L'attore Elio Germano, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 19 febbraio, conosce bene il valore terapeutico della recitazione. Ma l'arte non fa bene solo all'anima. Per questo, dice, dovrebbe diventare materia scolastica
La Palma d’oro a Cannes nel 2010 come miglior attore protagonista per la pellicola La nostra vita, di Daniele Lucchetti, è soltanto uno dei tanti premi che Elio Germano ha meritatamente conquistato nonostante la giovane età. Sì perché il trentunenne attore romano di origine molisana è in assoluto uno degli assi del nostro cinema, capace di dare sempre grandissima intensità ai personaggi che interpreta. Un giovane uomo che ha le idee chiare anche sul mondo che lo circonda e che non ha paura di esprimere il proprio pensiero, provocando anche qualche polemica, proprio come nella cerimonia di premiazione a Cannes, quando bacchettò duramente i politici italiani. Il 2012 sarà per lui un anno strepitoso con numerosi film in uscita (fra cui quello sui fatti del G8 di Genova, Diaz – Non pulire questo sangue di Daniele Vicari, in sala dal 2 marzo) e due interessanti spettacoli teatrali che sta portando in tournée per l’Italia.
Qual è la “magia” del fare l’attore? Ed è vero che la recitazione sia altamente terapeutica?
Il nostro mestiere permette di vivere emozioni e sentimenti che magari non abbiamo mai avuto la possibilità di sperimentare nel nostro quotidiano e questo sicuramente ci arricchisce molto. È un modo per mettersi nei panni degli altri in un mondo in cui si è poco abituati a farlo, chiusi come siamo nei nostri orticelli di sicurezze.
Crede che il cinema possa contribuire a formare cittadini migliori, magari inserendo la recitazione come materia di studio nelle scuole?
Indubbiamente. Uscire dal proprio orticello e mettersi nei panni degli altri è qualcosa che farebbe bene a tutti. E sinceramente credo sia un danno mostruoso il fatto che a scuola non si studino (come, invece, avviene in altre nazioni) teatro, musica e qualsiasi altra forma d’arte: perché l’arte fa sicuramente bene all’anima e all’umanità.
Come vede la situazione che stiamo vivendo, soprattutto quella dei suoi coetanei?
Penso che si stia facendo qualcosa solo ed esclusivamente per risanare i conti, rispondendo quindi alla sola logica del mercato, e in questo modo si stanno svendendo anche molte delle nostre risorse più importanti mentre, invece, in una visione più di lungo termine, si dovrebbe investire proprio su quelle.
Si riferisce a quanti, non sentendosi valorizzati in Italia, hanno dovuto andare all’estero per poter esprimere le loro capacità altrove?
Anche. Purtroppo non si capisce ancora che non è il mercato che ci salverà dai nostri problemi, anzi è proprio il mercato che ce ne sta creando di sempre maggiori. Di base io credo molto nelle persone comuni, in quelle che per esempio si danno da fare nel sociale e aiutano gli altri assolvendo a un compito che spetterebbe, invece, alla politica e allo Stato, ma purtroppo non sono loro a determinare le sorti del Paese. Sono quei cittadini “normali” che incontri tutti i giorni per strada, a dare un senso anche al mestiere che faccio.
Forse non riusciamo ancora a svincolarci da questo sistema economico e finanziario nonostante abbia mostrato tutte le sue falle …
Oggi sembra che quasi tutto derivi dalla necessità di rendere ogni cosa vendibile: bisogna capire i target e definire gli acquirenti per vederle meglio. Succede così anche col cinema e il teatro, spessissimo intrappolati nelle gabbie delle categorie. Ci sono così film commedia, film d’autore e via dicendo, il tutto per rispondere a questa esigenza di definire e vendere. Tutto ciò fa chiaramente male all’arte, al pensiero e agli essere umani che sono sempre qualcosa di molto più complesso di ogni singola moda e di ogni possibile tornaconto economico.
Proprio sul tema delle gabbie che ci imprigionano lei sta portando in scena per l’Italia una difficile piéce teatrale: Thom Pain (basato sul niente). Ce ne vuole parlare?
Si tratta dell’adattamento di un monologo del drammaturgo americano Will Eno, che mi ha colpito molto per il suo essere semplice e poco convenzionale. Il protagonista è un antieroe solitario, sincero, capace di provare emozioni intense e controverse e di narrarle, rendendosi però conto con frustrazione di non riuscirci fino in fondo, a quel pubblico con cui cerca di stabilire un contatto. In ogni parola riusciamo a leggere le sue cicatrici interiori, alcune delle quali ancora sanguinanti, che non si sforza di nascondere perché nel suo dolore e in quello degli altri cerca di trovare una via d’uscita, un tentativo per trasformare quella che potrebbe essere la sua e l’altrui rovina in possibilità di salvezza. È un uomo tragicamente positivo che cerca ancora di amare la vita senza spiegarla troppo, senza voler trovare soluzioni o insegnamenti a tutti i costi.
Un atteggiamento che forse dovremmo recuperare un po’ tutti in questa società?
La nostra mania di controllare tutto rappresenta una forma di difesa verso l’ignoto.. È nell’irregolarità, nelle cose sbagliate che troviamo noi stessi, al di là di ogni possibile categorizzazione. Ed è nei momenti di maggiore difficoltà, in cui ci sentiamo più fragili, che siamo veramente noi stessi: cioè degli esseri umani. Invece oggi si cerca in ogni modo di non mostrare le proprie debolezze, ci sentiamo più protetti dietro alle varie maschere che indossiamo all’interno di codici e convenzioni ben determinate.
C’è una via d’uscita secondo lei?
Solo ripartendo dall’individuo si può combattere il generale svuotamento del senso delle nostre vite. Per esempio oggi chi può permettersi di scegliere, (purtroppo sempre meno persone) un lavoro, lo fa quasi sempre guidato dalla volontà di far soldi e non dal desiderio di restituire a se stesso e alla società quello che sa fare meglio, quello per cui è davvero portato. C’è una forte responsabilità etica in questo discorso: se nel caso del cinema o del teatro il danno più grosso che può fare un attore mediocre è quello di dar vita a film o spettacoli mediocri, molto più pesanti e irrimediabili possono essere, invece, le conseguenze della mancanza di preparazione da parte di un insegnante o un chirurgo.
Cos’altro bolle in pentola in questo periodo a livello professionale?
A marzo mi vedrete al cinema in Diaz – non pulire questo sangue di Daniele Vicari e Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek e poi in tivù su Sky nella serie Faccia d’angelo, mentre dal 7 al 19 febbraio porto in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano il capolavoro di Louis-Ferdinand Céline Viaggio al termine della notte.