Secondo il direttore del Kyoto Club, il merito più grande che potrà avere la green economy sarà quella di aiutare l’economia a convertirsi verso qualcosa di più sostenibile, sano e profittevole. Nella direzione di un cambiamento di mentalità e del modo di vivere
La rivoluzione verde sta cambiando il mondo. Gianni Silvestrini, dal 2003 direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia e presidente Exalto, ne è assolutamente convinto. Nato ad Aosta, dal 1977 al 1996 ha svolto l’attività di ricercatore presso l’Università di Palermo e il CNR nel campo delle fonti rinnovabili e delle politiche energetiche. E’ stato Direttore generale presso il ministero dell’Ambiente dal 2000 al 2002 e consigliere del Ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani dal 2006 al 2008. E’ inoltre responsabile del master «Ridef – energia per Kyoto» presso il Politecnico di Milano. Infine, ha scritto più di 100 articoli scientifici ed è coautore di vari libri (Architettura solare, Clup, Il futuro del sole, Manuale della certificazione energetica degli edifici). Ha appena pubblicato il testo «La corsa della Green Economy», edito da Edizioni Ambiente.
La forza della green economy sta nell’avere in sé la spinta del mercato e la capacità di seduzione del sogno: non è solo un salto tecnologico ed energetico, rappresenta un modello di futuro in cui piacere e benessere giocano un ruolo più importante. E’ questa l’idea di fondo del suo ultimo libro. Come è nato il progetto?
La valutazione alle base della decisione di scrivere questo libro è stata questa: il mondo sta cambiando molto rapidamente, in particolare nel settore energetico, e questo cambiamento in Italia non è percepito nella sua potenzialità nè a livello istituzionale nè politico come invece è accaduto in Germania o negli Stati Uniti (vedi il green new deal che ha lanciato il presidente Obama). C’é in altre parole, da noi, un ritardo imprenditoriale e istituzionale nel capire quello che sta succedendo, una difficoltà di visione. Portare esempi e numeri, quindi, può servire per capire la situazione. Se ci riferiamo al settore delle rinnovabili, mi ha molto colpito il fatto che nel 2009, l’anno in cui la crisi è stata più pesante, quello è stato l’unico ad essere andato molto bene. Basti pensare che il 63% di tutta la potenza in Europa è venuta dalle rinnovabili, mentre negli Usa il dato è del 43% e del 33% in Cina. Nell’eolico, sono stati introdotti oltre 38mila mw in termini di energia elettrica prodotta, che equivale alla produzione di 12 grandi centrali elettriche o a quello che è stato installato nel mondo negli ultimi cinque anni nel nucleare. Chi l’ha capito per tempo, ha ottenuto grandi risultati. Mi riferisco ad alcune aziende che oltre a produrre corposi fatturati, hanno incrementato di molto il numero degl addetti. Il settore, oggi, è uno dei più dinamici l mondo. La Germania conta su 300 mila addetti nelle rinnovabili, solo lo scorso anno si sono aggiunti 20.500 posti di lavoro. Altri esempi virtuosi sono stati Danimarca e Spagna, Cina e Stati Uniti. La Cina è stata leader nel mondo con 13mila mw ed è leader mondiale nella produzione di cellule fotovoltaiche.
E l’Italia?
Noi siamo stati per lungo tempo molto indietro. A cominciare dal protocollo di Kyoto che, da noi, è sempre stato preso poco seriamente. Meno male che l’obiettivo del 2020 è legalmente vincolante, ovvero la conversione energetica alle fonti rinovabili ed eco-sostenibili a livello mondiale. Così, finalmente i governi hanno attuato politiche di incentivazione molto alte: ogni anno sono installati 1000 mw nell’eolico e oltre 770 mw nel fotovoltaico. Su quest’ultimo, l’Italia è stato il secondo paese nel mondo nel 2009 quanto a produzione.
Cosa può fare davvero la green economy?
La cosa più importante che potrà fare l’economia verde sarà quella di aiutare l’economia a convertirsi verso qualcosa di più sostenibile, sano e profittevole nella direzione di un vero e proprio cambiamento di mentalità e del modo di vivere. E’ anche una svolta in senso etico. In alcuni paesi è già partita. Tutto questo dovrà necessariamente cambiare il modo in cui costruiamo le case e i mezzi di trasporto. La green economy aiuta l’economia ad adattarsi a questo nuovo scenario.
