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Hossein Askari: flessibilità del lavoro e mobilità dei capitali per salvare l’Europa

di Ilaria Lucchetti
6 Giugno 2012

Secondo l'economista della George Washington University, Usa ed Europa devono intervenire sulla flessibilità del mercato del lavoro e la mobilità di capitali

Hossein AskariHossein Askari, economista, insegna International Business e International Affairs alla George Washington University. È stato consigliere d’amministrazione del Fondo Monetario Internazionale e ha collaborato con le principali organizzazioni mondiali tra cui l’OCSE e le Nazioni Unite, oltre ad avere svolto il delicato ruolo di mediatore diplomatico tra l’Iran, il Kuwait e l’Arabia Saudita negli anni ’90. È autore di numerosi libri, alcuni dei quali scritti con il premio Nobel per l’Economia, Franco Modigliani.

Uno scenario internazionale molto fragile

 

Secondo lei, in che fase della crisi economica globale siamo? A metà o verso la fine?

Credo che nessuno possa dire con esattezza dove siamo. Qui negli Stati Uniti, in qualsiasi momento, potremmo ricadere in un’altra recessione e avere un declino significativo nel PIL. Stesso tipo di rischio che avete voi in Europa, anche se per motivi molto differenti.

I tassi di disoccupazione negli Stati Uniti sono alti e in Europa lo sono ancora di più e per uscire da questa situazione c’è bisogno di interventi molto importanti. La gente pensa che il peggio sia passato e che l’economia mondiale sia sulla strada del recupero ma potrebbe non essere cosi. Siamo in un momento molto fragile.

Quali le “chiavi” per uscire della situazione attuale il prima possibile?

Esaminando gli USA e la zona Euro abbiamo due immagini molto differenti ma gli ingredienti principali sono gli stessi. Credo che si sia trascurata la fiducia nei vari modi di fare business e nell’imprenditoria e, purtroppo, i governi non hanno fatto molto in questo senso.

In America il congresso è diviso, il congresso e il presidente sono divisi ed è molto difficile quindi prendere decisioni risolutive. In Italia avete una situazione simile, anche se in una forma differente, con Mario Monti che ha affrontato i sindacati e non può prendere i provvedimenti che vorrebbe.

Un altro punto chiave riguarda le posizioni fiscali dei governi. Per gli economisti keynesiani il modo migliore per dare respiro all’economia è tramite la spesa pubblica. Questa è la cosa più rapida che si possa fare. Ma, operando in questo modo, si rende la posizione del bilancio pubblico più critica. E quando la situazione di bilancio peggiora, i livelli di fiducia scendono.

Un altro problema ancora, esistente un po’ ovunque, è la mancanza di giustizia o, come dico io, di imparzialità economica. Durante queste crisi economiche sono sempre i poveri che pagano il prezzo più pesante. Dobbiamo trovare un meccanismo in cui ognuno condivida questo peso nel modo giusto senza danneggiare il miglioramento dell’economia. Infine, penso che si debba riesaminare la flessibilità. Credo che questi siano forse i fattori più importante per l’Europa: la flessibilità del mercato del lavoro e la mobilità di capitali.

La situazione dell’Italia

 

Qual è il suo parere sullo stato attuale dell’Italia e sul modo in cui il governo Monti sta affrontando la situazione?

Ritengo che Monti sia un tecnocrate molto saggio, che nessuno in Italia abbia idee migliori su come agire e, soprattutto, che nessuno si sia voluto assumere la direzione del governo in questo momento, con tutti i problemi presenti.

Nonostante ciò, l’Italia non ha in realtà alcun programma specifico. Monti sta provando a intraprendere una strada di “equidistanza” in modo da non alienarsi i sindacati e la sinistra. Ma quello che sarà difficile per il vostro Paese nei prossimi mesi è il finanziamento del suo disavanzo di bilancio. L’Italia deve capire a che tasso può vendere i suoi titoli di Stato. Se i tassi di interesse aumentano, l’Italia sarà in difficoltà. Nonostante il vantaggio nato dal fatto che Mario Draghi e la Banca Centrale Europea hanno dato molti soldi alle banche.

La frenata nello sviluppo di Cina e India

 

Nei primi tre mesi del 2012 lo sviluppo della Cina ha rallentato. Lei crede che ciò sia dovuto a una nuova bolla immobiliare o a un problema legato al PIL?

Penso che senza dubbio ci sia stato il timore di una “bolla” e aggiungo che le persone non imparano mai dal passato. Un altro problema è il sistema bancario della Cina. Probabilmente è caricato con molto debito difettoso che lo Stato sta nascondendo. Se posso menzionare un altro Paese di cui tutti stanno parlando, l’India, ecco anche lei ha fatto un passo indietro. Perché ha problemi politici e non riesce a fare riforme.

Sia  l’India che la Cina hanno beneficiato della parte “facile” dello sviluppo. Ma sarà sempre più duro per loro continuare a crescere a ritmi del 10 percento perché hanno bisogno di molte riforme politiche ed economiche. Come per il Giappone, anche l’economia della Cina è determinata dalle esportazioni. Se l’economia mondiale va male, in molti sostengono che la Cina dovrà reinventarsi una società di consumatori. Ma diventerà una società di consumatori? Nessuno conosce la risposta.

Ritiene che la crisi attuale possa essere dovuta a una sorta di “guerra” contro l’Eurozona portata avanti dal sistema bancario internazionale?

Banca Centrale Europea, Image by © FRANK RUMPENHORST/epa/Corbis

Non credo che il problema siano le banche internazionali quanto piuttosto la Banca Centrale Europea. Mario Draghi darà più soldi alla banche europee quando ne avranno bisogno? Perché quando la Banca Centrale dà erogazioni alle banche europee, sembrano forti.

Possono ottenere i soldi per poco e guadagnare, ad esempio, il 7 percento sui titoli di stato italiani mentre alla BCE pagano soltanto il 2 percento. Ma la BCE continuerà su questa strada? Non credo che l’ostacolo siano le banche ma piuttosto la politica della BCE e, negli USA, della Federal Reserve. Un esempio: nel 2011 in America oltre il 60 percento dei titoli di stato nazionali sono stati comprati tramite la Federal Reserve.

La Fed continuerà a comprare i titoli e dare i soldi alle banche? La risposta è sì, perché non ha scelta. Mario Draghi continuerà a dare i soldi alle banche in modo che possano comprare i titoli greci, italiani e spagnoli? Certo. Non c’è niente che la Germania possa fare per fermarlo perché il risultato sarebbe un crollo totale.

Infine, come valuta l’ipotesi di un eventuale ritorno della Grecia e dell’Italia alle loro monete precedenti?

Mi ricordo che circa quindici anni fa il professore Franco Modigliani e io abbiamo scritto un articolo sull’euro in cui abbiamo predetto che questo sarebbe accaduto. Il problema è che l’Europa ha fatto alcune delle cose necessarie, ma non tutte, perché l’euro fosse un successo.

Prima era difficile per i Paesi come l’Italia ma c’era la lira e, ogni volta che si verificava un problema, la lira si svalutava e l’Italia esportava di più. Ora non avete quella possibilità.

Il vostro Paese potrebbe tornare alla lira, ma i costi sarebbero estremamente alti. E per sapere quale strada sia da preferire bisognerebbe prevedere quali politiche l’Italia e gli altri paesi Euro sono e saranno disposti ad adottare. Ormai non siete più soli, siete membri di un’unione e, come tali, non immuni dai problemi altrui.

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