Dalla ricerca condotta dall'Istituto BilanciaRSI per conto del Ministero dello Sviluppo Economico emerge come le imprese orafe italiane stiano andando nella direzione giusta
Ma la Responsabilità Sociale di Impresa è applicata in tutti i settori produttivi? E nel settore orafo italiano e internazionale cosa avviene? A margine del Salone sulla CSR e dell’Innovazione Sociale della Bocconi del 1 e 2 ottobre 2013 wisesociety.it ha parlato con Filippo Amadei di BilanciaRSI per sapere cosa stiano facendo le imprese italiane per tracciare la filiera di produzione.
-Cosa è emerso dalla ricerca che avete condotto per conto del Ministero dello Sviluppo Economico sulla RSI nel settore orafo italiano?
La situazione di conoscenza e applicazione della responsabilità sociale di impresa nel settore orafo risulta non ottimale, ma comunque positiva. Il 76% delle imprese intervistate, infatti, conosce la RSI e la pratica più o meno consapevolmente. Dalla ricerca è emerso che più della metà delle imprese sono sensibili ai temi ambientali, mentre un po’ meno del 50% sono quelle che divulgano informazioni sulle loro attività agli stakeholder. C’è da registrare tuttavia una minore attenzione verso il tema della tracciabilità della filiera orafa che è uno degli aspetti più critici in termini di sostenibilità e responsabilità sociale poiché prestare attenzione al perimetro allargato delle imprese risulta in particolare per le piccole imprese, difficile.
-Le aziende italiane cominciano a responsabilizzarsi? Ne hanno gli strumenti?
Gli strumenti ci sono, quello che manca è la cultura sottostante, la loro conoscenza e il modo corretto di applicarli per ottenere un vantaggio competitivo nel medio-lungo periodo. Molto spesso questi strumenti (es. certificazioni, procedure di controllo del rischio non finanziario, ecc) non vengono percepiti investimenti ma come costi non solo in termini di risorse finanziarie, ma anche di tempo per la programmazione delle attività e di persone per l’attuazione di tali attività.
-Uno dei temi centrali è come tracciare la filiera dalla miniera fino alla gioielleria. Come possono fare le aziende soprattutto quelle più piccole?
Tutte le aziende, anche le più piccole, possono iniziare a tracciare la filiera. Non serve inizialmente sviluppare una certificazione ad hoc costosa, ma è sufficiente seguire ad esempio il manuale che il MiSE ha realizzato per la gestione del rischio non finanziario. E iniziare a fare domande ai propri fornitori sui temi del loro approccio alla RSI. Oppure collaborare con loro per renderli più responsabili. Ci sono piccolissime aziende che hanno creato legami diretti e rapporti commerciali con aziende di estrazione dell’oro in paesi del Sud America e la loro volontà ha determinato questa attività di tracciabilità che si è conclusa con successo.
In sostanza, se c’è consapevolezza, volontà e programmazione, le cose si fanno.
-Ma ci sono anche questioni importanti dal puntodi vista ambientale: per esempiol’utilizzodi sostanze tossiche come il mercurio perestrarre l’oro.
Sicuramente il tema ambientale all’interno della filiera è fondamentale. Con il processo denominato abbraccio alchemico si liberano delle particelle di mercurio che, una volta vaporizzate, sono dannose sia per l’uomo che per l’ambiente. La nostra ricerca ha evidenziato che il campo ambientale è quello dove le imprese sono più attive, ma abbiamo ragione di ritenere che siano attive all’interno del proprio perimetro ristretto e non a livello di filiera. Risulta infatti complesso gestire gli impatti ambientali che non riguardano il proprio perimetro ristretto, ma un raggio più allargato quale è quello della filiera appunto.
-Ci sono dei metodi puliti per l’oro certificato senza l’utilizzo di processi che implichino l’uso di sostanze nocive?
Sì, ad esempio una cooperativa di estrattori d’oro in Colombia con la quale lavorano alcune piccole imprese italiane, sviluppa sistemi di raccolta ed estrazione dell’oro senza utilizzo di additivi nocivi per l’ambiente e per l’uomo, impiegando sostanze alternative di origine naturale. Le metodologie alternative al mercurio e naturali ci sono ma bisognerebbe applicarle anche su larga scala.
