Con l'alpinista e divulgatore della montagna abbiamo parlato di cambiamenti climatici e di cosa fare nel concreto per salvare il Pianeta
Valanghe in quota, siccità in pianura. L’estate 2022 ci sta mostrando alcune delle conseguenze dei cambiamenti climatici. La massa di ghiaccio sulla Marmolada che ha travolto a 300 chilometri all’ora travolto due cordate di escursionisti facendo 11 vittime e dei dispersi ci avvisa che il tempo per invertire la rotta sta scadendo.
Il massiccio delle Dolomiti resterà chiuso per tutta l’estate e sarà monitorato per tutta la stagione dalle sonde. Il geologo Nicola Casagli, geologo dell’Università di Firenze al Corriere della Sera ha allertato che «cadrà anche ciò che resta del ghiacciaio».
Ne abbiamo parlato con Hervé Barmasse, alpinista italiano con nel suo curriculum ventennale vette mitiche come il suo Cervino. Sportivo, atleta del Global Team The North Face, ma anche grande comunicatore e divulgatore, Hervé è scrittore e regista di film di montagna. Figlio d’arte, classe 1977, quarta generazione come guida alpina, Barmasse è noto anche per una impressionante impresa del 2017. In 13 ore ha scalato gli oltre 8mila metri dello Shisha Pangma, in Tibet. Per lui la montagna va “difesa dall’uomo e per l’uomo”, ecco cosa ci ha raccontato.
Dopo i fatti della Marmolada c’è preoccupazione su quello che potrebbe accadere in quota. Lo scioglimento dei ghiacciai si sta accelerando?
L’evento Marmolada è una tragedia che non era prevedibile. E si spera che non si ripeta altrove. Tuttavia non sono d’accordo nel dire che quello che è successo può succedere anche in altri ghiacciai, è un messaggio completamente fuorviante e sbagliato. Chi frequenta e conosce bene la montagna, come le guide alpine, sa bene che ci sono dei terreni che anche con il surriscaldamento possono essere visitati senza problemi. Dall’altra parte però le cause di quel che accaduto vanno prese molto sul serio. Per troppi giorni le temperature sono state – e continuano a essere – fuori dagli standard anche sopra i 4mila metri. E le conseguenze si vedono. A rischio c’è il Pianeta, ma la verità è che è l’uomo ad essere in grave pericolo. Oltre alle tragedie come quella della Marmolada c’è il rischio che finisca l’acqua che se viene a mancare, nel giro di poco tempo manca la vita. Questi eventi purtroppo accendono i riflettori sul quello che sta accadendo, ma si continua a non lavorare davvero per mettere la parola “fine” a questa debilitazione sempre più progressiva.
Cosa si dovrebbe fare?
Purtroppo alle parole continuano a non seguire i fatti. In particolare da parte della politica che avrebbe i mezzi per attivare davvero dei meccanismi “virtuosi” per uscire da questa situazione. Gli scienziati ci mostrano da tempo cosa rischiamo con i fatti. Siamo stati tutti avvisati. Dunque se scienza e fatti corrispondono, la politica invece continua ad agire solo con le parole. E questo ora è davvero è un problema. Ma io credo che l’uomo è ancora un “sapiens”, quindi abbastanza intelligente da fermarsi e agire ricordandosi che alcune azioni, come fermare la produzione di CO2, sono giuste ma con tempi troppo ormai lunghi per essere incisivi.
C’è un problema di sicurezza in montagna secondo te?
La sicurezza al 100 per 100 in montagna non si raggiunge mai. Esiste una percentuale imponderabile di imprevisti e pericoli oggettivi che il cambiamento climatico sta alimentando. Ma la soluzione non è pensare a una “montagna chiusa”. Come non si “chiude il mare” quando è in tempesta. Si deve creare un nuovo vademecum di cose da fare e non fare in determinati momenti dell’anno in specifici luoghi e itinerari. Bisogna cambiare senz’altro atteggiamento, in primis ascoltare sempre i consigli delle guide alpine che la montagna la conoscono, la capiscono, la sentono, ma anche degli scienziati che accumulano dati utili per prevedere quello che accadrà.
Infine, torno a dire, è la politica che deve essere presente e intervenire. Non chiudendo la montagna facendo passare il messaggio che è un luogo pericoloso e imprevedibile e basta. La “paura della montagna” è preilluministica, ora si spera di vivere in un mondo con una mentalità più aperta. La montagna non è nè spazzatura nè demoniaca, anzi, è fonte di acqua e quindi di vita. Per questo va protetta e non abbandonata a se stessa.
Oggi manca completamente l’educazione alla montagna?
Mancava prima e oggi anche di più. Chi la montagna la frequenta sempre, la capisce sa cosa fare e cosa no. D’inverno, per esempio, esistono dei segnali convenzionali (dal verde al rosso) che identificano il livello di pericolo di valanghe, tempeste di neve e nevicate, esattamente come accade al mare. Quando c’è “bandiera rossa” vuol dire che il pericolo è alto e che l’attenzione deve essere maggiore. Di conseguenza anche d’estate bisognerebbe trovare un “codice” nuovo leggibile a tutti, dai professionisti ai semplici appassionati, per insegnare a riconoscere un pericolo e il suo livello di rischio, in modo da comportarsi di conseguenza.
Oltre ai pericoli per gli escursionisti estivi c’è anche il tema della siccità che è arrivata anche in quota. Molti allevatori oggi non sanno dove portare il bestiame perché tante sorgenti a ridosso delle vette sono purtroppo a secco e anche gli agricoltori sono in difficoltà. E anche la vegetazione ne risente. La flora che un tempo si trovava a 1200 metri di altezza adesso la si trova a 1500, quella da 1500 a 1800 e via dicendo, giusto per fare un esempio. E, ricordiamo, a un certo tipo di flora poi corrisponde un certo tipo di fauna… Sono tante le testimonianze dell’evidente cambiamento. La natura è ancora oggi il principale termometro di ciò che ci accade intorno.
Cosa potrebbe accadere il prossimo inverno?
Guardando alla prossima stagione sciistica se si andasse avanti senza precipitazioni fino ad ottobre e poi arrivasse l’aria fredda senza neve, l’industria dello sci che cosa farà? Non potrà accedere ai bacini idrici perché a secco, ma senza sci si può stare, senza acqua no. Si muore. Quello che trovo ancora strano è che una soluzione ci sarebbe: la desalinizzazione dell’acqua dei mari. I paesi arabi sono un esempio e ci indicano la via per salvare la nostra agricoltura.
Oggi viviamo eventi non prevedibili, come la pandemia, e altri di cui invece si parla da 50 anni. E solo ora che ci stiamo sbattendo la testa abbiamo iniziato a parlarne davvero. Per cambiare le cose non bastano i tecnici o i politici, ma bisogna imparare ad ascoltare chi la natura la vive quotidianamente perché si possono trovare insieme idee e soluzioni a questa situazione. Ci vogliono persone coraggiose. Mi ha molto colpito l’impegno e l’interesse dei giovani verso la montagna, non solo per esplorarla e “usarla” per lo sport, ma per la loro grande voglia di difenderla. Mostrano una sensibilità e un’attenzione davvero commovente da vedere negli occhi dei ragazzi di oggi. Persone che guardano al loro futuro con preoccupazione, dovremmo seguirli e aiutarli.
Elisabetta Pina