Wise Society : Marco Silano: con il glutine cureremo la celiachia
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Marco Silano: con il glutine cureremo la celiachia

di di Francesca Tozzi
15 Febbraio 2011
SPECIALE : Le insidie della Celiachia

Il direttore del reparto Alimentazione dell'Istituto Superiore di Sanità racconta i progressi di una ricerca italiana che potrebbe cambiare in meglio la vita di tutti i celiaci. Partendo proprio dalla loro sostanza più vietata: il glutine, che al suo interno contiene anche una componente "benefica" in grado di contrastare lo scatenarsi della malattia

Marco Silano, ricercatoreCirca dieci anni fa i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità hanno scoperto all’interno di una particolare varietà di grano duro la presenza di un peptide protettivo nei confronti della malattia celiaca. Marco Silano, direttore del reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) e responsabile scientifico del progetto di ricerca, ne ha seguito l’evoluzione passo dopo passo e ce ne spiega i risultati. Si tratta una scoperta tutta italiana che potrebbe cambiare la vita ai celiaci, la cui unica terapia oggi disponibile è la dieta con alimenti privi di glutine, derivati da farine alternative a quella di grano, insipidi, più cari e meno validi a livello nutrizionale.

 

Cos’è esattamente il “peptide protettivo”?


È una sequenza di dieci aminoacidi identificati all’interno della gliadina, una delle proteine che compone il glutine che a sua volta è contenuto nel grano. Questa sequenza protettiva, che abbiamo chiamato 10mer, è in grado di inibire la risposta immunitaria che si scatena nei soggetti celiaci quando mangiano cibi contenti glutine, risposta che, come è noto, provoca infiammazione a livello della mucosa intestinale.

 

Separazione del glutine dalla farina di grano attraverso un flusso d'acqua, album di El Bibliomata/flickrMa scusi non è la stessa gliadina a scatenare la risposta immunitaria patologica?

 

Esatto. La gliadina contenuta nel glutine, una proteina composta da una lunga catena di aminoacidi, da 220 fino a 260, ha al proprio interno delle componenti che attivano i linfociti del celiaco al fine di distruggere quello che dal sistema immunitario è interpretato come una tossina. Al contempo, però, nella varietà di grano da noi studiata la stessa gliadina contiene al proprio interno questa sequenza di dieci aminoacidi che non solo non attiva il sistema immunitario del celiaco, ma contrasta addirittura l’azione delle componenti tossiche della proteina. È la cosa che mi ha sempre affascinato di più in questa ricerca: la soluzione del problema è nel problema stesso, la cura è cioè contenuta in quella stessa sostanza che scatena la patologia.

 

Questa sequenza proteica è una nuova scoperta?


Veramente sequenze protettive esistevano anche prima ma erano artificiali, venivano tutte sintetizzate in laboratorio. La vera novità è che abbiamo scoperto il 10mer in natura all’interno di alimento vietato ai celiaci. Il problema è che il peptide protettivo è espresso nel grano in concentrazioni basse rispetto ai peptidi tossici quindi così com’è non è efficace. Bisogna andare ad aumentare l’espressione genica del peptide.

 

Ovvero creare un OGM?


Assolutamente no. Non facciamo confusione. Non si tratta di un lavoro di ingegneria genetica in quanto non andiamo a trasferire i geni di una qualità di grano all’interno di un’altra: la sequenza è presente naturalmente in questa varietà di grano e quindi si tratta di sovra esprimere qualcosa che c’è già e che il nostro organismo è abituato ad assumere.

 

Grano, album di Chasqui/flickrMa stiamo sempre parlando di una sola varietà di grano…


Sì, l’Adamello. Per aumentare l’espressione del 10mer è sufficiente un solo tipo di grano ma stiamo comunque facendo anche un lavoro di screening su altri grani per verificare se esistono altre varietà che la esprimono. Ci serve per capire perché questa sequenza protettiva è finita nel grano, dove in realtà è molto rara, durante le sue fasi evolutive.

 

Fasi evolutive del grano?


Certo, la selezione naturale non vale solo per gli animali. I grani antichi erano diversi da quelli attuali e si sono naturalmente evoluti, modificando il proprio genoma e le strutture proteiche, allo scopo di crescere meglio alle condizioni ambientali in cui venivano a trovarsi. L’adeguamento all’habitat ha cambiato progressivamente l’espressione delle proteine e in particolare della gliadina che, non avendo funzioni enzimatiche ma di conservazione dell’energia, poteva modificarsi senza che la pianta ne soffrisse. L’intolleranza al glutine è arrivata in un secondo momento rispetto alla comparsa dei cereali perché i primi avevano una composizione proteica che non dava problemi. L’uomo poi ha coltivato le specie più resistenti ovvero ha selezionato i grani che avevano una resa maggiore proprio perché dotati di una certa struttura proteica, struttura in cui la gliadina aveva una composizione maggiormente tossica. Ma ancora una volta: se l’agricoltura ha originato il problema, sarà l’agricoltura a risolverlo.

Growing wheat, Peter Beck/Corbis

In che senso?


Si lavorerà sul campo facendo incrociare tipologie di grani che consentiranno di fare esprimere maggiormente il 10mer; l’unica differenza rispetto all’evoluzione naturale è che in questo caso gli incroci saranno guidati e sarà quindi necessario operare in zone protette per evitare che avvengano incroci naturali non desiderati. Ci stiamo appoggiando a degli agronomi qualificati ma siamo ancora agli inizi. Bisogna ricordare che l’Istituto Superiore di Sanità è il capofila e il responsabile della ricerca perché ha scoperto la sequenza protettiva 10mer ma si tratta di un lavoro di squadra dove però le componenti sono tutte italiane.

 

Quanto ci vorrà prima di arrivare a un piatto di pasta tollerata da un celiaco?


Impossibile dirlo. In vitro è stata dimostrata l’efficacia del fattore protettivo del 10mer nei confronti delle parti tossiche della gliadina. Fuori dal laboratorio stiamo lavorando alla fase agricola con le difficoltà date dal fatto che non ci possiamo allontanare dalla sequenza protettiva presente nel grano per sovraesprimerla ovvero non possiamo modificare le catene di aminoacidi così come si farebbe in una sequenza sintetizzata artificialmente. Ci sarà poi la fase della tecnologia alimentare che porterà al prodotto finito ma dovrà essere un grano capace di resistere alla preparazione della farina, alla cottura dell’alimento e alla sua digestione da parte degli enzimi gastrointestinali. La via da percorrere è questa…

 

E all’estero non si fanno ricerche in questo senso?


Certo. Anche fuori dall’Italia si fa ricerca per trovare una terapia alternativa alla dieta senza glutine ma i più si stanno muovendo con un approccio di tipo farmacologico, molto diverso dal nostro. Mi preme evidenziare che quello che vogliamo ottenere non è un farmaco ma un cibo, che si troverà nei comuni supermercati allo stesso prezzo e con lo stesso gusto dell’equivalente che oggi i celiaci non possono mangiare. La modifica dell’espressione proteica del grano non avrà conseguenza sul gusto della pasta da esso ricavato, il che uniformerà la dieta dei celiaci a quella di tutti gli altri, con notevole miglioramento della loro qualità della vita.

Gluten Flour, album di FotoosVanRobin/flickr

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