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Gabriele Centazzo: ecologia? Una parola proibita

di Sebastiano Guanziroli
28 Aprile 2011

Il presidente e fondatore dell’azienda friulana Valcucine deve il successo all'innovazione tecnologica e alla creatività. Ma soprattutto al suo impegno, ante litteram, nei confronti dell'ambiente e dell'uso responsabile delle risorse

Gabriele Centazzo, imprenditoreÈ un imprenditore e un industriale, eppure nel sito della sua azienda, vicino a quelle dei prodotti, si trovano informazioni sulla decrescita e la diminuzione dei consumi. Qualche collega lo definirebbe un pazzo, altri un visionario. Ma Gabriele Centazzo non sembra essere molto preoccupato dei giudizi. Altrimenti non avrebbe fondato, più di trent’anni fa, il marchio Valcucine, intraprendendo con grande anticipo sui tempi un percorso orientato alla ricerca della sostenibilità, al rispetto dell’ambiente e dell’uomo e alla difficile soluzione di un problema: come produrre qualcosa che sia bello e anche alla portata di molti? Un impegno che Centazzo rinnova continuamente, come presidente dell’azienda, attraverso innovazione tecnologica e creatività, che sono alla base del suo successo. Valcucine lavora per l’ecosostenibilità progettando prodotti il più possibile dematerializzati e riciclabili, ad emissione zero di formaldeide, che garantiscono una lunga durata tecnica ed estetica, con legni non provenienti dalla distruzione delle foreste primarie. Non solo. L’azienda friulana ripristina le materie prime rinnovabili, come il legno, con progetti di riforestazione gestiti dall’associazione Bioforest. La storia di Gabriele Centazzo e della sua azienda è un esempio concreto della possibilità di fare industria, farla eticamente, e fare anche profitti. Ci ride sopra, raccontando che oggi lo chiamano a tutti i convegni industriali e a parlare nelle università. Vincere la crisi con l’ecologia è diventato un mantra, il consumo responsabile è di moda: Centazzo lo dice da anni, tanto che oggi è arrivato a proibire l’uso della parola “ecologico” in azienda: «Sono diventati tutti ecologisti e impegnati a distorcere la realtà attraverso una comunicazione acuta. Ogni azienda cerca di darsi una pennellata di verde, confondendo i consumatori. La parola “ecologico” è gratis, possono usarla tutti… io ho proibito di usarla, perché non esistono processi di produzione che non provocano impatto ambientale, e io non voglio ingannare nessuno».

Invitrum, base in vetro riciclabilePerò è possibile produrre in modo ecocompatibile…

L’impresa può fare molto: deve produrre consumando la minor quantità possibile di materie prime ed energia, deve realizzare prodotti interamente riciclabili e già progettati per essere riciclati e riutilizzati, deve ridurre le emissioni tossiche e le sostanze inquinanti, e infine garantire la massima durata possibile al prodotto. Valcucine propone una garanzia di responsabiltà di ritiro a vita, cioè il ritiro gratuito della cucina usata a fine del ciclo di vita.

Queste attenzioni non comportano un aumento dei costi? Si può produrre in modo sostenibile e creare prodotti non solo per i pochi che possono permetterseli?

Bisogna sforzarsi di trovare nuove soluzioni. In fondo è sempre stata un po’ la mia difficoltà, perché mi dicevano che facevo cucine di qualità ma costose. È vero, per essere veramente ecocompatibili ci si deve sforzare di fare prodotti alla portata di tutti. Valcucine lo ha fatto con la linea Demode, acronimo di “democratic modern design”, sostenibili sia nella produzione siaÈ nel prezzo. Per arrivare a questi risultati abbiamo reinventato il sistema di mobili da cucina, semplificando al massimo la struttura con una serie di tubi facilmente assemblabili anche dall’acquirente.

Serve creatività…

Sì, è con la creatività che si risolvono i problemi. È da lì che i giovani dovrebbero ricominciare a costruire. Io ho 62 anni e appartengo alla generazione che ha egoisticamente distrutto l’ambiente. Una generazione che non ha avuto antagonisti, che ha visto restare in piedi solo il sistema capitalista, un sistema che non garantisce ben-essere, ma solo ben-avere. Abbiamo costruito la nostra società intorno al consumo assoluto, ma non possiamo più proseguire con questo sistema economico. L’industria ha costruito un “consumatore perfetto”, quello che Zygmunt Bauman chiama l’homo consumens, comunicando e inculcando il concetto della “felicità del possesso”. Non possiamo più andare avanti in questo modo, ma sono solo i giovani che possono rompere questo circolo vizioso che si regge sul consumo perenne.

Lei si definisce un visionario, ma non un utopista. Quali sono i principi su cui si dovrebbe rifondare il sistema?

Uno è la selvaticità, che si accompagna all’idea di libertà e sobrietà: non si sono mai visti gatti selvatici obesi, al contrario dei gatti domestici, perché mangiano solo ciò che gli serve. La sobrietà è fondamentale all’interno della decrescita. Poi la bellezza, filosofica non solo estetica, che tra l’altro è l’unica cosa che ci è rimasta in Italia: persa tutta la grande tradizione industriale, la bellezza del nostro Paese è tutto ciò che abbiamo. E infine l’etica. Ho avuto una nonna che una volta mi dato quest’insegnamento, che ho fatto mio: “se vuoi essere etico, devi rispettare quattro verbi. Prima di tutto l'”essere”, poi il “fare”, quindi l'”avere”, ma solo dopo l’essere e solo come giusta ricompensa del fare. In realtà ce n’è anche un quinto: “condividere”, perché è solo in mezzo agli altri che tutto acquista un senso.

Valcucine Artematica Vitrum con New Logica System

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