A Milano, l’architetto palermitano firma un progetto modello di riqualificazione urbana in uno storico quartiere di edilizia popolare. Case a basso impatto, per studenti, realizzate in cima a quattro torri. All'insegna della sostenibilità
Stop al consumo di suolo, sì al recupero del patrimonio di case popolari e alle costruzioni in housing sociale che crescono sui tetti.
A Milano, con l’intervento nel quartiere storico e degradato dell’Aler (Azienda lombarda per l’edilizia residenziale) di via Russoli, nella periferia del capoluogo lombardo, Mario Cucinella fa tris e centra tre obiettivi in un solo progetto: realizzazione di abitazioni per i giovani universitari, recupero e adeguamento alle nuove prestazioni di efficienza energetica del patrimonio residenziale esistente, rigenerazione e riqualificazione urbana.
Vincitore del concorso pubblico lanciato dall’Aler per la riqualificazione delle quattro torri da otto piani ciascuna e l’ampliamento della superficie di circa 3.500 metri quadrati, Cucinella ha puntato sul concetto di “mixitè” (la capacità di rigenerare insediamenti urbani integrando diverse funzioni e altrettante fasce sociali): alla riqualificazione energetica e al ridisegno degli spazi comuni interni ed esterni agli edifici si è affiancata la costruzione di residenze per studenti universitari.
Collocate sulle coperture delle torri con una vista grandiosa sulla metropoli, le nuove residenze per circa cento studenti (edificate utilizzando sistemi costruttivi prefabbricati di legno) si sviluppano con due diverse tipologie: il microvillaggio con piccole unità abitative indipendenti di forme e dimensioni diverse, e una costruzione più compatta sul modello dell’albergo, dove gli alloggi sono distribuiti attorno a un nucleo centrale. Tutto con una buona dose di verde.
Il tornaconto, per Aler e i suoi inquilini, è moneta sonante. A fine intervento (i cantieri apriranno a primavera 2012), le “nuove” case Aler frutteranno all’ente 71mila euro l’anno di ricavo applicando gli incentivi del Conto Energia; gli edifici esistenti avranno classe energetica B e consumeranno il 50% in meno di energia primaria per il riscaldamento invernale (grazie al rifacimento integrale degli involucri esterni e dei serramenti), mentre i nuovi sopralzi saranno in classe A.
I Inoltre 1.500 metri quadrati di superficie di pannelli fotovoltaici copriranno la metà del fabbisogno di elettricità delle abitazioni realizzate ex novo e abbatteranno le emissioni di CO2 di 108 tonnellate/anno. L’uso del verde sulle coperture degli spazi di collegamento comuni al piano terra contribuirà, infine, al raffreddamento passivo riducendo l’effetto “sola di calore” nei mesi estivi.
Con questa esperienza di riqualificazione nasce un progetto-modello per un nuovo approccio alla città e alla sua trasformazione?
Tutto è partito da un’esigenza molto importante: il ripristino della qualità e della salubrità delle torri, che a quarant’anni dalla costruzione avevano raggiunto un livello elevato di decadimento, aggravato dalla presenza di pannelli di amianto. Dalla riqualificazione di questo patrimonio è quindi stata colta l’occasione per realizzare una residenza per studenti. Nello stesso tempo per queste case, nelle quali si sono insediate negli anni vere e proprie comunità, la riqualificazione è un’azione edilizia e anche sociale: l’inserimento degli universitari nel contesto generale ha suscitato entusiasmo fra gli abitanti e il loro arrivo creerà una nuova mixitè nell’intero insediamento. Ma non solo.
Gli edifici acquisiranno anche una nuova dignità e un valore di immagine. Case riqualificate, sane e a risparmio energetico che potranno in qualche modo risarcire gli abitanti storici del quartiere per un lungo disagio e una situazione degenerata negli anni.
Il progetto prevede, fra l’altro, la costruzione di minivillaggi pensili e il ridisegno anche funzionale degli spazi comuni. Come cambierà il modo di abitare lo spazio?
L’idea di una riqualificazione totale è piaciuta molto agli abitanti, soprattutto per gli spazi al piano terra pensati fin dall’inizio per un uso comune ma da sempre, invece, inutilizzati. Da parte loro è stata forte l’esigenza di “sentire” che questo spazio fosse rimesso finalmente in gioco, il progetto lo recupera a un uso destinato in parte alla ricollocazione di appartamenti e in parte a spazi comuni al servizio degli studenti.
Alla scala urbana il ruolo del piano terra è fondamentale perché con un percorso comune lega fra loro le quattro torri in un solo complesso. Un principio di unitarietà che abbiamo ribadito con il rifacimento delle pavimentazioni esterne, la creazione di micropiazze e giardini e la manutenzione degli orti urbani.
Perché avete scelto di utilizzare un sistema di prefabbricazione in legno?
Innanzitutto per un fattore tecnico: il legno, materiale più leggero del cemento, ci ha consentito di realizzare velocemente due piani al di sopra gli edifici esistenti senza incidere sul peso a carico delle strutture, con importanti prestazioni strutturali e di comfort abitativo. In più questo materiale ha il grande vantaggio di trattenere CO2 e quindi di contribuire a ribilanciarne le quote in atmosfera e combattere l’inquinamento.
Quali sono i problemi legati all’attuazione di un intervento come quello avviato con Aler a Milano?
Il primo è legato alla cartolarizzazione degli immobili che ha frammentato la proprietà edilizia: se non c’è una proprietà pubblica omogenea come in questo caso, che si faccia carico del varo di un’azione sociale di questa portata, dei lavori e dei relativi costi, si rischia l’impossibilità di intervenire.
E i vantaggi?
Un progetto di queste dimensioni mette in moto un importante meccanismo di microeconomia, e nel contempo si fa portatore di un messaggio chiaro: non bisogna più costruire tanto quanto abbiamo fatto in passato ed è necessario ristrutturare il patrimonio esistente. O mettiamo le mani sull’edilizia già costruita o non riusciremo a contenere l’inquinamento e i costi legati allo sfruttamento delle risorse. Solo in questo modo i temi dell’energia e della sostenibilità hanno un senso. E si tratta del 90 per cento di quello che è stato costruito.
Cosa pensa degli interventi radicali di demolizione e ricostruzione che recenti dispositivi di legge iniziano a recepire in chiave operativa?
L’apertura alla possibilità di demolire e ricostruire è uno strumento giusto per cercare di dare vita a un meccanismo virtuoso nella riqualificazione urbana, ma parlando di interventi per l’housing sociale bisogna usare qualche cautela.
Se pensiamo ai problemi legati alla rimozione e allo smaltimento dell’amianto, alla necessità di sostituire impianti tecnologici a rischio oppure serramenti vecchi e non effficienti per risparmiare energia, demolire sembra l’operazione più semplice. Il problema è ricollocare le famiglie che ci vivono.
Oggi si parla di housing sociale solo in termini di chilowattora e consumi energetici ma dentro gli edifici soggetti a questo tipo di interventi risiedono persone e famiglie da 30-40 anni. In questi quartieri si sono radicate comunità con le quali si deve dialogare e spiegare loro il cambiamento in atto, con adeguati strumenti di comunicazione. Dobbiamo fare i conti con questa complessità e non con una questione legata solo ai metri cubi o al numero di alloggi. Demolire un quartiere fatiscente non deve essere l’occasione per demolire una comunità.