Wise Society : Guerra in Ucraina: ecco perché nessuno di noi può ritenersi davvero innocente
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Guerra in Ucraina: ecco perché nessuno di noi può ritenersi davvero innocente

di Vincenzo Petraglia
6 Marzo 2022

La corsa agli armamenti in piena pandemia e la posizione ambigua (anche dell’Italia) sul nucleare, solleva responsabilità anche dell’Occidente nei confronti del conflitto. Come ci spiega Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento

L’arbitraria aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina e al suo popolo è un qualcosa di assolutamente ingiusto e ingiustificabile e che va condannato senza se e senza ma. Su questo non c’è ombra dubbio. Un qualcosa che ci tocca profondamente, intanto perché tutto si sta svolgendo così vicino a casa nostra e perché ci sentiamo un po’ tutti ucraini, un popolo che conosciamo bene tramite le tante badanti e i tanti infaticabili lavoratori che frequentano da tempo le nostre case, e poi perché questa situazione così esplosiva mette a rischio l’assetto stesso dell’Europa, cuore della democrazia nel mondo.

Questo, però, non deve farci dimenticare che situazioni di questo tipo sono molto complesse, spesso il risultato di un percorso in cui le responsabilità non pendono quasi mai solo da una parte, come ci aiuta a comprendere in quest’intervista Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento e membro dell’esecutivo della Rete italiana Pace e Disarmo, fra le più autorevoli figure della nonviolenza in Italia.

Il problema è serio e ovviamente non è facile trovare soluzioni, a maggior ragione pacifiste, vista l’escalation della situazione da quando è cominciata l’invasione russa. Ma come Europa e come Occidente abbiamo il dovere di assumerci le nostre responsabilità. Per esempio nei confronti dei 1.891 miliardi di dollari spesi nel mondo nel 2020 per la corsa agli armamenti, che, nonostante la pandemia e la conseguente profonda crisi economica, ha fatto registrare un incremento del 2,6% rispetto al 2019, come tristemente registra l’ultimo rapporto Sipri (Stockholm international peace research institute).

bandiera ucraina

Foto: Artem Kniaz / Unsplash

Una spesa che rappresenta ben il 2,4% del Pil mondiale con gli Stati Uniti che spendono per acquistare armi ben 778 miliardi di dollari, al primo posto della relativa classifica, seguiti da Cina, con 252 miliardi, India e Russia con una spesa rispettivamente di 72,9 e 61,7 miliardi, e con l’Italia che, in undicesima posizione, destina alle armi ben 28,9 miliardi di dollari, mentre occupa il decimo posto nella classifica dei maggiori esportatori di armi (ne ha vendute nel 2020 – peraltro anche a Ucraina e Russia, contravvenendo all’embargo verso quest’ultima – per un valore pari a 4,6 miliardi di euro).

Soldi che alimentano la florida industria bellica mondiale (+1,3% di ricavi globali nel 2020 rispetto all’anno precedente) e foraggiano i tanti conflitti che dilaniamo, nella quasi totale indifferenza generale, ancora molte aree del pianeta e di cui bisognerebbe fare ammenda, al di là di qualsiasi ipocrisia e posizione di comodo. Anche perché la minaccia innescata da un’eventuale escalation della situazione in Ucraina è molto seria, visto che nel mondo sono ben nove le nazioni (fra cui anche Francia e Gran Bretagna) che posseggono testate nucleari e visto che soltanto Russia e Stati Uniti ne posseggono insieme ben 11.725, alcune (quelle americane), peraltro, installate anche nel nostro Paese.

Come vede la situazione ucraina?

Molto delicata, c’è bisogno di un immediato cessate il fuoco, non di buttare altra benzina sul fuoco, come purtroppo si sta facendo con l’invio di armi in Ucraina. C’è bisogno però, per riuscirci, di un’iniziativa forte, autorevole, generalizzata dell’opinione pubblica internazionale affinchè possa imporre la sua volontà, lì dove i governi hanno fallito, di far tacere le armi. Lì dove i potenti della Terra non sono riusciti ad arrivare può riuscire l’opinione pubblica popolare che, se unita, può diventare soggetto attivo e fondamentale di questa ampia trattativa internazionale.

Di cosa c’è più bisogno ora come ora?

