Wise Society : Gio Evan: «Possiamo fare la terza pace mondiale cominciando dai piccoli gesti»
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Gio Evan: «Possiamo fare la terza pace mondiale cominciando dai piccoli gesti»

di Mariella Caruso
24 Giugno 2022

Una figura poliedrica, un artista e un pensatore a tutto tondo che, l'1 luglio a Sesto San Giovanni, animerà Evanland, il Festival Internazionale del Mondo Interiore.

Nella biografia pubblicata sul suo sito web, Gio Evan si definisce scrittore e poeta, filosofo, umorista, performer, cantautore e artista di strada. Molto più semplicemente Gio Evan è un guru per la sua generazione, quella dei trentenni alla quale si rivolge attraverso le sue esperienze di vita. Nato nel 1988, vissuto in montagna dai suoi 14 anni, a 19 anni inforca la bicicletta e per 8 anni gira per l’Europa, l’India e il Sudamerica. È durante questo viaggio iniziatico che uno sciamano hopi lo battezza Gio Evan. Il suo mondo interiore fatto di meditazione e silenzio, di libri e di musica, lo porterà il 1° luglio a Evanland, il Festival internazionale del mondo interiore che ha organizzato al Carroponte di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Si tratta di una giornata di workshop, incontri, laboratori, spettacoli, letture con tantissimi ospiti tra cui il biologo naturalista Daniel Lumera, lo scrittore e attivista per i diritti umani Nicolò Govoni, il manager teorizzatore dell’Economia 0.0 Oscar Di Montigny, la mente della onlus “Made in carcere” Luciana Delle Donne, e lo specialista in discipline olistiche Walter Zanca.

Gio Evan

Come ha costruito questa particolare giornata?

Tutto è nato sul terrazzo di casa mia, vicino Grottammare nelle Marche. Scherzando ho detto: “Ma quanto sono belle le persone cattive che riescono a organizzarsi sempre così bene: se devono fare guerra la fanno. I buoni invece si dimenticano sempre di tutto e, al massimo, si dedicano a fattorie didattiche lontane dal mondo. Così abbiamo deciso di dare appuntamento ai buoni, i cattivi non li lasceremo entrare! Inventeremo il passaporto della gentilezza per l’occasione. Volevamo creare una giornata dove i buoni potessero stare al sicuro tra di loro, per ridere e scherzare. Ci saranno tanti giochi e un parco giochi di legno per tutti, grandi e piccoli. Sa che l’uomo è l’unica razza che da adulto smette di giocare?

Perché abbiamo dimenticato di farlo?

La società ci induce a non perdere tempo con la leggerezza e a darci da fare per costruire responsabilità. Tutto ciò che non riguarda questa costruzione è visto come una perdita di tempo; ma è vero il contrario. Ricordo la frase di un vecchio saggio sulla meditazione che io ho adattato al gioco: “Non gioco perché non ho tempo, ma non ho tempo proprio perché non gioco”.

Cosa intende per gioco?

L’ilarità espressiva che ti fa trovare i tempi giusti per fare le cose. Io me ne accorgo molto con la meditazione: ogni volta che penso di non poterla fare, mi costringo a trovare il tempo. Credo fortemente che ognuno di noi si crei e modelli il proprio tempo. Serve anche quello per il gioco.

Locandina di Evanland

Come fa a essere così sereno quando il mondo intorno sembra andare a rotoli, sia dal punto di vista ambientale sia da quello della conflittualità tra i popoli?

La risposta a questa domanda è dettata dalla vita stessa: sono le nostre attitudini, il carisma e l’energia positiva che emaniamo a collaborare inconsapevolmente alla soluzione dei problemi. Se dovessimo lasciarci abbattere da un sistema che non ci ama, da una guerra in corso, allora “quel sistema” da combattere avrebbe già vinto. Insieme, invece, possiamo fare la terza pace mondiale cominciando dai piccoli gesti: aiutando il vicino per esempio o piantando alberi (stamattina ho messo a dimora 15 alberi). Mio padre mi diceva: “Se il mondo va a puttane, mi raccomando tu non andarci mai”. Dobbiamo usare la maestria dell’ironia, essere emanatori di felicità che allevia e farci bene a vicenda.

Piccole azioni quotidiane a parte, quali possono essere quelle grandi per appoggiare la lotta ambientale?

A questo riguardo ho scritto un monologo che vorrei inserire nel mio live con cui si concluderà Evanland: con il mio bassista Michele Mazzocchi, facciamo a gara a chi dei due è più eco. Un modo è quello di muoverci verso una società a impatto zero: iniziare a dimenticarci, per esempio dei grandi supermercati e tornare a fare le piccole spese nei mercati a km 0 creando così delle grandi reti. L’esempio è quello degli ecovillaggi di RIVE (Rete Italiana di Villaggi Ecologici) che ha creato micro tessuti che si basano sul baratto. Una delle cose più importanti in questo senso è lo scambio delle informazioni.

Gio Evan
In agricoltura, però, tiene banca la questione della “proprietà” dei semi da parte delle multinazionali.

