La responsabile di "So critical, So fashion", appuntamento milanese con il mondo del fashion responsabile, allarga il concetto: «Ok ai tessuti sintetici se sono prodotti in maniera sostenibile e remunerare equamente tutti gli attori della filiera, preferibilmente corta»
I concetti di etico, sostenibile entrano a far parte anche del lessico della moda. Non quella il cui rito si celebra puntuale due volte all’anno sulle passerelle milanesi, ma quella che, essendo ugualmente fashion, porta con sé valori importanti come la responsabilità sociale, la giusta remunerazione di tutti gli operatori della catena, la sostenibilità nella produzione dei tessuti. Non è un caso che, da quattro anni a questa parte le aziende, gli artigiani e gli operatori di questo mondo si diano appuntamento a Milano in concomitanza con la Settimana della Moda per dare vita a “So critical, So fashion”, manifestazione riservata a chi anche nella moda vuole attuare atteggiamenti consapevoli.
«Organizzare “So critical, So fashion” negli stessi giorni della Settimana della Moda è stata una scelta meditata, cercata e voluta, una manifestazione d’intenti del nostro obiettivo. Il nostro Salone – spiega Elisa Pedretti, project manager dell’evento organizzato da Terre di Mezzo che ha appena celebrato la sua quarta edizione chiusasi con un lusinghiero bilancio di 5.000 visitatori – non vuole essere solo una vetrina, ma vuole dimostrare come la moda critica sia già matura per arrivare a un confronto con i brand più blasonati».
La moda etica, quindi, non come fenomeno passeggero ma come un comportamento destinato a durare nel tempo?
«Già in un evento più ad ampio spettro come “Fa’ la cosa giusta” avevamo constatato la crescita del settore moda. C’è da tenere presente, però, che la moda critica non è solo l’utilizzo di materie prime naturali biologiche la cui produzione talvolta può essere non completamente sostenibile come nel caso del cotone per la cui produzione c’è un dispendio eccessivo d’acqua. La moda critica ed etica è rappresentata anche da tutto quel tessuto italiano della piccola e media impresa che si muove sulla filiera corta mantenendo un legame col territorio, utilizzando tessuti prodotti in loco o materiali di recupero anche sintetici».
Quali sono le prospettive di crescita del riciclo nell’ambito della moda etica?
«Molto positive perché esiste una crescente responsabilità delle persone nel dare “nuova vita” ai materiali, compresi tessuti e abiti. Il riciclo sta diventando, pian piano, una scelta consapevole non soltanto economica legata al risparmio. Sta crescendo anche la manualità del riciclo come è stato testimoniato dai tanti frequentatissimi laboratori di tecnica del riciclo tenutisi a “So Critical, So Fashion”».
È possibile organizzare saloni autonomi dedicati al riciclo?
«Di sicuro. All’estero è già una realtà con tante iniziative in materia e in Italia ne è già stato organizzato qualcuno (Abilmente a Padova, ndr). Forse non si pensa abbastanza alle molteplici possibilità offerte a 360° del riciclo: moda, arredamento, cibo».
La moda etica e sostenibile è per tutti? O è solo dedicata a una nicchia di persone ad alto reddito visti i costi talvolta molto alti di certi capi?
«È stata avviata una riflessione in materia e qualcosa oggi sta cambiando, anche se bisogna tenere presente la responsabilità sociale della moda critica che si estrinseca anche nel dare il giusto valore e la giusta remunerazione a tutti i lavoratori che intervengono nel processo produttivo.
Saper acquistare con criterio è il primo comportamento responsabile. Che significa?
«In termini molto semplici è il no all’acquisto d’impulso che riempie inutilmente gli armadi di capi che essendo legati alla fast fashion vengono presto buttati via. Occorre fare una riflessione su quello che si acquista sia in termini di utilità (Ci serve davvero?). Meglio investire su un capo di qualità molto alta destinato a durare».
Come scegliere un capo sostenibile?
«Innanzitutto bisogna leggere l’etichetta come si fa col cibo per sapere che tipo di materiale è stato usato per la realizzazione del capo. Poi informarsi come, dove e chi lo ha prodotto facendo magari qualche ricerca su internet per sapere se l’azienda ha un suo progetto di responsabilità sociale».