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Lanfranco Senn: «In Italia manca una visione strategica sulla mobilità»

di Gabriella Bellucci
22 Settembre 2015

Il professore della Bocconi, uno dei massimi esperti del settore, mette a fuoco luci e criticità di un sistema che può creare grandi opportunità di sviluppo

Image by Jean-Pierre Lescourret/CorbisNon basta una rete autostradale all’avanguardia, o qualche eccellenza locale dovuta all’intraprendenza di singole aziende e amministrazioni, a soddisfare la crescente e sacrosanta domanda di mobilità che emerge nel nostro Paese. Serve la capacità di coordinare tutti i livelli amministrativi, secondo Lanfranco Senn, Full professor of Regional Economics dell’Università Bocconi, che da studioso di lungo corso indica nella collaborazione istituzionale e imprenditoriale il punto di forza per far decollare l’efficienza dei servizi.

Professore, da quanto tempo si occupa di queste tematiche?

Mi occupo di mobilità, trasporti e infrastrutture da circa venti-venticinque anni e poco per volta mi sono accorto di come sia tutto interdipendente: il modo di viaggiare, la tipologia di servizi che vengono offerti, le merci, i passeggeri. Mi sono via via convinto della complessità del settore dei trasporti e della necessità di mettere in comunicazione anime e corpi, quindi imprese e politiche, che rischiano di essere nella migliore delle ipotesi parallele, cioè non interattive, mentre oggi questo è l’obiettivo.

Rispetto al contesto europeo l’Italia, nella percezione comune, è considerata arretrata su questo fronte. Ma lo è realmente o è soltanto un punto di vista parziale degli utenti frustrati?

Secondo me è più una percezione degli utenti frustrati che una realtà. Non solo. Bisogna stare attenti, quando facciamo i confronti, a distinguere di cosa parliamo. Se parliamo di infrastrutture possiamo anche dire che siamo indietro rispetto ad altri Paesi. Ma noi abbiamo un territorio particolare. Paesi come la Francia, la Germania, la Spagna, sono compatti. Qui, invece, spostare la gente da Milano a Reggio Calabria non è come spostarla da Parigi a Lione perché hai territori diversi da superare, hai organizzazioni urbane totalmente diverse. La frammentazione dell’Italia degli ottomila comuni impone una capillarità di relazioni che è di una complessità che non esiste in altri Paesi. Anche l’assetto istituzionale è complicato. Viceversa, se andiamo a vedere altri servizi ci Image by Corbisaccorgiamo di essere primi, non ultimi, perché l’alta velocità è sicuramente un punto di privilegio, come il trasporto aereo e l’accessibilità aerea. Per non parlare delle autostrade che ce le invidiano in tutto in mondo. Quindi, è possibile che noi mettiamo sempre e soltanto il dito nella piaga? Giusto, si parte dagli insuccessi per migliorare, però sicuramente ci sarebbe da fare anche un salto culturale in questa direzione.

E sul piano istituzionale, legislativo, l’Italia riesce ad essere avanzata nel sostenere questo impegno sulla mobilità?

No. Si fanno provvedimenti, sia al centro che nelle regioni, di carattere molto frammentato. C’è scoordinamento, non c’è strategia né visione d’insieme. Quando si parla di Italia piattaforma del Mediterraneo per l’accessibilità dal Medio Oriente, dall’Africa all’Europa, cosa stiamo facendo? Qual è la strategia di mobilità verso il centro dell’Europa? Questo livello di problema manca. Che poi il singolo Comune sappia fare bene il suo mestiere, o la singola azienda metropolitana, o la singola azienda ferrovia, è vero, ma manca il coordinamento e la visione d’insieme. Come se il tema della mobilità non fosse una priorità assoluta, mentre è un tema sul quale si può costruire sviluppo industriale, urbano, sociale.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale ci sono dei progressi?

Di sicuro. I tentativi di rendere la mobilità smart cambiando fonti di energia, o il fatto di fare uno shift modale dalla gomma al ferro, o l’idea di valorizzare di più le acque e il mare: tutto questo dice di una consapevolezza maggiore. Ma credo che non si sia ancora risposto al problema della sostenibilità che non è soltanto ambientale: bisogna difendere l’ambiente e il territorio in coerenza con lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale, lo sviluppo delle reti relazionali in generale. Se diciamo che solo facendo tanti parchi o tante Ztl facciamo diventare sostenibile lo sviluppo diciamo una grande sciocchezza. Ma direi che il trend è positivo.

C’è una fioritura di start up nel settore della mobilità, ma in termini qualitativi il livello è alto o c’è ancora improvvisazione?

Image by Glen Stubbe/ZUMA Press/CorbisCome in tutte le start up la distribuzione di ciò che è buono e ciò che è cattivo è molto casuale, anche perché le vere start up che ci sono oggi sono prevalentemente di tipo informatico, legato al digitale: non ce ne sono tante da economia reale. E quindi lì il successo di mercato per certi aspetti dipende dai contesti. Ci sono delle start up di successo al Sud, dove uno non se lo aspetterebbe, e ci sono dei fallimenti al Nord, e viceversa. Mi sembra comunque che siamo in media rispetto alle start up di altri settori e di altri Paesi.

 

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