Wise Society : Le erbe selvatiche sono commestibili: basta imparare a riconoscerle
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Le erbe selvatiche sono commestibili: basta imparare a riconoscerle

di Barbara Pozzoni
9 Luglio 2012

Le piante spontanee, ricche di principi nutritivi, ci riavvicinano alla natura. Ecco come distinguere le varie specie e cucinarle bene, con i consigli dell'agronomo Davide Ciccarese

Davide Ciccarese, giovane agronomo di origini salentine, è un grande appassionato e un esperto di erbe selvatiche: ha realizzato diversi workshop sull’orticoltura e sulle piante spontanee e ha scritto sull’argomento due libri che val la pena di leggere: Cucinare le erbe selvatiche, e Il libro nero dell’agricoltura.  In questa intervista ci racconta come riconoscerle e raccoglierle magari durante una passeggiata in campagna, cucinarle nel modo migliore e rivalutarle anche quando crescono nel nostro orto, dove in realtà svolgono un compito importante.

Tarassaco, un'erba spontanea

Foto Shutterstock

Come ha cominciato ad occuparsi di erbe selvatiche?

Diciamo che fin da piccolo ho subito il fascino della moltitudine di erbe in cui ci si imbatte nei prati. Nella casa in cui sono cresciuto avevo un giardino, e lì mi perdevo ad osservare la forma delle foglie e dei fiori di ogni singola specie. Crescendo mi sono ritrovato a fare le stesse cose, quando andavo a fare i campi con gli scout.

Anche le passeggiate in montagna con mio zio erano una continua scoperta di erbe nuove da guardare, annusare e assaporare. Insomma posso dire che è sempre stata una passione innata e che anche adesso riesce a coinvolgermi ed a stupirmi esattamente come allora.

Esiste un modo per riconoscere a colpo d’occhio le specie commestibili da quelle tossiche?

Le piante spontanee che incontriamo nei prati o nei boschi non sono come i funghi, che hanno caratteristiche e forme particolari per cui si può fare una cernita a monte. Inizialmente è importante avere pazienza e tempo da dedicare alla raccolta delle erbe selvatiche, e con l’esperienza il nostro occhio si abituerà ad individuare quelle commestibili più velocemente.

Solitamente la piante tossica appartiene ad una famiglia che è interamente velenosa, è quindi importante aver coscienza di cosa stiamo raccogliendo e per fare questo ci vuole un minimo di preparazione e di esperienza. Quando non si è sicuri del nostro raccolto, occorre fare un controllo su testi specifici, oppure basta un giretto nel web per riconoscere e confrontare il nostro raccolto. Proprio per questo, nelle ultime due pagine del mio libro, ho elencato  dei siti che possono tornare utili in caso di dubbi e incertezze.

E da un punto di vista nutrizionale, c’è differenza tra la comune verdura che troviamo in commercio e le erbe spontanee?

Assolutamente sì, le erbe selvatiche battono senza dubbio quelle tradizionali che spesso durante la coltivazione, subiscono forti diluzioni di liquidi e nutrienti. Quindi le prime hanno un quantitativo di sali minerali e di vitamine molto più concentrato rispetto alle altre, tanto che spesso, a causa dell’alta concentrazione di ferro, vanno trattate col limone, per evitarne un aspetto troppo scuro e sgradevole alla vista. Come succede d’altronde anche con il comune carciofo.

Qual è il primo impatto che ha il nostro palato nell’assaggiare un’erba selvatica?

Beh durante i primi assaggi è molto facile confonderle ed il gusto dominante, quello che possiamo individuare nell’ immediato è quello dell’erba del prato…ma mettendoci un po’ d’impegno e concentrandoci sulle singole specie, ognuna di loro si differenzierà per leggere sfumature. Insomma hanno un sapore forte che le accomuna, ma una nota leggera che le differenzia. Solo mangiandole ed “ascoltandole” si può imparare il loro vero gusto.

Che consigli si possono dare a chi decide di affrontare per la prima volta la raccolta di queste piante?

Innanzitutto sconsiglio vivamente di raccoglierle in città, nei parcheggi e vicino ai fiumi.  Il tasso d’inquinamento, le polveri sottili e quant’altro rovinano le loro qualità ed anche lavandole accuratamente, il risultato  non cambia.

È indispensabile quindi spostarsi lontano dal traffico cittadino, cosa che può aiutarci anche a cambiare aria, rivalutare la natura e “staccare la spina” dalla routine di tutti i giorni. Occorre essere sempre rispettosi della pianta che ci troviamo innanzi e quindi valutare se è in via d’estinzione. Possiamo saperlo consultando le leggi comunitarie o internazionali delle specie selvatiche di flora e fauna.

È poi importante il momento della giornata in cui si decide di prelevare la pianta dal suo ambiente naturale, meglio infatti la mattina presto o la sera al tramonto del sole, cosicché lo stress subito dal vegetale possa essere ridotto ai minimi termini. Sarebbe utile anche non depositarlo in un sacchetto di plastica, ma in un cestino, sul cui fondo si è messa della carta, questo per farle respirare. Soprattutto ricordiamoci di non strappare la pianta che ci interessa, ma di tagliarla, preservandone la radice, in modo di non comprometterne la riproduzione, oppure preleviamone semplicemente i semi che poi pianteremo nel nostro giardino o sul nostro terrazzo.