Questa cosa che i semi debbano essere selezionati e brevettati e che i semi antichi non vadano bene, mi spaventa e credo serva una resistenza. Non è un caso che molti contadini si definiscono “partigiani 2.0”. Oggi la resistenza passa dai campi, è assurdo che scambiarsi dei semi di zucca sia illegale. Io dico che se una legge è sbagliata bisogna avere il coraggio di essere fuorilegge.

Quanto coraggio le ci è voluto per lasciare tutto e partire?

Sono andato via di casa a 14 anni, mio padre l’ho conosciuto che ero già grande perché dopo un fallimento è partito per fare fortuna in giro. Ho conosciuto la vera povertà. A 14 anni mi innamorai dell’agricoltura, dell’induismo e del buddismo.

Strano che un 14enne si innamori di queste cose.

Ai tempi ero molto bullizzato: ero il buddista in un sistema di catechesi tradizionale. Però a me piacevano molto il silenzio e la meditazione perché, essendo un timido e un ipersensibile quasi patologico, mi aiutavano. In quel periodo ho scoperto la scrittura e me ne sono innamorato. Quando dissi a mia mamma che sarei andato a vivere sui monti a coltivare i campi per aiutare una donna rimasta sola con un bambino non ha potuto dirmi di no. Sapeva che non ero uno sbandato, vedeva di che silenzio ero fatto.

Poi ha scelto l’India?

Finito il percorso scolastico a 18 anni, dopo aver conosciuto meglio mio padre, ho detto ai miei genitori che sarei andato a vivere in India. A quel tempo mia madre era sicura che la mia vita sarebbe stata un insuccesso.

L’ha smentita!

Mi sono preso una piccola rivincita simpatica.

Lei ha capito presto come indirizzare il suo futuro, ma non è così facile. Un consiglio a chi ancora è in cerca?

In realtà il futuro si indirizza dopo i 30 anni. Il mio ultimo libro, Vivere a squarciagola, erroneamente inserito nella collana Ragazzi di Rizzoli, credo che possa servire ai trentenni come me che guardano al passato, ma devono essere artefici del futuro. Come diceva Dante quest’età è la via di mezzo: comoda perché può cominciare a costruire con un buon bagaglio d’esperienza.

L’età giusta per indirizzare il proprio futuro, quindi, è tra i 30 e i 40 anni?

Sì, penso che fino ai 25 anni sia doveroso non pensare al futuro, ma costruire un presente inossidabile. È nel presente che risiede la felicità, non possiamo essere felici se proiettiamo le cose in giorni che non esistono. Che poi non significa non mettere le basi per il futuro. Quando a 20 anni ho deciso di seguire determinate idee ho lavorato sul mio futuro mantenendomi consapevole nel presente. Poi, dai 30 anni in su, se abbiamo fortificato il presente possiamo andare a giocar lì nel futuro.

Come si fortifica il presente?

Il presente si fortifica non abbandonandoci alle tentazioni della paura, bisogna stringere una forte amicizia con il terrore, innamorarsi dei dolori e di ciò che ci è stato occulto. A mio figlio oggi non dico: “Non avere paura: vai a fondo, a conoscere bene la paura”. Se non si conosce la paura non si avrà mai il coraggio, che è un valore umano incredibile. Noi riusciamo a fare la magia, l’arte e la poesia se non con il coraggio. Il presente si costruisce stando nei propri spazi e nei propri tempi, prendendoci cura dei dettagli che abbiamo, non maltrattandoci, non diventando gli altri e non seguendo i sogni degli altri.

Di fatto una seduta psicoanalitica continua.

Certo, chi non lo fa, vive i terrori del passato e del futuro. Io la vita, l’amore e le relazioni le ho sempre viste come un lavoro da fare, c’è sempre un impegno.

Dopo “Evanland” cosa farà?

Ho deciso di partire e allontanarmi un po’. Tornerò in Messico, ci sono stato durante l’inverno e sento di non aver preso tutto da quella terra. Poi andrò in America Latina, principalmente in Guatemala e infine in Ecuador dove ho molte conoscenze, lavori e progetti.

Il ricavato del video del suo ultimo singolo, Hopper, sarà devoluto a un progetto in Ecuador.

Sì, un orfanotrofio di Ibarra dove andai per la prima volta a 16 anni e fu un amore travolgente. Ho sempre avuto a che fare alla fine con gli orfani, io stesso mi sono “orfanizzato”. Ho mantenuto i rapporti con loro e cerco di supportarlo, di essere un socio pur se da lontano.

Come fa lei così dedito alla meditazione ad affrontare un live, che è l’antitesi del silenzio?

In realtà il silenzio è un’attitudine che si ha dentro anche in una discoteca. È una condizione interiore: io ho bisogno che il mio silenzio, il mio inverno ci sia come anche la primavera. Per me è importante saltare in aria, ballare, urlare. Io vedo la mia vita come un tubo con una cannuccia. Ogni tanto devo esplodere, devo soffiare in alto, mi piace quella vibrazione di potenza, che è molto punk. Mi trovo bene da una parte e dall’altra. La verità è che sono un estremista!

Mariella Caruso

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