Una svolta green allora potrebbe davvero essere utile nella direzione della fuoriuscita da una crisi economica che ha coinvolto il mondo e che non è certo ancora rientrata?
Direi proprio di sì. A oggi, chi ha risposto con maggiore efficacia è stata la Cina che ha dedicato circa un terzo del suo piano economico alle rinnovabili, a seguire gli Usa con circa il 13% anche se, nel loro caso, gli effetti si vedranno da oggi ai prossimi tre anni. L’Europa, invece, non ha dedicato molte risorse al pacchetto di rilancio economico anche perchè aveva già fatto un grande sforzo in questa direzione nel passato. Comunque questa svolta ha portato alla nascita di moltissime realtà imprenditoriali che non esistevano dieci anni fa, come Solarworld, Suntech, tutte nuovissime, che dal niente sono arrivate a chiudere l’anno con oltre un miliardo di euro di fatturato. Poi ci sono i colossi, come Siemens e General Electric che stanno modificando la loro rotta, ci sono quote di mercato sempre più rilevanti che derivano da qui.
Cosa si intende quando si sente dire che bisognerebbe tornare a un’economia sostenibile? E’ realistico, quando sono le leggi dell’economia e della finanza e gli interessi della politica a regolare il tutto? E in che direzione bisognerebbe muoversi?
C’è una corrente impetuosa che si muove nella direzione del business verde emersa anche in seguito al discusso epilogo di Copenhagen, che comunque fa andare avanti nella giusta ottica. C’è insomma una spinta che viene dal basso ma che comincia a essere importante. Basti guardare ai cambiamenti nei comportamenti a cominciare da Nord Europa, all’Argentina o alla California. Da Amsterdam a Buenos Aires, da Friburgo a San Francisco molto si sta muovendo, un pò grazie alla visione di un singolo o per come risposta saggia alle necessità della collettività. Sta di fatto che centinaia di enti locali dal basso stanno sperimentando soluzioni innovative.
La green economy è accusata essere un grande business nelle mani di pochi, oltre che un ricettacolo di interessi molto poco trasparenti. Come vanno lette queste accuse?
Nel nostro paese, se si riferisce a quanto sta accadendo o è accaduto nell’eolico, tutto si spiega se si guarda alle pratiche burocratiche. Le procedure autorizzative molto complicate e poco chiare purtroppo danno spazio inevitabilmente ai compromessi e agli accordi sottobanco. Questo non accade, per esempio, nel fotovoltaico dell’edilizia, dato che in questo caso non ci sono margini per gli interessi poco chiari.
Quali sono gli ambiti in cui la green economy si sta manifestando nel modo più produttivo?
Energia, agricoltura biologica con una domanda che spinge verso prodotti più sicuri, riciclo. Ci sono poi esempi molto virtuosi in giro per il mondo. In India, per esempio, ci sono decine di migliaia di villaggi scollegati dalle retri elettriche. Su questi ci sono migliaia di progetti su larga scala, declinati nella autogestione di piccole realtà che si stanno muovendo in questa direzione. La Grameen Bank, ovvero la Banca dei poveri, con a capo Muhammad Yunus sta facendo un lavoro eccellente sul lato della diffusione dell’energia distribuita e sulle donne, che sono coinvolte nel processo. A questo ho dedicato un capitolo del mio libro.
Chi dovrebbe pagare e chi effettivamente pagherà il conto della corsa alla green economy?
Pensiamo agli investimenti collegati all’efficienza energetica. Si tratta di investimenti che di certo sul lungo termine porteranno grandi vantaggi ma sono molto molto corposi. Sta di fatto che il futuro non potrà che disegnarsi nell’ottica della riqualificazione energetica del nostro patrimonio edilizio e residenziale.
Nel suo ultimo libro la critica sul ritorno al nucleare è radicale. Tuttavia sono in molti a riconoscere nel rilancio del nucleare un’opzione irrinunciabile. Come si concilia il tutto?
Si sta assistendo a un decentramento e a un’autogestione che già è nei fatti, sta avvenendo un cambiamento nel paradigma energetico. Tornare al nucleare significa tornare a una gestione centralizzata, rischiando così di allontanarsi dalla partita «verde», finendo per perderla.