Creare valore e prodotti capaci di rispondere alle nuove esigenze del pubblico, anticiparne i bisogni e le tendenze attraverso l'web 2.0, uscire dalla logica degli investimenti a breve termine. Ecco, secondo il ricercatore Remo Lucchi presidente di GFK Eurisko, cosa devono fare le aziende per uscire dalla crisi. E avviare un modello di economia più sana e sostenibile
È in atto un cambio epocale che nel giro di pochi anni coinvolgerà l’intera popolazione attiva. La crisi è solo l’acceleratore di un cambiamento che è frutto di una naturale evoluzione. Ne è convinto il professor Remo Lucchi, presidente onorario di GFK Eurisko, docente e ricercatore. In questa intervista racconta come il comportamento dei consumatori stia cambiando perché c’è una nuova coscienza critica e nascono nuove esigenze di vita e di consumo.
Tutto questo che influenza avrà? I comportamenti d’acquisto delle persone faranno prendere ai mercati nuove direzioni?
Ci sono buone possibilità che avvenga ma è ancora presto per dirlo. Le multinazionali non hanno ancora modificato radicalmente il loro modus operandi. Dobbiamo tenere conto del momento globale che stiamo vivendo, un momento caratterizzato da complessità importanti in tutti i campi e dal fatto che la gente si è depressa più di quanto si sia contratto il prodotto interno lordo quindi in questo momento sta reagendo emotivamente. Il sistema e i mass media inducono i consumatori a un atteggiamento di grande cautela.
Nello stesso tempo sta però emergendo una nuova cultura che non è frutto della crisi o del caos economico in cui ci troviamo ma di una sua naturale evoluzione in termini di consapevolezza e spirito critico, anche grazie all’orizzontalità favorita dal web 2.0 e dalla maggior accessibilità delle informazioni».
Come reagiranno le aziende a questi cambiamenti?
Reagiranno nei limiti in cui sapranno coglierli. Il problema è che molte aziende ancora non lo hanno capito: sono governate da un management di “vecchia scuola” che si è formato molti anni fa e continua a muoversi secondo le stesso logiche “fregandosene” del mercato. Solo le aziende più colte ed evolute cominciano a rendersi conto che le cose sono cambiate, mercati e domanda compresi. E hanno capito che forse bisogna andare in una nuova direzione. Grandi opportunità si potranno sviluppare nei prossimi anni perché la parte della domanda più consapevole, quella che crea le tendenze, sta andando in questa direzione anche se il sistema non se ne è ancora accorto e risponde pochissimo. Infatti i nuovi orientamenti comportamentali e d’acquisto degli italiani non trovano ancora piena risposta nell’offerta delle aziende.
In che senso?
Il cittadino chiede alle aziende di reinterpretare i prodotti seguendo una certa logica: per esempio modificare i costi in modo da garantire il giusto prezzo sia agli anelli della filiera, sia al consumatore finale creando una sinergia fra ottimizzazione dei processi e rispetto delle risorse ambientali.
Le aziende procedono in continuità con quello che hanno sempre fatto e non sembrano interessate a sviluppare davvero politiche di questo tipo. Questo perché sono governate da logiche di gestione finanziaria alla tedesca e non all’americana il che vuol dire che in bilancio tutto deve quadrare perfettamente nel brevissimo periodo senza sforare mai con i costi o “sbarellare”. Conseguenza: le aziende per far quadrare i conti e per portare dei margini a bilancio in modo da non essere penalizzate dal mercato finanziario tendono a non investire.
Un esempio: mentre il settore della telefonia sta evolvendo a una velocità impressionante e richiede innovazione continua, le grandi aziende hanno smesso di fare ricerca perché i soldi da investire li devono portare a utili di bilancio: in caso contrario si presentano male e vengono tagliate fuori. Per questo non possono entrare nelle logiche che il consumatore richiede: il sistema glielo impedisce. La gente vuole prodotti di qualità a prezzi calmierati o meglio riconcepiti: vogliono che le aziende riconcepiscano la produzione.
Può farci un esempio?
La Fiat ha messo dei robot al posto degli operai. In campo alimentare il biologico si muove in questo senso, ma bisognerebbe riuscire a produrlo a prezzi interessanti. Le faccio un esempio al contrario: quando lanciarono la benzina verde, la lanciarono a prezzo più alto della benzina rossa che è un non senso perché il comportamento virtuoso deve essere agevolato non contrastato. Allo stesso modo il biologico è una buona idea, ma devo trovare il sistema per metterlo sul mercato a un prezzo che non sia più alto del convenzionale.
