Wise Society : Improvvisamente cieco. Ma grazie allo sport mi sono salvato
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Improvvisamente cieco. Ma grazie allo sport mi sono salvato

di Michele Novaga
29 Febbraio 2012

Alberto Ceriani è stato il primo atleta non vedente al mondo a portare a termine la iron man delle Hawaii, ha fondato un sito per sportivi disabili e ha due figlie. Perchè la sindrome di Leber che a 26 anni lo ha privato della vista, non gli ha tolto la voglia di vivere e fare progetti

Alberto CerianiLa sua passione è lo sport. Non solo la corsa, ma anche il nuoto e la bicicletta. Tre discipline riunite nel thriathlon, specialità che da anni pratica partecipando a competizioni europee e mondiali. Un campione degno di grandi imprese capace di disputare nel 2006 a Kona nelle isole Hawaii, la finale di iron man, in pratica una durissima “variante” del thriathlon che si disputa su precise distanze e consiste nel nuotare per 3.800 metri nell’Oceano, pedalare per 180 km ed infine correre la maratona di 42.195 metri. Tutto senza pause, per 13 ore e 52 minuti. Non un record mondiale, forse, anche se lui, il milanese Alberto Ceriani 42 anni, sposato con due figlie, è stato il primo non vedente al mondo a portare a termine quella massacrante gara. Un esempio di caparbietà, dedizione e voglia di ricominciare di una persona che, nello sport, ha trovato la capacità di affrontare una nuova fase della vita. Un modello da seguire per tanti giovani alla ricerca di ideali perduti.

Una storia esemplare di coraggio e tenacia

 

È sempre stato uno sportivo?

Ho sempre fatto sport anche a buon livello: da giovane giocavo come difensore in una squadra di calcio nella categoria Promozione. Da ragazzino per me lo sport era un modo per mantenermi in forma e per imparare alcuni valori della vita. Ma da quando sono diventato cieco, l’attività agonistica riveste un ruolo fondamentale della mia vita perché mi da la possibilità di conoscere altre persone, di integrarmi e di stare con gli altri.

Com’ è diventato cieco?

All’improvviso, al volante della macchina nel 1996. Stavo guidando e ho compiuto un sorpasso azzardato, senza rendermene conto, rischiando di travolgere un’altra vettura. La persona che era con me a bordo, poi diventata mia moglie, mi ha chiesto che cosa stessi combinando. Era la sindrome di Leber, malattia rarissima,  per la quale ho perso subito l’occhio destro. Poi, sei mesi dopo, quello sinistro. E a nulla sono valsi gli esami e i trattamenti a cui mi sono sottoposto nei vari ospedali specializzati. La malattia mi ha tolto la vista, non la speranza, la voglia di rimettermi in gioco e di lottare per tornare a condurre una vita normale. Ho trovato un lavoro come centralinista in un’ importante banca nel centro di Milano e mi sono sposato. All’inizio non sono mancati i momenti di scoramento e lo sport mi ha aiutato a superarli soprattutto quando ho fondato con l’amico Michele Pavan il sito disabilincorsa.com.

Di che cosa si occupa?

È un gruppo di persone disabili che attraverso internet cerca di coinvolgere dei conduttori e delle guide normodotate per praticare sport all’aria aperta. Un modo per far uscire di casa molti disabili, soprattutto non vedenti altrimenti condannati a muoversi poco, spesso solo per andare a lavorare o per spostamenti minimi. Sul web ho conosciuto Claudio Pellegri, un commercialista di Como, grande appassionato di sport ed ora grande amico con cui ho cominciato ad allenarmi. Da allora siamo diventati inseparabili. Ci alleniamo sempre insieme quando possiamo data la distanza tra Milano e Como e gli impegni lavorativi e familiari di entrambi. Insieme abbiamo compiuto alcune imprese e gareggiato insieme in varie competizioni europee e mondiali.

Allenarsi e gareggiare per sentirsi integrati

 

Come per esempio?

Abbiamo attraversato il Lago di Como e quello di Lugano a nuoto e, nel 2005, anche lo stretto di Messina. Oltre alla famosa gara Iron Man che per noi è stato come partecipare ad una finale mondiale -dato che erano presenti atleti provenienti da tutto il mondo e che per poter partecipare devi dimostrare di aver fatto altre gare simili e dei buoni tempi- ogni anno partecipiamo ad una gara internazionale. Nel 2008 abbiamo disputato gli europei di Lisbona vincendo la medaglia d’oro nella categoria non vedenti, nel 2009 gli Europei in Olanda classificandoci quarti e i mondiali d’Australia arrivando terzi. E lo scorso anno abbiamo partecipato agli europei a Pontevedra in Spagna piazzandoci anche lì terzi.

