Chi è l'integralista ecologico e perché è un problema per l'ambientalismo. Ce lo spiega uno dei fondatori di Legambiente, oggi presidente di Fise-Assombiente e autore del libro "Elogio della crescita felice. Contro l'integralismo ecologico"
Chicco Testa, bergamasco, attivista ecologista di Legambiente di cui è stato segretario e presidente dal 1980 al 1987; deputato di sinistra, prima col Pci e successivamente con il Pds; dirigente d’azienda ha pubblicato Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico. Partendo da questo abbiamo chiacchierato con lui di ambientalismo e futuro.
Cos’è per lei l’integralismo ecologico?
Non è una risposta semplice da dare. Principalmente è non capire che la transizione verso la sostenibilità non avviene solo per sottrazione, quindi evitando azioni che danneggino l’ambiente, ma anche per addizione. La sostenibilità, infatti, si concretizza anche attraverso la realizzazione dei tantissimi impianti che servono per costruire un’economia green. Per fare un esempio concreto: impianti per le fonti rinnovabili, per lo smaltimento dei rifiuti, per il miglioramento della rete dei trasporti pubblici e molto altro. L’ambientalista integralista, invece, ritiene che tutto vada fermato.
Parla dei fautori della decrescita felice?
Ci sono anche loro. Più banalmente, però, si tratta di comitati locali animati da un forte egoismo territoriale e di chi, in questo ambito, lavora per ottenere visibilità. Andando a guardare i curricula politici di attuali deputati, in particolare dei 5 Stelle, si scopre che tanti hanno acquistato popolarità mettendosi alla testa di un qualche comitato “contro”: Tav, Tap, abbattimento degli ulivi malati di Xylella in Puglia solo per fare qualche esempio. Ma ci sono micro comitati contro qualcosa in ogni pezzo d’Italia. A monitorarli è l’Osservatorio Nimby Forum (Nimby è l’acronimo inglese di “Not in my back yard” che in italiano sarebbe “non nel mio cortile”).
Fermando le realizzazioni di questi impianti, quindi, l’effetto paradosso è l’impossibilità della transizione a un’economia green.
In parte è già così, l’Italia sta perdendo una montagna di occasioni. L’Italia ha approvato un piano energetico che prevede la realizzazione di enormi quantità di energie rinnovabili (il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030, nda) ma è stato calcolato che, procediamo con il ritmo attuale, invece che dei 10 anni previsti ce ne impiegheremo 67.
Dette da uno che, come lei, è un ambientalista ante litteram avendo contribuito alla fondazione di Legambiente, sono parole pesanti.
E’ vero, ma più che di ambientalisti occorre parlare di politiche ambientali. Essere ambientalista è diventato un concetto generico che può testimoniare una certa sensibilità per l’ambiente e, onestamente, in pochi non manifestano – almeno a parole – questa sensibilità. Il problema è che tipo di ambientalista sei e quali politiche ambientali sostieni. A Roma la Raggi crede di essere ambientalista perché non realizza alcun impianto per smaltire rifiuti, ma poi da Roma partono ogni giorno i camion per portar via i rifiuti dei romani mettendo a nudo una forma di incoerenza.
Questo ha a che fare con l’ambientalista eretico di cui parla nel suo libro?
Io faccio una distinzione tra l’ambientalista collettivo, che è quello che si nutre di luoghi comuni “informandosi” sui social o dalla Tv, e quello eretico che è colui che ha il desiderio di contrapporsi alla vulgata comune e, per esempio, è capace di dire che c’è la necessità di realizzare i nuovi impianti per la transizione.
Lei, quindi, è un ambientalista eretico?
Io considero eretici gli altri (sorride). Anche Lutero considerava eretico il papa mentre il papa considerava eretico Lutero… È sempre una questione di punti di vista. Senza volermi paragonare ai grandi della storia, credo di conoscere bene i problemi ambientali visto che li studio da 40 anni.
Ci spiega, allora, perché non è contro la Tap, il 5G, la plastica, i grattacieli, il nucleare che sono il mantra di un certo ambientalismo?
Perché alcune, al contrario di quanto affermano alcune fake news, non sono nocive, altre migliorano la qualità ambientale. L’olio di palma, per esempio, è un olio come gli altri, ma come per l’utilizzo degli altri oli bisogna utilizzarlo con accortezza. Bisogna sempre approfondire.
