Wise Society : Marco Olmo: campione di corsa estrema a sessant’anni
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Marco Olmo: campione di corsa estrema a sessant’anni

di di Francesca Tozzi
30 Novembre 2010

Schivo e vegetariano, il corridore piemontese ha iniziato tardi l'attività podistica. Ma l'età non è mai stata un ostacolo per lui che, racconta, da questo sport ha imparato tanto: rispettare l'avversario, affrontare i sacrifici e dosare le forze. Perché conoscere i propri limiti significa avere un marcia in più. Anche nella vita

Marco Olmo, atletaNon è mai troppo tardi: sarà pure un modo di dire diventato un luogo comune, ma si adatta bene a un “corridore” come Marco Olmo, atleta per caso e per passione mai per professione. Un uomo che senza pretese e senza fare troppa scena è diventato campione del mondo di corsa estrema alla tenera età di quasi 60 anni. Piemontese, schivo, amante dei grandi spazi, della natura, del silenzio, è considerato uno dei più grandi specialisti delle corse estreme. Vanta un palmares di tutto rispetto eppure ha intrapreso l’attività podistica quando gli altri smettevano. Dopo le prime gare, a quarant’anni, ha iniziato ad affrontare competizioni estreme nel deserto africano e non si è più fermato. Si è piazzato fra i primi diverse volte nella Marathon des Sables, più di 240 chilometri nel deserto marocchino, in autosufficienza alimentare e condizioni climatiche proibitive. Dopo aver collezionato successi e primi posti nella Desert Cup e nella Desert Marathon, tra le altre, nel 2005 si è classificato terzo assoluto, ma primo italiano, nell’Ultra Trail du Mont Blanc, la gara di resistenza più importante e dura al mondo: 166 chilometri no stop con 9400 metri di dislivello attraverso Francia, Italia e Svizzera. A 58 anni l’ha vinta ed è diventato Campione del Mondo. Abbiamo cercato di capire se c’è una ricetta dietro questi incredibili successi. Nessuna formula magica in realtà: “solo” tenacia, disciplina mentale, buona salute e tanta sostanza…

 

Marco Olmo, giugno 2010Marco, com’è cominciata?


Per caso. Avevo 27 anni, facevo il camionista e conducevo una vita sedentaria che mi dava qualche problema. Mi sono fatto male e dalla finestra della camera dove sono stato costretto a stare per diverso tempo vedevo le montagne: ho pensato che sarebbe stato bello prima o poi percorrerle. Ho fatto molti lavori fra cui il boscaiolo e il contadino per cui l’attività fisica non è mi è di certo mancata ma non ho mai fatto sport nel vero senso della parola: 50 anni fa anche giocare a calcio era un lusso che non tutti si potevano permettere. Comunque, a dispetto delle battute sarcastiche, ho cominciato a partecipare alle corse del paese e a fare sci di fondo. Facevo la mia giornata di lavoro e mi allenavo nel tempo libero. La corsa richiede allenamento, dedizione e sacrifici, soprattutto se si fa per hobby e non per professione perché devi riuscire a conciliare molte cose.

 

Non si è mai sentito a disagio per la differenza d’età con la media degli altri atleti?

 

Correre insegna molto. Insegna in primo luogo a rispettare l’avversario: non ho nessun problema a correre insieme a giovani professionisti sulle montagne o nel deserto, anzi loro sono i miei primi fan. Non mi sono mai sentito a disagio per la mia età. Quando ho vinto l’Ultra Trail du Mont Blanc avevo 58 anni, e 59 ne avevo l’anno successivo quando l’ho vinta di nuovo. Si tratta di una gara molto dura, vinta prima e dopo di me da atleti che avevano la metà dei miei anni e che corrono per mestiere con tanto di medici e preparatori atletici al seguito. Non sono io quello che eventualmente si deve sentire a disagio, non trova? A parte le battute, il bello della corsa è anche che non si respira quel clima avvelenato tipico di altri sport, non succedono le cose che abbiamo visto capitare, per esempio, sui campi da calcio.

Ultra Trail du Mont Blanc en directo su www.kilianjornet.com, album di JuanJaén/flickr

Un ambiente sano quindi…

 

Si, per quanto troppo legato ancora all’apparenza a scapito della sostanza. Sono stato criticato spesso per il mio abbigliamento poco elegante dato che indosso sempre la stessa maglietta nel deserto come in montagna, con dovute aggiunte si intende, quando ormai sembra non si possa fare a meno di avere il pantalone tecnico o la t-shirt speciale. Ma non è certo l’abito che fa lo sportivo. È solo business. Cercare di adeguarsi a modelli imposti non va bene ed è pericoloso.


In che senso?

 

Nella corsa come nella vita non si deve strafare. Nella corsa non puoi permetterti di fare debiti, soprattutto nelle gare lunghe. È importante aver presente l’obiettivo, ma ancor di più dosare le forze, conoscere i propri limiti, sapersi gestire. Contano il carattere e la disciplina mentale. Sono 35 anni che mi alleno. Nelle prime gare, quando arrivavo quarantesimo su centoventi, vedevo gente che partiva forte e poi ogni volta li recuperavo. Eppure non lo capivano: tiravano all’inizio per bruciarsi quasi subito, correvano oltre il loro limite. Che senso ha? Se sei uno che corre a 3.10 al chilometro e fai il primo correndo a 3.2 ti intossichi subito di acido lattico il che vuol dire che hai sbagliato tutto già in partenza e non recuperi più. L’euforia e la grinta eccessiva si pagano sempre. Io corro in rimonta, non mi interessa stare dietro all’inizio quanto piuttosto correre bene, e soprattutto stare bene.


Per questo è diventato vegetariano?

 

Sono diventato vegetariano per motivi di salute ma certo è una cosa che ti cambia la vita e il modo di vedere le cose. Per produrre un chilo di carne ci vogliono circa 27 chili di cereali e legumi, capaci di nutrire molte più persone. Essere vegetariano non è solo una scelta individuale se può sconfiggere la fame nel mondo. Si può fare ed è conciliabile con un’attività sportiva di grande impegno. Sono vegetariano da quando avevo 37 anni e ho vinto quello che ho vinto. L’esempio conta più della parole, no?

 

Quanto conta la giusta preparazione?

 

La gara è sempre lo specchio di quello che si è fatto prima: nella corsa non si inventa niente. Ricordo che quando partecipai a una Marathon des Sables, arrivato all’aeroporto, in Marocco, dissi che metà gara era fatta; alcuni atleti mi rivolsero strane occhiate. È buffo perché ho sempre pensato che lo sport faccia bene, ma poi vedo squadre di fior di professionisti che a 20-30 anni corrono portandosi dietro un’équipe di medici. Questa cosa mi ha sempre fatto pensare

Marco Olmo, giugno 2010

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