ho iniziato a ritagliare pezzi di legno con la sega elettrica e combinarli fino a trasformarli in vere case di piccole dimensioni; la piccola scala ti permette di curare i dettagli.

Michele De Lucchi, con Angelo Micheli, Silvia Suardi e Sergio Virdis, Chesa Ritscha, Zuoz Svizzera 2005/2008, foto di Santi Caleca

Quali dei suoi valori di architetto e uomo attento al significato delle cose vorrebbe aver trasmesso ai tuoi figli….

Quello che ho sempre cercato di fare, più che insegnare valori, è stato dare loro il massimo di libertà nelle scelte…

Quale dei suoi progetti di architettura del passato o del presente rappresenta meglio, secondo lei, il suo concetto di architettura, la rappresenta di più?

Michele De Lucchi, Fondazione La Triennale di Milano, 2008 foto di  Alessandra ChemolloSono affezionato a molti dei miei progetti; quello a cui mi sento più legato in questo momento è una casa a Zuoz, in Engadina, nata dalla ristrutturazione di un fienile fatto completamente di legno. Abbiamo scelto di mantenere il più possibile l’antica struttura muraria e abbiamo ridisegnato tutti gli elementi in legno, dalle travi ai fronti, che sono una composizione di finestre di differenti dimensioni. Ho nel cuore anche la ristrutturazione della Triennale e i numerosi progetti per palazzi rappresentativi in Georgia e in Libia. Lavorare per un edificio come quello del Ministero degli interni georgiano, che deve simboleggiare l’orgoglio e l’identità di una nazione, è una bella sfida. È straordinario progettare per una nazione e non per un cliente: bellissimo se va bene, molto frustrante se va male. Il Ponte della pace, che sto realizzando in Georgia, è diventato una sorta di simbolo dei georgiani nei confronti del mondo.

Avendo avuto modo di conoscere da vicino grandi personaggi del design e dell’architettura, o della cultura in generale, chi ritiene possa essere stato per te un maestro?

Guardi questa statuina: molti mi prendono  in giro per questo mio attaccamento a Gandhi, anche e soprattutto i miei figli. Io invece ritengo possa considerarsi la figura che più di tutti ha espresso un valore fondamentale anche per la condizione contemporanea: il fatto che si possa vivere in assoluta semplicità.

Nel suo studio ci sono molti elementi che appartengono alla cultura orientale; in che modo questa influenza il suo modo di pensare, la sua cultura progettuale e la sua vita in generale?

Per me la cultura orientale ha un grande fascino; penso, inoltre, che dall’incontro tra i millenni di cultura occidentale e orientale potrebbe nascere una strada per una nuova visione del futuro.

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