Di soccorrere le vittime, il che vuol dire certamente aiuti sanitari e alimentari, rispetto dei corridoi umanitari per far evacuare i civili, sostegno a chi vuole scappare o disertare la guerra, sia da una parte che dell’altra, e più di tutto disarmare le due parti. Perchè di tutto c’è bisogno tranne che buttare altra benzina sul fuoco. Si tratta di un incendio vicino a una polveriera pronta ad esplodere, nel cuore dell’Europa. Noi associazioni pacifiste siamo contrari nella maniera più assoluta all’invio di armi in Ucraina.

Ma come si può pensare di fermare l’aggressione del regime di Putin? In cosa abbiamo sbagliato per arrivare a questo punto?

Quando inizia una guerra è come un terremoto. È tardi per pensarci quando il terremoto è già arrivato. Però magari prima del terremoto si poteva costruire una casa con criteri antisismici. Criteri che noi sollecitiamo da diversi decenni…

Sta dicendo che è colpa nostra, dell’Occidente, quanto sta avvenendo?

Premesso che l’aggressione di Putin non ha giustificanti, sto dicendo che nel 2014, dopo la prima aggressione russa nel Donbass, tutto il movimento pacifista ha chiesto a gran voce di non vendere le armi a Russia e Ucraina. Invece si è continuato a farlo, anche l’Italia ha continuato a farlo, violando l’embargo nei confronti della Russia. Continuare a vendere queste armi non ha fatto altro che aumentare il rischio di conflitto e oggi ne vediamo tutti le conseguenze. Lo stesso si è fatto con l’Ucraina. Continuando a consegnare armi e munizioni per tutto questo tempo siamo stati corresponsabili di questo conflitto.

Purtroppo ogni cosa, la storia, parte da molto lontano: quando si vince la storia ci insegna che non bisogna mai umiliare il nemico, cosa che invece è stata fatta con la Russia, proprio come era avvenuto in passato con Hitler. Questo, ripeto, non offre alcuna giustificazione a quanto Putin sta facendo, ma svolte che talvolta ci sembrano incomprensibili in realtà hanno radici lontane e seguono un processo di sviluppo in cui le responsabilità non pendono quasi mai soltanto da una parte.

Ma come ci si può difendere nel momento in cui si viene aggrediti così com’è avvenuto?

Mandare armi è la scelta più facile, ma inviare nuove armi è sbagliato, non è la soluzione. Bisogna aiutare gli ucraini nel loro sacrosanto diritto di difesa, ma la strada migliore sarebbe quella di un sostegno alla difesa civile della popolazione per favorire una de-escalation della situazione. 

Mao Valpiana

Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento e membro dell’esecutivo della Rete italiana Pace e Disarmo.

Mentre fino a questo punto è chiaro che c’è un aggressore e un aggredito, quando un conflitto inizia e si espande diventa poi difficile fare distinzione fra buoni e cattivi. Diventiamo tutti cattivi. 

Per un reale cessate il fuoco sono necessarie trattative internazionali serie, non come quelle avvenute finora, trattative che devono essere convocate e condotte dall’Onu, che finora è la grande assente, con tutti i grandi della Terra, Cina compresa, che ha bisogno di stabilità per fare girare la sua economia e che quindi ha tutto l’interesse affinché questa guerra non degeneri e si allarghi ulteriormente.

Questo è un conflitto che va ben oltre i confini ucraini e può arrivare a coinvolgere, e travolgere, quanto meno tutta l’Europa.

Nel mondo purtroppo ci sono ancora tante, troppe guerre che vengono taciute, di cui non si parla abbastanza e nei confronti delle quali non c’è una posizione netta e decisa da parte della comunità internazionale, ma questa guerra è davvero pesante, drammatica per gli scenari che apre, perché mette a rischio l’assetto stesso, consolidato dell’Europa, cuore della democrazia nel mondo.

E questo perché l’Europa non ha saputo affrontare in modo decisivo quello che era il sogno iniziale, la visione del progetto dell’Europa Unita, quella di essere una potenza di pace. Un sogno, quello dei padri fondatori, mai realizzato.

Lo stesso esercito unico europeo, cui mai si è dato compimento, avrebbe offerto la possibilità di portare avanti una politica estera comune con il ruolo di grande forza di polizia internazionale garante del rispetto dei diritti umani nel mondo. Non ci siamo riusciti purtroppo, ci si è affidati a 27 eserciti nazionali e ad altrettante industrie belliche, ognuna impegnata a fare i propri interessi nazionali.

