Il presidente di Kartell racconta il segreto del successo della sua azienda che esporta e vende in oltre 140 paesi del mondo
Kartell è uno dei marchi di design più famosi e conosciuti al mondo. Grazie ai suoi oltre 130 punti vendita monomarca, ai suoi 250 shop-in-shop e ai 2.500 rivenditori multibrand disseminati in oltre 140 paesi nel mondo, fattura 100 milioni di euro.
Wisesociety.it ha intervistato il presidente e proprietario Claudio Luti per capire il segreto del suo successo.
Perché la sua azienda si chiama con un nome internazionale se è da sempre italiana?
Secondo me quando nel 1949, in pieno Dopoguerra, è stata fondata l’azienda non c’era ancora quella grande voglia di Made in Italy che c’è oggi. Quindi i soci che l’hanno creata dandogli il nome Kartell, risultato dell’acronimo dei cognomi dei due fondatori (Rastelli e Castelli), hanno pensato in ottica futura di dargli un nome internazionale. Ma io penso, ed è una mia illazione del tutto personale, che volessero con questo nome dare un’impronta un po’ tedesca e molto tecnologica.
Come mai avete scelto il polipropilene come materiale dei vostri prodotti?
I nostri sono prodotti trasparenti realizzati in policarbonato e polipropilene. Materiali innovativi che permettono agli oggetti di vivere a lungo. Non è che io abbia sposato uno di questi due materiali, ma l’idea di fare un prodotto industriale. E questa è la base. L’importante è fare una creatività industriale. Io credo soltanto all’industria e non voglio fare l’artigiano perché voglio creare prodotti tutti uguali e vendendoli in tutto il mondo allo stesso prezzo.
Oggi i designer fanno a gara a realizzare opere con prodotti riciclati e di recupero. Voi ne create altri di nuovi. La vostra non è una scelta in controtendenza?
Sono due cose diverse. Io sono per il riciclo che considero una grande conquista e che deve andare avanti. I materiali di riciclo stanno aumentando in diversi settori come le costruzioni, l’agricoltura, il tessile. Ma i prodotti fatti così sono di minore qualità e si consumano più facilmente. I nostri prodotti sono diversi, non possono venire fuori da un materiale riciclato. I prodotti di prima qualità devono essere fatti con materiali di prima qualità. Non escludo che un domani si potranno avere gli stessi materiali che non deriveranno dall’olio ma dal vegetale, dalle alghe. Per ora siamo alla ricerca.
Ma i vostri prodotti sono sostenibili?
Ognuno dei nostri prodotti è riciclabile ed è garantito da una certificazione green anche sul consumo di Co2. Ognuno di loro, inoltre, viene fabbricato con macchine e tecnologie diverse. E cerchiamo di fargli fare meno strada ottimizzando i trasporti. Anche la nostra sede a Binasco ha tutta una serie di certificazioni.
I vostri prodotti, proprio per la loro natura industriale, sono alla portata di molti.
Sono molto felice di questo e sono assai contento di attirare molti clienti. È bello vedere che i miei prodotti stanno in molte case in tutto il mondo. Anche uno solo dei nostri prodotti può e deve portare felicità. Il bello dei miei pezzi è che possono convivere da soli o sposarsi con altri.
Anche lei ha dei pezzi di Kartell in casa?
In casa ho pezzi misti: ci sono sia mobili antichi che alcuni pezzi di Kartell. Per esempio in giardino ho un tavolo di ferro e i tavolini Kartell tutto intorno. Ma anche in altre parti della casa ci sono gli uni e gli altri. Io dico che si riesce a fare questo con prodotti che hanno grande personalità.
Lei lavora gomito a gomito, fianco a fianco con i suoi designer?
Devo dire di sì e lo faccio fin dall’inizio, quando, nel 1988, ho comprato l’azienda. Nella mia precedente esperienza con Versace non avevo avuto la possibilità di occuparmi del prodotto. Ma qui sin da subito ho trovato dei designer che hanno sposato quella che era la mia illuminazione. E quelli che hanno cominciato a lavorare con me continuano a farlo ancor oggi: purtroppo faccio fatica a inserire nuovi designer proprio perché mi trovo bene con la mia squadra.
Però è abituato ad avere rapporti di estrema fiducia anche con i suoi fornitori. Tanto che dice che non abbandonerebbe mai l’Italia proprio per questo modo di lavorare.
È vero, io lavoro con i miei fornitori sulla fiducia. Tra di noi basta una pagina di accordo scritto in cui fissiamo prezzo e quantità. Nient’altro. Poi facciamo lo stampo e partiamo. E se bisogna aggiustare le cose in corso d’opera lo facciamo con estrema semplicità, con buona fede e senza avvocati. Certo, conosco queste persone da venti anni e c’è una fiducia reciproca. Ma se l’obiettivo comune (nostro e loro) è quello di fare un prodotto commerciabile, noi dobbiamo fare il nostro meglio per realizzarlo. Non andrei mai via dall’Italia proprio per questa facilità che riscontro nel realizzare i nostri prodotti con questi partner che io chiamo la mia filiera. Sembra paradossale ma in Italia riesco a realizzare le mie creazioni senza avvocati, carte bollate, burocrazia.
Ha fama di essere un accentratore: che tipo è sul lavoro?
Faccio un po’ di fatica a delegare. Sono uno che accentra molto, è vero, ma ci sto provando con i miei figli per farli arrivare alla responsabilità di gestire l’azienda.
Entrambi lavorano nell’azienda?
Sì, mia figlia si occupa del marketing e mio figlio sta facendo delle esperienze commerciali. Ma credo che loro debbano fare questa cosa in primo luogo se sono interessati e poi se sono capaci. Sono due concetti che ho ben chiari: è sbagliato obbligare i figli a fare quello che fanno i padri.
Lei segue una sua filosofia di vita che non prevede di vivere di solo lavoro…
Mi diverte moltissimo il lavoro e mi da molte soddisfazioni. Al lavoro dedico molto tempo e mi impegno molto. Ma amo la vita e faccio mille cose nel tempo libero: scìo, vado in barca a vela tutta l’estate, gioco a tennis, e amo stare in famiglia coi nipotini. Sono fortunato e non credo che nella vita si debba solo lavorare.