Oggi alle erbe selvatiche si dedicano libri, blog, corsi di vario genere. A suo parere si tratta di una nuova moda?

Più che una moda, la trovo una nuova esigenza. La voglia di ritrovare informazioni che ci aiutino a vivere meglio, scoprendo una natura che ci ha sempre circondato e di cui non ci siamo mai accorti.

Apparteniamo ad una generazione che non sa riconoscere il nome di una pianta anche se comune, e quello che si sta verificando è un naturale ritorno alla conoscenza della terra. È il nostro orologio biologico che ci spinge a questo…Certo poi è anche possibile che tutto ciò diventi una moda, ma ben venga una moda sana.

Nel suo libro lei afferma che le erbe ci parlano…cosa ci raccontano quelle spontanee?

Cover libroTante cose. In primis ci raccontano la struttura del terreno in cui crescono; dove possiamo coltivare una specie, piuttosto che un’altra; se la terra è in buone o in cattive condizioni; se la presenza dell’uomo ha deteriorato l’ambiente, o meno. La presenza di una specie selvatica, non è mai casuale, può essere stata causata da un dosaggio sbagliato del concime o da un cambiamento della condizione del suolo. Le cosiddette “erbacce” sono ottimi bioindicatori dell’ambiente e del terreno in cui crescono.

Per non parlare della loro utilità: rigenerano il terreno fissando l’azoto, aiutano i terreni spenti riequilibrando le sostanze nutritive, migliorano l’aerazione del suolo, lo proteggono dagli agenti atmosferici e danno una mano alla ripopolazione di tutta la microfauna di cui l’orto o l’appezzamento di terra hanno bisogno. Inoltre, una volta finito il ciclo vitale, possono trasformarsi in una fonte di sostanza organica che va ad arricchire il terreno stesso. Ricordiamoci quindi che prima di strappare un erbaccia, sarebbe interessante capire perché è cresciuta e se è davvero fondamentale eliminarla.

Quindi nell’orto andrebbero lasciate le erbe che crescono in modo spontaneo?

L’ideale sarebbe seguire un concetto di agricoltura naturale. Applicando perciò le basi della permacultura, che contempla la convivenza di piante spontanee e coltivate, una tecnica dove l’apporto dell’uomo è ridotto ai minimi termini e la vegetazione si autogestisce, riducendo la fatica dell’agricoltore che in compenso può utilizzare ciò che la natura gli offre gratuitamente.

Una tecnica ideata e sperimentata con grande successo anni fa da un agricoltore giapponese di nome Masanobu Fukuoka. Le erbacce, considerate da sempre un fastidio per il nostro prato, possono esserci di grande aiuto e quindi cominciamo a considerarle amiche e a dar loro un giusto valore. Valutiamo semplicemente che il 30/40 percento di ciò che strappiamo è commestibile.

Ma coltivare erbe selvatiche, non è un po’ un controsenso?

Può sembrarlo, ma in realtà è solo un modo per risparmiarsi fatiche andandole a cercare nei campi. Inoltre coltivare piante spontanee in giardino non vuol dire addomesticarle, cioè attuare quel processo che trasforma un’erba spontanea in una coltivata, ma semplicemente trasferirla nel nostro giardino o terrazzo, mantenendo intatte tutte le sue caratteristiche, ed eventualmente aiutarla a propagarsi.

Si stanno facendo studi per l’impiego di piante selvatiche commestibili in agricoltura?

Sì, alcune Università già da tempo stanno seguendo questo possibile progetto, perché l’utilizzo di queste erbe, resistenti a condizioni climatiche e di terreno difficili,  potrebbe aiutare quelle popolazioni site in zone del mondo dove le condizioni ambientali non favoriscono l’agricoltura classica.

Molte inoltre sono perenni, disponibili tutto l’anno e ricche di principi nutritivi essenziali per l’alimentazione umana. La capacità di adattamento delle piante spontanee è poi nettamente superiore a quelle selezionate dall’uomo, visto che queste seguono direttamente le leggi della natura.

Insomma, basta chiamarle “erbacce”…

Certo. D’ora in poi invece di vederle come un nemico per il nostro orto, proviamo a conoscerle, osservarle e pensare seriamente a rivalutarle. Più della metà di quelle che strappiamo dal nostro terreno, è commestibile e quindi potrebbe essere trasformato in una gustosa e sorprendente pietanza.

Andar per erbe è un ritorno alle origini, assolutamente sano e naturale; ci porta nei boschi e nelle campagne, facendoci tornare bambini curiosi, e ci regala momenti di grande interesse per la botanica, l’ecologia e la biologia. Un ottimo sistema per staccare dalla vita cittadina alla ricerca di un nuovo equilibrio mentale e fisico.


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Barbara Pozzoni

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