Ma come fa un cieco a nuotare, pedalare e correre in una disciplina tanto faticosa?

Di solito nella frazione di nuoto la mia guida mi precede ed io sono in contatto con lui mediante una corda della lunghezza di circa 2 metri legata alla vita mentre nella competizione ciclistica usiamo il tandem: Claudio pedala, tiene il manubrio e segue la strada, io pedalo da dietro. Nella corsa podistica sono in contatto con lui con un cordino al polso di circa 30 cm. La coordinazione e la perfezione sono fondamentali e si plasma dopo anni di lavoro insieme. Io mi devo fidare completamente del mio partner soprattutto nella bici e nel nuoto. Ora, dopo tanti anni, basta un suo cenno o un suo comando.

L’attività sportiva è fondamentale per chi ha difficoltà

 

Lei è un esempio per tanti. Ne è consapevole?

Non penso di fare cose straordinarie e non voglio essere un esempio per nessuno. Voglio solo far capire che un disabile non è inferiore a un normodotato e vorrei coinvolgere sempre più ragazzi come me nello sport.

Si sta allenando anche in questo periodo invernale?

Mi alleno quotidianamente anche due volte al giorno in tutte e tre le discipline con la solita costanza cercando di conciliare il lavoro e le mie tre donne: mia moglie Anna, la mia primogenita Martina che ha undici anni e la nuova arrivata Serena che compirà due anni a breve. Corro nel Parco Sud di Milano oppure lungo il Naviglio Grande a rotazione con 7-8 persone che ho incontrato tramite il sito e con cui vado anche in bici: professionisti, uomini e donne amanti dello sport e di animo solidale. A nuotare a volte vado da solo al Forum di Assago dove mi conoscono tutti. La voglia di superarsi non manca.

Come concilia l’attività lavorativa, la famiglia e lo sport?

Allenandomi in orari strani: esco alle 5.30 quando tutti, soprattutto le mie figlie, dormono. Oppure, in estate, mi alleno la sera tardi. Così ho il tempo e il modo di vivere con loro ai loro ritmi. Una giornata complicata e molto faticosa contando anche gli spostamenti per recarmi a lavorare, andare a prendere le bimbe a scuola e altre cose.

Ha mai partecipato alle Paralimpiadi?

No e per vari motivi. Innanzitutto fino ad ora la disciplina del triathlon non è mai stata sport paralimpico. E non lo sarà fino ai giochi di Rio de Janeiro del 2016. Poi di carattere tecnico: facendo tre sport contemporaneamente, sono meno forte in ogni singola disciplina rispetto a un atleta che si dedica costantemente a uno solo. Infine di carattere famigliare: quando stavo per partecipare alle gare regionali e nazionali di qualificazione di 400 e 800 metri di corsa ho avuto dei problemi che me lo hanno impedito.

Mai perdere la voglia di superarsi

 

Qual’è la prossima gara a cui parteciperete?

Gli europei che quest’anno si disputano ad aprile in Israele. Un luogo che di per sé è già stimolante e ricco di fascino e emozioni. Peccato che per una trasferta del genere siano necessari parecchi soldi tra voli aerei, soggiorno e partecipazione alle gare.

Vi autofinanziate?

A parte qualche piccolo contributo spese offertoci un paio di volte, di solito ci paghiamo sempre tutto. Per la trasferta israeliana non sarebbe male trovare qualche sponsor privato. Da mesi stiamo cercando qualcuno che possa pagarci almeno in parte i 5000 euro della trasferta. La sola spedizione aerea del tandem ci costa 500 euro. Con la crisi anche gli sponsor hanno ridotto i contributi.

Quale gara ha nel cassetto e quale impresa sportiva vorrebbe in futuro realizzare?

Ci terrei a partecipare alla Sahara Marathon, una gara di solidarietà che si disputa nel deserto del Sahara nei campi profughi del popolo Saharawi in Algeria. Mi piacerebbe correrla sì, ma anche raccogliere dei fondi dall’Italia e poi portarglieli. Non deve essere facile per 200 mila persone nascere, crescere e vivere da profughi in accampamenti del deserto in quelle condizioni. In questi anni molti amici hanno aiutato me ad allenarmi. Per una volta mi piacerebbe poter essere io ad aiutare qualcun altro.

PDM foto di gruppo piazza duomo

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