Ma costa di più…e quindi?
Costa di più con le attuali tecnologie di produzione ma il sistema produttivo nelle sue fasi e nelle sue figure può essere ridisegnato. Mi spiego: io faccio ricerche. Il costo più alto è dato dal pagare l’intervistatore: circa il 50 percento ma se io do ai miei intervistati degli strumenti tecnologici per poter rispondere in autonomia vado ad abbattere questo costo.
Certo dovrò spendere dei milioni di euro ma quelli poi li ammortizzo e se agisco bene il costo dell’ammortamento sarà più basso di quello dell’intervistatore. Lui dovrà cambiare ruolo e diventerà reclutatore dei miei panel ma così riuscirò a ottenere un lavoro di qualità in tempi brevi e a costi più bassi. Lo stesso vale per il biologico e per tutti i settori.
Fare innovazione vuol dire anche proporre nuovi prodotti?
La vera logica vincente oggi è uscire dalla competizione del sottrarsi quote di mercato in settori già maturi e concepire dei nuovi prodotti che rispondano meglio ai bisogni della gente ma per fare questo bisogna studiare queste esigenze perché il puvbblico non è in grado di dire quello che vuole: può raccontare il proprio passato e il presente ma non il futuro. Io che sono un’azienda attenta cerco di capire le loro prospettive di bisogni giocando d’anticipo e offrendo una nuova opportunità che altri non sono in grado di dare.
Già questo mi mette fuori dalla competizione e mi consente di lavorare con maggior tranquillità. Se poi sono un’azienda veramente sostenibile, non solo offro un nuovo prodotto ma valorizzo il territorio e la comunità dove lo produco e glielo faccio pagare anche di meno. Per fare questo ci vuole una grande tensione verso la progettualità e il futuro e non solo attenzione focalizzata sull’ottimizzazione della gestione di questo periodo d’esercizio.
Vandana Shiva diceva di agire pensando alla settima generazione. Anche le aziende dovrebbero farlo?
Le aziende sono interessate a chiudere bene il bilancio del trimestre. Che gli importa dei prossimi anni? I manager non sanno nemmeno se ancora lavoreranno in quell’azienda, se non avrà chiuso i battenti. Questo è il vero problema: il sistema occidentale basato sul breve periodo crea un insieme di impedimenti. Però a livello mondiale stanno nascendo dei nuovi fondi che finanzieranno le imprese.
Questi fondi lavorano solo su investimenti di lungo periodo e con aziende che non fanno manovre speculative. Questi fondi saranno quindi usati per finanziare le aziende che svilupperanno logiche di sostenibilità economica di lungo periodo. Si sta creando un nuovo sistema parallelo ed esterno al mercato finanziario attuale. Noi possiamo “fregare” la finanza se il sistema produttivo capisce che deve entrare in una logica di vera sostenibilità e uscire dalla speculazione.
La finanza è la vera responsabile della crisi che stiamo attraversando?
Sì. Il problema è che da 15 anni si fa finanza su finanza e non finanza su economia, creando valore sul nulla e sulla speculazione e non sul vero valore incrementale dell’economia. Vedi pasticcio dei derivati.
Il sistema tende a premiare gli utili realizzati in breve tempo e allora si sono messi a fare queste “caricature” che non hanno alcun valore reale a sostenerle. Dobbiamo scardinare la finanza ed eluderne i trucchi per entrare in questa nuova logica più responsabile e sostenibile. I consumatori possono favorire il cambiamento grazie al passaparola e attraverso blog e social network diffondere informazioni e consapevolezza.
Non c’è più l’élite ricca e incolta che si affermava con il potere del denaro e non era imitabile: oggi si sta affermando un gruppo di post-consumisti che preferisce consumare esperienze piuttosto che prodotti, creare valore e ricchezza nel quotidiano attraverso ricordi ed emozioni non più attraverso l’accumulazione di oggetti.
Si sta passando dall’avere all’essere: questa è la nuova tendenza. Tutto questo sposterà sempre di più il baricentro dal sé agli altri, dall’ambito dell’individualismo a quello della relazionalità, dallo sfruttamento all’etica. È l’inizio di una rivoluzione che oggi è solo gli esordi ma che esploderà nei prossimi dieci anni. Ne sono convinto.