Wise Society : Gian Luca Chiarello: noi ricercatori eccellenti. Specialisti in “fai da te”
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Gian Luca Chiarello: noi ricercatori eccellenti. Specialisti in “fai da te”

di Sara Donati
8 Luglio 2011

Uno dei più brillanti ricercatori italiani, vincitore del Debut in Research Prize "ENI Award 2008", racconta quanto sia difficile nel nostro Paese trovare fondi per il proprio lavoro, perchè i soldi per tutti non ci sono. Così i nostri migliori cervelli, oltre che la testa devono saper usare anche le mani

Gianluca Chiarello, ricercatoreGian Luca Chiarello, lombardo nato nel 1980, è uno dei più brillanti ricercatori italiani. Laureato in Chimica Industriale nel 2004 presso il Dipartimento di Chimica ed Elettrochimica dell’Università di Milano, quattro anni dopo attira l’attenzione su di sé e i suoi studi, grazie ad un importante premio, Debut in Research Prize – “ENI Award 2008“, consegnatogli in una cerimonia ufficiale presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, a Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. I risultati della sua ricerca lo hanno portato alla progettazione di foto-reattori catalitici innovativi, che coprono tutti gli aspetti della catalisi eterogenea. In particolare, attualmente, la sua ricerca è focalizzata sulla conversione e immagazzinamento dell’energia solare attraverso la produzione fotocatalitica di idrogeno dall’acqua (e da “photo-steam reforming” di biomasse).

Quali sono state le sue esperienze professionali e dove lavora oggi?

Ho lavorato un anno a Zurigo, presso l’ETH (Politecnico federale), un centro di studi a livello internazionale, nello staff di Alfons Baiker. Adesso, da poco ho ricevuto una incarico in Germania, per cui ho iniziato a lavorare al Karlsruhe Institute of Technology uno dei centri di eccellenza tedeschi, dove avrò la possibilità di lavorare al sincrotrone, l’acceleratore di particelle, quindi di spostare la mia attenzione sulla caratterizzazione, sullo studio dell’assorbimento dei raggi “x”. Un argomento nuovo che ad oggi non avevo affrontato e che mi permetterà di conoscere nuove cose.

Qual è il suo approccio alla ricerca?

Un lavoro di ricerca non parte dal nulla. Quando inizi ad affrontarlo, la prima cosa da fare è la ricerca bibliografica. Da questo capisci che la ricerca è un bene per tutta l’umanità, quindi il ricercatore non deve nascere, crescere e morire all’interno dello stesso ambiente. È fondamentale che ci siano scambi culturali, che una persona possa viaggiare per raccogliere il meglio di ciascuna università, perché ogni università è specializzata su un determinato argomento. Un ricercatore deve aprire la propria mente e capire di appartenere ad un mondo che va al di là dei confini nazionali. Noi apparteniamo alla comunità scientifica internazionale, la ricerca è e deve essere a livello mondiale: dobbiamo esserne consapevoli.

Dettaglio, apparecchiatura per la fotocatalisi

Come avviene il reperimento dei fondi?

È risaputo che almeno il 50 percento del tempo di un professore universitario viene speso e, aggiungerei sprecato, per procurasi fondi. Esiste un sistema in Italia che prevede il 30 percento di co-finanziamento. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: se per realizzare un progetto ho bisogno di un milione di euro, e mi rivolgo, mettiamo al Ministero della Pubblica Istruzione che dovrebbe erogarmelo, dovrò comunque fornire di tasca mia in qualche modo il 30 percento della cifra che chiedo, quindi 300.000 euro. È il famoso co-finanziamento. Ma se io sto facendo una richiesta di fondi, come posso avere già a disposizione questi soldi? È una cosa priva di senso, eppure c’è questo vincolo e non è l’unico. Per non parlare della burocrazia e dell’iter necessario. Sinceramente passa anche la voglia di fare le richieste di finanziamenti, perché è quasi impossibile ottenerli.

Quali sono le differenze tra l’Italia ed l’estero?

All’estero hanno deciso di investire gli sforzi di un’intera nazione su piccoli centri. Per esempio, in Germania, ci sono quattro piccoli centri di eccellenza, uno dei quali è quello dove andrò a lavorare io:  il Karlsruhe Institute of Technology. A questi centri selezionati vengono riconosciuti dallo Stato molti soldi e facilitazioni per fare ricerca. La politica universitaria in Italia, invece, è quella di lasciarti da solo a districarti nella giungla della burocrazia per poter ottenere i tanto sospirati finanziamenti. Il vero problema è che non ci sono fondi sufficienti per tutti, quindi ci sono ricercatori che vengono stipendiati, ma che non hanno i mezzi per poter portare avanti i loro studi. Invece all’estero ogni ricercatore ha garantito un certo quantitativo di denaro per poter svolgere il proprio lavoro.

Qual è la sua esperienza personale su questo argomento?

Sostanzialmente ho avuto due finanziamenti ottenuti da due enti: la Fondazione Cariplo e la Regione Lombardia. Questo mi ha garantito una base per dedicarmi alla ricerca e pubblicare un certo numero di articoli, oltre ad avere riconoscimenti, premi anche internazionali, e di realizzare  un brevetto. Non ho, invece, mai ottenuto nessun tipo di finanziamento a livello nazionale.

Impianto per la scissione di idrogeno ed ossigeno

Che rapporto c’è o ci potrebbe essere, invece, tra voi ricercatori e i privati, le aziende?

È un punto controverso. C’è un antico principio secondo cui  le università dovrebbero rimanere indipendenti, occuparsi del sapere e non essere al servizio dell’industria. L’università dovrebbe avere un proprio status, una propria dignità e autonomia dai soldi che possono arrivare da aziende private. Però io credo che se si riuscisse a far incontrare in maniera proficua università ed industria si aprirebbe un mondo nuovo. Le imprese potrebbero finanziare la ricerca, dalla quale otterrebbero a loro volta dei vantaggi. Ma per arrivarci bisognerebbe fare una rivoluzione culturale: le aziende dovrebbero riconoscere all’università la capacità di fornire un servizio di ricerca ad alto livello, ricambiandolo con finanziamenti e possibilità di sviluppo per l’università stessa e i suoi ricercatori.

In Italia si dice spesso che i ricercatori “si arrangiano”. Ci spiega se è vero nella sua esperienza e cosa ha significato nel suo specifico caso?

Nell’università degli studi di Milano, dove sono cresciuto, ci distingue proprio la capacità di saperci “arrangiare”. Non andiamo a comprare ciò che il mercato già ci propone, ma cerchiamo di crearci le nostre apparecchiature e le nostre soluzioni, per conto nostro. Ho avuto la fortuna di essere allievo di un grande docente, Lucio Forni, che non soltanto mi ha insegnato la chimica, ma mi ha trasmesso anche ottime capacità manuali. Il che ha significato per me e altri colleghi andare nella nostra piccola officina e costruire con le nostre mani, partendo da materiali poveri, le apparecchiature che ci servivano. A un costo molto basso, ma con risultati eccellenti. Un esempio? La costruzione di forni a partire da scatole di panettoni o di sofisticati impianti partendo proprio dalla base: dai semplici tubi, da valvole, da pompe, o da quello che viene rottamato e che siamo in grado di modificare, con le nostre competenze, adattandolo alle nostre neccessità. Un motivo per noi di grande orgoglio.

 Officina Università degli studi di Milano Dipartimento fisica e Chimica

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