Davide Pellegrini, presidente dell'Associazione Italiana Sharing Economy è convinto che non ci si possa più permettere l’iper-consumo e poi lo smaltimento.
Fenomeno in crescita nelle economie occidentali e nelle abitudini di consumo quotidiane, alla Sharing Economy – secondo uno studio della facoltà di economia dell’Università Niccolò Cusano – ricorrono molti italiani: il 10% di loro dichiara di aver fatto uso di home sharing e il 9% del car pooling, bike e car sharing. Un fenomeno in crescita a livello mondiale e che secondo lo stesso studio nel 2025 fatturerà un valore pari a 300 miliardi di euro. Ma per capirne di più sui benefici di questa economia circolare Wise Society ha parlato con Davide Pellegrini, presidente dell’AISE, Associazione Italiana Sharing Economy in occasione del Ferrara Sahring Festival di cui è direttore artistico.
Cos’è la sharing economy? Che definizione possiamo dare?
Sotto il cappello sharing economy ci sono moltissime forme. Noi potremmo definirla come economia della condivisone, un nuovo momento storico, un cambiamento epocale che sta cambiando il rapporto tra economia e società attraverso nuovi modelli organizzative e relazionali che mettono in collaborazione gli utenti tra loro. Parliamo di servizi prodotti e di attività progettate direttamente da utenti a beneficio o con il coinvolgimento di altri utenti. Questa è una vera rivoluzione!
Non solo piccole realtà quindi?
Diciamo che questo comportamento di collaborazione dà vita da un lato a piccole situazioni di scambio, baratto, condivisione dove il valore contante è il valore relazionale e in cui forse ci avviciniamo di più al concetto di sharing economy. Dall’altro a microeconomie di scala, in alcuni casi molto floride se pensiamo alla versione della grandi piattaforme (Uber, Airbnb) del neocapitalismo digitale con volumi di affari imponenti.
In Italia il fenomeno è in crescita?
Da una ricerca fatta dalla società di ricerca di mercato TNS Italia, emerge che il 70% degli italiani conosce la sharing economy e il 25% l’ha provata almeno una volta. Una tendenza in crescita che poi ha le sue motivazioni: l’effetto della percezione della crisi in cui il risparmio è un punto fondamentale e in cui i servizi sono molto economici perché prevedono meno intermediazioni. D’altro canto emerge il tema esperienziale, la curiosità cioè di trovare qualcosa di nuovo. E nel nostro paese nascono molte start up che utilizzano modelli collaborativi.
Sharing economy quindi come vera alternativa al consumismo?
E’ un modo diverso di pensare i servizi e di consumarli. La sharing economy è consumo collaborativo e proprio per il fatto che è progettata da utenti e offerta ad altri utenti propone un consumo critico e consapevole. Non siamo più nell’epoca in cui possiamo spendere senza renderci conto degli effetti del nostro gesto di consumo. È un nuovo momento di consumo più consapevole responsabile e critico.
La Sharing Economy è fenomeno bottom up che soprattutto in Italia è nato dal basso. Ma le istituzioni non potrebbero aiutare direttamente il suo sviluppo?
Sicuramente il coinvolgimento delle istituzioni sia importante tanto è vero che è stato presentato un disegno di legge per la regolamentazione della Sharing Economy. Ma io credo che, essendo un fenomeno che si base sulla disintermediazione e che salta le regole e le barriere degli ordini e delle categorie professionali per come le abbiamo conosciute fino ad oggi, oltre ad una regolamentazione ci sia molto più bisogno del parlarne del raccontarlo del creare della sensibilità culturale in modo che le persone sappiano coglierne i vantaggi. Quello che manca probabilmente è parlare di tutti i fenomeni legati al mercato collaborativo che non sono solo quelli legati solo al mercato dei servizi ma anche quelli che toccano aspetti di tipo sociale. Quando questo avverrà il fenomeno esploderà.
E sostituirà il modello economico che abbiamo davanti?
Credo che abbiamo tutti quanti un’urgenza di cambiamento e quello che chiediamo come utenti è partecipare in modo più consapevole a tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana sia professionale che culturale che sociale. L’epoca delle multinazionali non dico sia al tramonto ma ad essa si sta anteponendo un nuovo modello che è quello della condivisione.
Come cambierà il nostro comportamento?
Uno degli effetti della Sharing Economy riguarda la condivisione e la partecipazione dei beni pubblici. Ormai siamo in grado di fare massa critica come nel caso dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti. Per esempio affinchè la raccolta differenziata in un paese come il nostro diventi una prassi consolidata, ci vuole un impegno enorme dal punto di vista della sensibilizzazione e sul messaggio dell’utilità del farla. Dobbiamo però partire dal fatto che ci vuole tempo: la gente non è abituata ad agire in senso responsabile rispetto alla collettività. Vedo che qualcosa sta cambiando e che le persone cominciano a capire che per evolversi bisogna uscire dal proprio piccolo interesse individuale.
Sharing economy vuol dire anche rimettere in circolo beni: che consigli potrebbe dare ad ognuno di noi nel quotidiano per portare avanti questo modello?
Noi quando parliamo di consumo critico parliamo anche di questo. Apparteniamo ormai all’economia circolare perché non possiamo più permetterci l’iper-consumo e poi lo smaltimento. Abbiamo bisogno di ri-immettere le eccedenze che non consumiamo in un mercato che vada a coprire altri fabbisogni. Noi possiamo essere consapevoli e attenti a come consumiamo e allo spreco di cui spesso siamo inconsapevolmente causa. Consumare prodotti più attenti ai criteri di produzione, più intelligenti dal punto di vista della produzione, dobbiamo avere uno sguardo più attento all’influenza che ha il nostro consumo con l’ambiente.