-Cosa si può fare per offrire più consapevolezza e generare una gestione migliore?
Sicuramente è importante sensibilizzare le imprese con azioni di promozione e formazione su questi temi, con la diffusione di strumenti per gestire tali aspetti e approcciarsi in modo strategico e consapevole. La mancanza di consapevolezza invece porta nel migliore dei casi a fare RSI “inconsapevole” che, cioè, si fa ma non sapendo di farla. E i rischi sono molteplici. L’approccio dell’impresa alla sostenibilità non può essere migliorato perché non viene misurato e non viene agganciato al business di riferimento aziendale per ottenere non solo un valore (beneficio) per gli stakeholder, ma per l’impresa, attraverso la generazione di un profitto sostenibile nel tempo.
-Negli altri paesi come fanno?
Specialmente i Paesi del Nord Europa hanno più cultura. Non a caso molte certificazioni specifiche del settore –in particolare quelle internazionali come la Responsible Jewellery Council – sono state ottenute da imprese appartenenti al Belgio e ai Paesi Bassi. Gli strumenti ci sono e ci sono per tutti. Cambia il modo di approcciarsi al problema, cambiano le sensibilità dei consumatori e del mercato. Ad esempio in Germania e in USA questi temi sono alquanto sentiti come importanti sia dalle imprese che dai consumatori in modo decisamente maggiore rispetto al mercato interno italiano.
-Per poter esportare gioielli in USA è necessario dimostrarne la provenienza delle materie prime. E molte aziende italiane già lo fanno. Quindi vuol dire che tracciare è possibile?
Per esportare negli Stati Uniti dall’inizio del 2013 c’è una nuova norma regolatrice che obbliga le imprese che esportano i gioielli a tracciare la provenienza delle materie prime con cui è stato realizzato. Ciò dimostra che tracciare è possibile ed è un lavoro che deve essere fatto e come ogni lavoro è necessario impegno, relazione, dialogo, collaborazione tra gli attori della filiera.
-Che strumenti ha a disposizione il cliente per sapere la provenienza dei gioielli e se sono stati fatti senza sfruttamento? Esiste in Italia un modo di certificare la responsabilità che indirizzi il consumatore verso una scelta di acquisto?
In Italia ma anche all’estero ci sono state delle iniziative mirate a certificare la provenienza del prodotto ma anche a certificare l’azienda. Come l’esperienza del sistema TF (Traceability & Fashion) di Unioncamere per tracciare l’origine dei prodotti non solo di bigiotteria ma anche del fashion circa i luoghi di lavorazione dei componenti del prodotto e in termini di RSI. Tuttavia la certificazione del settore maggiormente orientata alla RSI è la RJC che si focalizza proprio sul tema della responsabilità sociale e della sostenibilità di filiera, sia da parte dell’azienda, sia con un focus preciso sul prodotto.
-Che consigli possiamo dare al consumatore quindi per educarlo e renderlo consapevole?
Essere informati e attori e non spettatori. Non farsi ridurre a pubblico.
– Essere curiosi. Ci sono moltissime informazioni sul tema on line e il tema sostenibilità ormai è diventato una parola sulla bocca di tutti. Non è difficile, basta ascoltare ed esercitare maggiormente la voglia di capire, di essere curiosi, capire meglio cosa c’è dietro ad un prodotto, dietro alle apparenze di una pubblicità colorata o con l’attore famoso, quali aziende lo hanno creato, quale storia di missione e di valori aziendali ci sta dietro. Le informazioni ci sono. Bisogna scremarle, soppesarle e confrontarle e non subirle passivamente per trovare alla fine quel prodotto che coniughi convenienza economica con attenzione al mondo e alla società, all’ambiente in cui viviamo.
– Domandare. Informarsi prima di fare un acquisto chiedendo al venditore da dove proviene l’oro e i gioielli che compra. Informarsi significa anche sensibilizzare l’altro (in questo caso il venditore): più consumatori gli chiederanno queste informazioni più il venditore si attiverà non solo per darle ma anche per essere maggiormente in linea con le sensibilità dei consumatori.