Il direttore del dipartimento di Scienze bio-agroalimentari del Cnr avvisa sulle conseguenze dell'inquinamento indoor causato anche dalla CO2 prodotta respirando. E da uno studio europea spunta la sindrome sindrome dell’“edificio malato”
Se ci capita di entrare in un luogo al chiuso e percepire una sensazione sgradevole, istintivamente andiamo ad aprire la finestra. Quel gesto quasi automatico rappresenta una prima difesa dall’inquinamento che si produce all’interno dei luoghi dove trascorriamo la maggior parte delle nostre giornate. Alcuni studi recenti hanno messo in evidenza come la qualità dell’aria che respiriamo sia spesso peggiore all’interno degli edifici piuttosto che all’esterno.
Un dato paradossale se si considera l’attenzione che di solito è rivolta all’inquinamento atmosferico delle nostre città, e che è utile a farci capire come sia il caso di prendere in considerazione anche l’inquinamento dei luoghi chiusi. Un fenomeno considerato trascurabile fino a qualche anno fa, ma che può incidere pesantemente sulla nostra salute. Nello sforzo di accrescere la consapevolezza e di conseguenza la prevenzione il Consiglio Nazionale delle Ricerche sta svolgendo, in collaborazione con altri partner, uno studio finanziato dall’Unione Europea su questo tema, i cui risultati sono stati presentati a Roma. Per saperne di più su un aspetto che impatta in modo rilevante sulla qualità della vita e sulla salute del nostro quotidiano, wisesociety ha rivolto qualche domanda a Francesco Loreto, direttore del dipartimento di Scienze bio-agroalimentari del Cnr.
Quali sono i fattori che più determinano la qualità dell’aria in un ambiente al chiuso?
Comincerei con la ventilazione. Se lo scambio dell’aria con l’esterno è insufficiente, si va a sommare all’accumulo di composti inquinanti esistenti all’interno dell’edificio. Esistono, ad esempio, fattori inquinanti prodotti dall’edificio stesso, come il radon, le vernici usate nel trattamento del legno, le emissioni biologiche di animali domestici, gli acari e le muffe prodotti da moquette o tessuti.
Una categoria estremamente dannosa sono i prodotti per le pulizie. Poi ci sono gli oggetti di uso quotidiano, mi riferisco ai toner delle stampanti o dei fax, alle ventole di frigoriferi e condizionatori, sono tutte parti meccaniche che producono ozono. Ancora, il fumo passivo e i gas di combustione di cui percepiamo l’aroma perché presenti in concentrazione molto elevate, sono estremamente inquinanti. Infine, in ambienti chiusi e affollati non è difficile raggiungere un accumulo eccessivo di CO2 prodotto dalla nostra respirazione.
Ci sono conseguenze per la nostra salute quando viviamo in un ambiente chiuso inquinato?
Prima di tutto possono esserci problemi respiratori influenzati molto dai livelli di ozono e altri gas irritanti per le mucose: dai semplici raffreddori, alle bronchiti, all’asma bronchiale diffusa tra bambini e adolescenti, sino a più preoccupanti come insufficienze respiratorie. Anche l’inquinamento di fonte biologica, pensiamo alle muffe, è fonte di problemi respiratori ma la situazione è più complessa perché queste tossine possono innescare anche fenomeni cancerosi.
L’inquinamento negli ambienti indoor da CO2, fumi di sigaretta e fumi da combustione dovuti alle cucine a gas e ai mezzi di riscaldamento, provocano nell’uomo danni come mal di testa, bruciore agli occhi e fanno la loro parte nelle malattie respiratorie sino ad arrivare alle patologie cancerogene e di tipo cardiovascolare.
Da considerare molto pericoloso il radon, la seconda causa, dopo il fumo, del tumore al polmone. È ormai appurato che esporsi a situazioni di inquinamento indoor anche a basse concentrazioni faciliti l’insorgere di queste malattie e il loro peggioramento in forme croniche.
Secondo una valutazione del ministero della Salute, si tratta di patologie che provocano costi elevati per il Sistema sanitario nazionale stimabili tra i 150 e i 230 milioni di euro l’anno. Somma cui dovrebbero essere aggiunti i costi indiretti, come quelli causati dalle assenze sul lavoro, di difficile valutazione e che incidono sul sistema produttivo in generale.
In che cosa consiste lo studio sulla situazione dell’inquinamento indoor presentato dal Cnr?
Si tratta di un’indagine condotta in otto paesi dell’Unione europea dove sono stati individuati 167 edifici adibiti a uffici e occupati da circa 7.500 lavoratori. In questi edifici scelti tra quelli edificati di recente, quindi costruiti secondo tecniche presumibilmente moderne, esistono molti fattori di rischio: l’elevata concentrazione di computer stampanti e fotocopiatrici, la pulizia giornaliera con grande uso dei prodotti specifici, la ventilazione spesso meccanica. Le persone si lamentano più di frequente per l’aria stagnante, il rumore dovuto al traffico esterno o all’open space, l’uso costante del computer. L’edificio diventa “problematico” quando si lamentano più del 20% degli intervistati e può determinare nei casi peggiori la cosiddetta sindrome dell’“edificio malato” (sick building syndrome). In questi casi non è individuabile un singolo fattore inquinante scatenante, ma nella maggioranza di chi lavora o vive in quell’edificio si riscontrano una serie di disturbi riferiti all’inquinamento ambientale indoor.
Per misurare la qualità dell’aria degli ambienti chiusi o “confinanti”, esistono indicatori attendibili?
Ne esistono di biologici come le piante, che subiscono gli attacchi dell’ozono e di altri composti inquinanti presenti nell’aria. Le conseguenze sullo stato di salute di una pianta possono costituire un indicatore, anche se molto grossolano. I bio-indicatori sono, infatti, poco accurati e molto poco precisi sulla quantità di inquinamento, anche se al momento questo rappresenta un settore interessante su cui si sta lavorando.
Un secondo tipo di indicatore è il monitoraggio passivo, una specie di trappola dove il composto inquinante si deposita e può essere monitorato periodicamente.
Infine esiste un monitoraggio attivo che misura il flusso di un gas inquinante attraverso un misuratore. Sono questi gli indicatori usati nelle centraline outdoor presenti nelle nostre città, ma è comprensibile come sia difficile pensare di monitorare la qualità dell’aria in tutte le abitazioni e gli uffici. Certo sarebbe molto utile farlo per tipologia, penso ad ambienti sensibili come ospedali o scuole.
Ci sono fasce più esposte ai rischi dell’inquinamento degli ambienti chiusi?
Oggi le persone trascorrono buona parte del tempo in ambienti chiusi. Il rischio è per tutti, ma esistono fasce più vulnerabili di persone esposte all’inquinamento indoor. Sicuramente gli anziani, le donne in gravidanza particolarmente sensibili al fumo di tabacco (perché associato ad aborti, nascite premature, basso peso alla nascita), le persone con patologie di tipo respiratorio, del sistema immunitario o cardiovascolare. Due sono i dati interessanti: all’inquinamento indoor è attribuibile il 4,6% delle morti di bimbi tra zero e quattro anni di età in Europa, e gli ambienti umidi sono la causa del 13% circa dei casi di bambini affetti da asma nei paesi industrializzati.