L'autrice del documentario e del libro "Il corpo delle donne" tiene nelle scuole corsi di media education, strumento di visione critica delle immagini. Per diventare spettatori consapevoli
Lorella Zanardo, autrice e regista del documentario “Il corpo delle donne“, è autrice anche dell’omonimo libro edito da Feltrinelli. Attraverso l’Web l’hanno conosciuta 4 milioni di spettatori e oggi è chiamata in tutta Italia a tenere lezioni, seminari, conferenze. Conosciuta e stimata a livello internazionale, il suo corso “Nuovi occhi per la tv” offerto a studenti ed insegnanti vuole inserire nella formazione dei ragazzi gli aspetti fondamentali dell’ educazione ai media, per aiutare il pubblico di oggi e di domani ad una visione più consapevole.
Ci racconta la sua storia?
Ho lavorato per anni all’estero, come direttrice e responsabile marketing, in grandi multinazionali. Ho una laurea in lettere e un master in economia. Per molti anni ho cercato di portare avanti le due cose. Sono stata una delle prime donne manager a lavorare in grandi aziende.
Come si è avvicinata alle tematiche femminili?
Nel 2008 sono tornata in italia, ho iniziato a guardare un po’ di televisione e quello che vedevo non mi piaceva. Non solo non mi piaceva, ma era molto diverso da quello che si vede all’estero. In altri Paesi non c’è la mercificazione del corpo della donna, oppure c’è in misura minore. Se prendiamo in considerazione i paesi del Nord-Europa non c’è per niente. Se prendiamo in considerazione i paesi come Francia e Spagna, c’è, ma in misura minore. Vedendo lo scempio che veniva fatto del nostro corpo, in particolare delle più giovani e rendendomi conto che questa mercificazione e questa rappresentazione ci rendono più fragili ed esposte, ho deciso di fare un documentario e metterlo su Internet perché arrivasse più facilmente a ragazze e ragazzi. Con due coautori uomini, Cesare Cantù e Marco Malfi, abbiamo deciso di metterlo solo online su un blog creato ad hoc, “Il corpo delle donne.com“, stiamo arrivando a 4 milioni di spettatori che lo hanno visto: numeri da record, praticamente l’intera popolazione della Norvegia.
Com’è proseguita questa esperienza?
Da qui è nato un blog molto frequentato, una pagina Facebook ed un libro che sta andando bene, pubblicato da Feltrinelli. La cosa secondo me più interessante è che la protesta 2.0 può entrare nel territorio. La Rete serve ad informare, poi deve esserci l’incontro. E infatti, fin dall’inizio abbiamo ricevuto centinaia e centinaia di richieste da parte di genitori, insegnanti, ragazzi, ragazze e scuole per incontrarci per fare dibattiti pubblici, confrontarci, parlarne: abbiamo accettato e da due anni giriamo tutta l’Italia. C’è forte l’esigenza di affrontare temi fondamentali di cui non si parla nella società e da lì si è chiarita l’urgenza che i giovani avevano e hanno di acquisire strumenti per guardare la tv in modo diverso, meno passivo e più consapevole. Non dimentichiamoci che in molti Paesi esteri la “media education” è una materia obbligatoria nel percorso scolastica. Da noi, Paese dominato dalla televisione, non c’è questa possibilità.
Come è nato “Nuovi occhi per la tv“?
Inizialmente l’abbiamo pensato come corso proposto ai ragazzi, poi ci è sembrato giusto coinvolgere gli insegnanti, quindi abbiamo strutturato una giornata di formazione, otto ore, appunto per loro, i docenti. I motivi? Coinvolgerli e rendere la formazione più veloce presso i loro gli studenti.
Che cos’è, in pratica, la “media education”?
Una specie di “ponte” che ragazzi e ragazze chiedono per essere aiutati ad attraversare questi anni, dominati dai media. Uno strumento che offre una visione consapevole delle immagini: permette a questi giovani di non essere più schiavi della televisione, di non esserne più dominati e quindi dà loro la possibilità di raccontare davvero chi sono.