La sequenza del genoma umano è completa. E dal suo studio verranno trovate cure sempre più efficaci per molte malattie. Ne parliamo con il prof. Mario Ventura, che ha partecipato col suo team alla nuova mappatura del Dna
Per la prima volta la sequenza del genoma umano è completa: un risultato scientifico incredibile che ci consente, oggi, di avere finalmente la visione integrale del nostro DNA, di leggere tutte le pagine del nostro “libro della vita”. L’annuncio della pubblicazione del nuovo genoma umano è stata data all’inizio di aprile dalla rivista Science che ha dedicato alla scoperta un intero speciale. Da questa “mappa” la ricerca medica potrà partire per cercare cure sempre più efficaci per moltissime malattie. A partire da quelle genetiche (comprese quelle rare che hanno ancora un impatto devastante e poche soluzioni) per arrivare alle malattie cardiovascolari, a quelle neurologiche e ad alcuni tumori come quelli del sangue. Una scoperta di grande rilievo che è anche italiana perché alla ricerca internazionale ha partecipato anche il team guidato dal professor Mario Ventura, del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari. Abbiamo incontrato il professor Ventura per capire che prospettive apre questa scoperta nella vita di tutti noi.
Professor Ventura, come si è arrivati alla pubblicazione della sequenza completa del genoma umano? E che ruolo ha avuto il suo team dell’Università di Bari?
Questa pubblicazione arriva dopo quasi vent’anni dalla conclusione del Progetto Genoma Umano, quello con cui si è messa a fuoco la composizione quasi completa del DNA. Mancava ancora una parte del genoma e questo rendeva la lettura incompleta: ora invece abbiamo l’intera sequenza e possiamo comprendere l’intero spettro della variabilità genomica umana (ovvero come il DNA umano differisca da persona a persona). Abbiamo lavorato in un gruppo internazionale di cui facevano parte l’University of Washington School of Medicine, la Johns Hopkins University, l’University of California Santa Cruz e il National Human Genome Research Institute. Il nostro apporto e le nostre metodiche sono stati importanti perché hanno reso possibile “leggere” alcune regioni meno conosciute del genoma umano, nel cui studio siamo specializzati. Quell’ 8% ancora poco studiato e finora ritenuto marginale in cui si localizzano le duplicazioni segmentali in cui si trovano i geni che, se mutati, possono predisporre a molte malattie genetiche. E che per questo sono fondamentali. È come aver aggiunto delle pagine strappate a un libro, quelle che mancavano per leggerlo tutto, o aver messo degli occhiali che consentono di vedere i contorni di una mappa più chiaramente, di distinguerli con precisione.
Questo ci aiuterà a personalizzare maggiormente le cure?
Sì, avendo a disposizione l’intera sequenza del genoma si potrà fare una terapia in tutto e per tutto personalizzata. Si arriverà a un’evoluzione della farmacogenomica e quindi alla possibilità di scegliere quale terapia adottare per ogni persona. Due soggetti diversi possono rispondere più o meno bene a uno stesso farmaco: il DNA ci guida nella scelte terapeutiche giuste, nei tempi e anche nei dosaggi. Nel caso di malattie rare ci aspettiamo una vera svolta perché, conoscendo la sequenza integrale del genoma, si potrà intervenire in modo sempre più preciso con una terapia genica. Le duplicazioni segmentali si sono dimostrate molto importanti anche nello studio delle malattie cardiovascolari, di come e perché compaiono in alcuni soggetti. Un esempio è il gene della lipoproteina A (LPA) e il suo dominio kringle IV altamente ripetuto: le persone che hanno meno copie di questo dominio presentano un rischio più alto di sviluppare malattie cardiache, cosa che accade soprattutto tra gli afroamericani. Conoscere questo fattore di rischio consentirà di intervenire con una prevenzione mirata.
Come potrà cambiare la prevenzione? E potrà essere più facile sconfiggere le malattie che ci impediscono di vivere a lungo e in salute?
L’analisi preventiva del DNA ci consentirà di individuare prima le persone che hanno più possibilità di ammalarsi e quindi di suggerire controlli più ravvicinati e mirati. Oggi il costo delle analisi del DNA è ancora alto, ma in un prossimo futuro quando i costi del sequenziamento scenderanno (come sta già accadendo) questo tipo di analisi potrà rientrare in una routine di prevenzione, si potrà allargare a una fascia di popolazione sempre più vasta. La sequenza del genoma entrerà nella nostra cartella clinica e potrà essere usata per la diagnosi, per la cura, per scegliere farmaci personalizzati e anche per capire come si evolverà la malattia. È questa la speranza per il futuro.
Gli sviluppi della ricerca non finiscono qui…
Le possibilità sono moltissime e così anche gli aspetti del genoma su cui si potrà indagare: da questa ricerca ne scaturiranno moltissime altre, come degli “spin off”, ognuna su un tema specifico.
Come ha lavorato il suo team in questo studio internazionale?
Tengo a precisare che in questa scoperta scientifica non c’è lo sforzo di un singolo ma di un gruppo: quello che guido è formato dai professori Francesca Antonacci, Claudia Rita Catacchio e dai dottori Ludovica Mercuri, Francesco Montinaro, Flavia Maggiolini, Alessia Daponte e Luciana De Gennaro, tutti giovani dai 26 ai 46 anni. Il nostro gruppo studia da più di vent’anni i cromosomi. Negli USA hanno delle tecnologie molto avanzate, che qui non abbiamo, anche grazie ai finanziamenti statali che in Italia ancora mancano. Noi però abbiamo portato nella ricerca la nostra expertise che è incentrata sulle duplicazioni segmentali. E il nostro contributo è stato importante. Mettere insieme competenze e capacità con la tecnologia più moderna ha reso possibile questo risultato: una sequenza completa perfetta, priva di errori, che può fare da guida per capire come il DNA cambia da persona a persona.
C’è anche un Master che a Bari porta avanti la preparazione su questi temi…
Certo: il Master in Citogenetica, una scuola di formazione altamente professionalizzante. Un master in secondo livello che unisce genetica e biologia, in collaborazione, fra l’altro, con il Policlinico e il Dipartimento materno-infantile dell’Ospedale di Venere di Bari. Un corso che insegna a professionalità già formate (biologi, biotecnologi e medici) che vogliono specializzarsi nello studio dei cromosomi, nella citogentica clinica, e che nel Sud Italia si può considerare ancora unico. Formarsi su questi temi lavorando in ambito ospedaliero richiede molti anni: il master accorcia di molto i tempi e dà competenze specifiche. Ci sono anche borse di studio con il supporto di alcune aziende per chi vuole iscriversi al Master ma non ha le possibilità economiche».
Questo successo anche italiano può essere una spinta per i giovani ricercatori di casa nostra?
Il messaggio che deve passare è che vale la pena di mettere impegno e passione in quello che si studia. E che bisogna avere anche il desiderio di muoversi, vedere quello che c’è fuori, in altri Paesi, come è successo a me già durante la mia prima esperienza in Inghilterra, quando ancora conoscevo pochissimo l’inglese. Oggi lavoro fra Bari e Washington. Si può andare all’estero, investendo tempo ed energia, senza paura, mettersi in gioco e poi tornare in Italia dopo aver creato dei ponti, delle connessioni utilissime con realtà diverse.
Lucia Fino