Si chiama happiness catalyst ed è l'approccio con cui Luisa Tuzza, partendo da mentoring e coaching, aiuta persone e aziende a trovare la piena soddisfazione nel privato e nel lavoro
«Dal punto di vista chimico, un catalizzatore è una sostanza che innesca o accelera una reazione. A questo mi sono ispirata nel mettere insieme le mie competenze sotto l’unica denominazione di happiness catalyst». Così Luisa Tuzza – barese di nascita, milanese d’adozione – racconta il principio alla base della sua professione di “catalizzatrice di felicità”, in cui è riuscita a coniugare gli approcci e le skill sia del mentoring e sia del coaching per fornire ai singoli e alle aziende una visione integrata della ricerca della soddisfazione sia nell’ambito privato sia nell’ambito lavorativo.
Luisa, com’è nata l’idea di diventare una catalyst di felicità?
Vengo da un percorso aziendale ventennale nel ramo del commerciale prima e della formazione poi. Sono sempre stata, però, una persona con tantissimi interessi nell’ambito delle discipline olistiche e della ricerca interiore e ritengo che sia indispensabile considerare la persona nella sua interezza tanto nel business quanto nella vita privata. A un certo punto, quindi, ho deciso di fare il salto nella libera professione e dedicarmi a stimolare le persone e le aziende a essere la migliore versione di sé ed esprimere pienamente il proprio potenziale.
Negli ultimi anni si parla sempre di più di benessere sul lavoro e della persona. In cosa è diverso il suo approccio?
L’ambizione sta proprio nel parlare di felicità e non semplicemente di benessere. Secondo la mia metodologia, affinata con anni di studio anche all’estero, non esiste una soluzione di continuità tra la persona che lavora e la persona in quanto tale. Noi “siamo” tanto nel lavoro quanto nel privato ed è importante agire su tutte le sfere della vita. Cinque anni fa, quando ho cominciato ad avvicinarmi agli studi nordeuropei sulla felicità sul lavoro, in Italia se ne parlava ancora poco, o meglio, il benessere aziendale veniva identificato quasi esclusivamente con le strategie di welfare o con lo smart working. Io ho lanciato la mia Être – il benessere di persone e organizzazioni, con un approccio un po’ timido che parlava proprio benessere anche se nella mia testa c’era già la felicità come punto di approdo. Sono convinta, e gli studi lo dimostrano, che quello di cui hanno bisogno oggi le persone sia proprio la soddisfazione totale, l’essere felici e non semplicemente il benessere.
Secondo la sua esperienza, in cosa consiste oggi, la ricerca della felicità?
Per le persone, la felicità è in pratica riscoprire sé, oltre le maschere dei ruoli che inevitabilmente abbiamo tutti. Presi tra gli impegni professionali, la famiglia da seguire, le incombenze pratiche e amministrative, spesso ci si dimentica di se stessi senza rendersi conto che proprio dal benessere, dalla propria realizzazione e dalla felicità dipende ciò che possiamo offrire anche agli altri. Allo stesso tempo, le persone felici e soddisfatte possono dare un grande contributo di crescita alle aziende e possono conciliare in modo fluido la carriera, la vita familiare e il tempo per sé. Ognuno ha il diritto di ritrovare e ricontattare quello che mi piace definire il proprio diamante, ovvero quel fuoco interiore che ognuno di noi ha dentro e che è capace di farci trovare uno stato di benessere profondo.
Come si definisce, invece, la felicità sul lavoro?
La felicità sul lavoro è fatta di due componenti: relazioni e risultati. Ci sono vari modi per innescare un processo che porti a questa soddisfazione a livello aziendale: si può iniziare dalle piccole cose quali esprimere gratitudine, rispettare il punto di vista altrui, valorizzare le diversità, celebrare i successi, avere cura e rispetto delle persone. Si tratta di tutta una serie di comportamenti positivi individuali che, nutriti e supportati con pratiche e strumenti, portano a creare una cultura condivisa in cui si respira entusiasmo e si sa come affrontare anche i momenti critici, generando risultati positivi per l’organizzazione in termini di redditività e produttività. Un ulteriore passo in avanti è quello del team building attraverso la creazione di un clima fiducia, della motivazione della squadra e della facilitazione di un cambiamento organizzativo.
In questo periodo, lei ha lanciato anche i Luisa’s Happiness Cafè su internet. Di cosa si tratta?
L’emergenza sanitaria che ci ha costretto a interrompere gran parte delle attività e restare a casa ha fatto venir fuori emozioni davvero forti. Prima su tutte la paura, per noi stessi, per i nostri cari, per il nostro lavoro. Si tratta di una reazione assolutamente naturale ma ho pensato che fosse necessario mettere in atto delle risorse utili a nutrire la componente più positiva delle nostre emozioni. Sono nati così i miei appuntamenti quotidiani sul gruppo Fb: un luogo virtuale dove ogni giorno prendiamo il caffè e parliamo di un tema legato alla felicità con consigli, esercizi, ospiti. Sono convinta che mai come in questi giorni sia importante parlare di felicità. E lo è perché, se non possiamo controllare la pandemia, e non possiamo avere il controllo su ciò che sta accadendo, il come vivere il durante è, invece, qualcosa che possiamo controllare.
Ha dei consigli per questo durante?
Credo che in molti possano ancora approfittare per capire ciò che vogliono davvero, ciò che è superfluo e quello che invece è davvero importante. Di sicuro questa pandemia ci sta cambiando, abbiamo un nuovo imprinting che definirà anche chi saremo in futuro, ma ognuno ha l’opportunità di capire come sfruttare meglio questo momento e trasformarlo in occasione di crescita.