Tornando ai paradossi, in un capitolo del libro Lei fa riferimento al coronavirus come organismo vivente, che come tale dovrebbe essere preservato.
Io contesto certe dottrine e comportamenti che si basano sull’idea che la natura abbia sempre ragione, tanto che un mio libro del 2014 s’intitola Contro (la) natura perché la natura non è né bella, né buona, né giusta. Quando pensiamo alla natura non dobbiamo fermarci soltanto ai bei paesaggi di cui l’Italia è piena, ricordandoci anche che la maggior parte di quei paesaggi sono il risultato del lavoro dell’uomo. Della natura fanno parte anche i virus che sono molti più degli uomini e li precedono, nella linea evolutiva, di alcuni miliardi di anni. Ma non mi risulta sia nato un movimento per la loro difesa. A noi, quindi, piace la natura addomesticata, quella che non è nemica dell’uomo perché è tenuta sotto controllo. Da tutta l’altra natura cerchiamo di difenderci: quando prendiamo un antibiotico ci difendiamo da un attacco che ci viene dalla natura.
Occorre quindi tenere sempre presente che natura e ambiente sono due concetti diversi.
Esatto, e sono da maneggiare con cura e con le necessarie differenze. La natura è governata da leggi di un certo tipo, va dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, ed è composta da milioni di specie non tutte benefiche. L’ambiente è un ecosistema con il quale cerchiamo di convivere, sono le risorse che utilizziamo per la nostra esistenza.
Da presidente di Fise-Assoambiente come mette insieme le esigenze delle aziende che si occupano di rifiuti e nuove risorse e l’ambientalismo?
Non lo dico io, ma il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani che per realizzare l’economia circolare abbiamo bisogno di realizzare centinaia di impianti di smaltimento. Il 40% dei rifiuti che produciamo è frazione umida, oggi mancano in Italia una cinquantina di impianti che li trattino e li mandiamo in giro per il mondo. Allo stesso modo abbiamo bisogno di centinaia di impianti di energia rinnovabile.
Come si convincono gli ambientalisti integralisti e gli attivisti Nimby che questo è necessario?
Con la forza della legge e senza le complicità del mondo politico perché si corre il rischio che l’Italia non riesca a spendere i fondi del Recovery Fund per lo sviluppo dell’economia green perché ci si troverà di fronte ai Comitati del No, alle Sovrintendenze, al Ministero dell’Ambiente e a una legislazione supercomplicata che permette sempre di trovare un punto debole nell’iter di approvazione di un progetto che permetta di appellarsi a qualche organo bloccando l’intera opera.
Lei afferma che la povertà, il cui azzeramento è il primo degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è nemica dell’ambiente.
Basta guardare i dati. Oggi i più grandi inquinatori del pianeta si chiamano India e Cina, che stanno facendo lo stesso nostro tragitto in ritardo. Le nostre economie inquinano di meno perché si sono terziarizzate, e poi perché adottiamo tecnologie migliori.
Come se ne esce?
Lo spiego nell’ultimo capitolo del mio libro. Per fortuna l’innovazione tecnologica va avanti anche contro la nostra volontà e noi disporremo sempre più di tecnologie avanzate realizzando l’obiettivo vero di una politica ambientale, il disaccoppiamento. Quest’ultimo è un processo in corso da molti secoli per il quale si è in grado di produrre un output economico con un uso sempre minore di risorse aziendali. L’esempio migliore affinché tutti comprendano: con più o meno la stessa estensione di terre coltivate del Dopoguerra con cui si nutrivano 2 miliardi di persone oggi ne nutriamo 7 miliardi. A essere cambiata è la produttività dei terreni attraverso la rivoluzione verde e l’agricoltura di precisione.
Quindi dovremmo difenderci dalla mancata conoscenza di massa?
L’ignoranza di massa è diventato il più grande problema della società. Viviamo in democrazia e difenderci dalle fake news e dai luoghi comuni è diventato davvero molto complicato. Bisognerebbe partire dalle responsabilità: che la celeberrima casalinga di Voghera non sia una scienziata è normale, ma il problema sono le élite che hanno l’obbligo di informarsi.