È ovvio che eserciti concorrenti fra loro, non avendo una voce unica, abbiano consentito agli Stati Uniti di fare la voce grossa e di diventare, di fronte alla debolezza europea, i padroni del mondo. Una debolezza della quale Putin si è approfittato per portare avanti il suo progetto di aggressione.

manifestante pro ucraina

Foto: Egor Lyfar / Unsplash

Accennava agli interessi nazionali, interessi che non si sono placati neppure nel pieno della pandemia e della conseguente recessione economica, visto che, come emerso dall’ultimo rapporto Sipri (Stockholm international peace research institute), sono stati spesi nel mondo nel 2020 ben 1.891 miliardi di dollari nella corsa agli armamenti, con un incremento del 2,6% rispetto al 2019…

Sì, perché l’industria bellica rende molto bene, anche se si concentra in poche mani e rende solo a chi la fa. Investire sulla pace e non sulle armi renderebbe molto di più e ridistribuirebbe la “ricchezza” prodotta a tutta la società, non solo alle aziende produttrici di armi. Abbiamo negli anni fatto proposte di legge per spostare parte dei fondi destinati al Ministero della Difesa sulla difesa civile della Nazione, ma non abbiamo ottenuto granché.

L’Italia spende 29 miliardi di dollari all’anno in armamenti ed è al decimo posto nella lista dei Paesi esportatori di armi. Nel 2020 ha venduto, infatti, armi per un valore pari a 4,6 miliardi di euro, vendendoli anche a Russia (che ha acquistato nel 2021 da noi 44 milioni di euro fra munizioni e armi) ed Ucraina, che invece ne ha comprate da noi per 24 milioni di euro.

Il problema di fondo è che nessuna forza politica, nessuna, ha mai sollevato seriamente questa questione degli investimenti in armi e la lobby delle armi è talmente potente che evidentemente non conviene inimicarsela…

Un tema quanto mai preoccupante, a maggior ragione se si considerano anche le armi nucleari, su cui questa guerra, attraverso le assurde minacce russe legate proprio all’eventuale utilizzo del nucleare, ha riacceso i riflettori mostrandone tutta la pericolosità.

Purtroppo sì, una minaccia letale per il genere umano. Dopo il 2017, a seguito di una lunga battaglia – fu l’anno del Premio Nobel per la pace ad ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) – e dopo l’adozione da parte dell’Onu del nuovo trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPNW), la situazione negli ultimi anni è in forte stallo. Soprattutto da quando nel 2019 in pratica Putin e Trump hanno deciso di stracciare gli accordi presi sul tema, il che significa che adesso si può di nuovo costruire questo tipo di armi e metterle sulle rampe di lancio dei missili in grado di trasportare armi nucleari della gittata fra 500 e 5.500 chilometri.

Anzi la situazione adesso è paradossalmente ancora più pericolosa perché si stanno studiando armi nucleari meno potenti quindi con meno conseguenze in termini di rilascio di radioattività. Se da un lato questo può sembrare un bene, in realtà non lo è affatto, perché c’è in pratica una maggiore probabilità che esse vengano utilizzate.

Tecnicamente le armi nucleari sarebbero fuori legge, proprio come le armi chimiche e batteriologiche, ma nei fatti si continuano a produrre, come le mine antiuomo e le bombe a grappolo, che non dovrebbero più essere utilizzate. 

foto Putin e bandiera ucraina

Foto: Gayatri Malhotra / Unsplash

Eravamo stati molto vicini al disarmo nucleare con Reagan e Gorbaciov che nel nel 1987 siglarono a Washington il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), che smantellava tutte le armi a raggio intermedio e poneva fine agli euromissili, cioè ai missili nucleari a raggio intermedio installati da Usa e Urss sul territorio europeo, ma siamo di fatto tornati a una situazione che sembrava lasciata ormai alle spalle. Perché, non bisogna dimenticarlo, nel nostro Paese ospitiamo ben quaranta testate atomiche americane, che ovviamente, se l’Italia aderisse al trattato del 2017, dovrebbero essere rimosse. Peccato che fra i 50 Paesi che finora hanno ratificato il trattato non ci sia né l’Italia né la massima parte dei Paesi europei ed occidentali.

Il disarmo atomico non è però un’utopia, dobbiamo crederci e non dobbiamo arrenderci perché ne vale del futuro stesso del genere umano e l’opinione pubblica popolare internazionale può giocare un ruolo fondamentale per spingere i governi a prendere decisioni che vadano in questa direzione.

Vincenzo Petraglia

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Mao Valpiana

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