Dialogo con il direttore della ricerca scientifica della Fondazione Cariplo sui progetti agroalimentari dell'ente filantropico che fa parte della “Global Alliance for the future of food”
Sono 104 le pagine del “Global sustainable food and agriculture: a landscape assessment”, in italiano “Cibo e agricoltura sostenibili globali: una valutazione panoramica”, il rapporto datato aprile 2015 presentato a Milano nell’assemblea della Global Alliance for the future of food della quale fa parte anche la Fondazione Cariplo. Un progetto che fa capo all’area Ricerca scientifica dello stesso ente diretta da Carlo Mango. Cinquantuno anni, a capo del settore sin dalla nascita della Fondazione nel 2001, Mango è il project manager del programma Ager, «un impegno importante – spiega – attraverso il quale la Fondazione Cariplo ha investito 32 milioni di euro per lo sviluppo dell’agroalimentare».
Il programma Ager, però, non è l’unico impegno di Fondazione Cariplo nell’agroalimentare?
Ad Ager, negli anni, sono stati affiancati nel 2011 alcuni progetti internazionali sviluppati con i francesi di Fondation Agropolis, e adesso la “Global Alliance for the future of Food” che riunisce 22 fondazioni internazionali – compresa la Charity del principe Carlo d’Inghilterra – che collaborano sui temi del “food system”, ovvero su tutto ciò che nell’ambito di una società complessa può far riferimento al cibo, dal seme al piatto. Senza dimenticare chi a quel piatto non arriva per questioni di povertà: solo a Milano sono 156.000 le persone che si rivolgono alle mense solidali. Un tema legato all’agroalimentare è quello legato alla logistica con i 4.000 tir che trasportano il cibo in ingresso ogni giorno a Milano. All’interno della “Global Alliance of Food” ci interroghiamo su questi temi cercando di superare le differenze tra il Nord e il Sud del mondo, che è un tema che s’interseca con la povertà e la coesione sociale.
Quali sono i dati salienti del “Rapporto sulla sostenibilità globale del cibo e dell’agricoltura” elaborato dal Meridian Institute che avete presentato al congresso della Global alliance for the future of food?
Nel rapporto sono stati registrati alcuni dati: il primo è che queste 22 fondazioni erogano 655 milioni di euro sui temi dell’agroalimentare che abbiano un forte coinvolgimento delle popolazioni locali. Noi cerchiamo di indirizzare i nostri interventi sulle aree rurali più povere. Il motivo è facile da comprendere: circa il 70% della popolazione rurale deve il proprio approvvigionamento all’agricoltura. Oggi il vero spread del mondo non è quello di piazza Affari, ma quello dell’accesso al cibo che, questo è un altro tema sul quale porre l’attenzione, è in mano a poche multinazionali. C’è anche uno spread di conoscenza: avere un cibo sano e sicuro non può essere solo appannaggio di chi ha possibilità economiche di investire in ricerca e conoscenza.
Fatte queste premesse come vengono scelti i progetti da finanziare?
La Global Alliance of the future of food è una realtà territoriale distribuita in cui ogni Fondazione che ne fa parte è indipendente dall’altra. Per quanto riguarda i progetti di Fondazione Cariplo abbiamo deciso di scegliere in base a un inquadramento metodologico mutuato dagli ambiti della ricerca medica. Per decidere sul finanziamento, infatti, facciamo valutare i progetti da esperti internazionali indipendenti. Lo stesso sistema d’ispirazione meritocratica viene adottato nella valutazioni dei progetti che sviluppiamo nel programma partecipato con Agropolis Fondation.
Essendo l’agroalimentare un grande tema, ci sono dei pre-requisiti essenziali necessari per i progetti da valutare?
Ogni fondazione aderente alla Global Alliance si occupa di uno specifico tema. Ovviamente i progetti che accedono ai finanziamenti nel Kentucky o in Minnesota sono molto diversi rispetto a quelli che può sui quali si concentra la Fondazione Cariplo. Quello che accomuna tutti è occuparci di temi alimentari globali: produrre meglio col minore impatto ambientale possibile cercando di preservare e valorizzare le competenze e le risorse del territorio. I programmi specifici, poi, sono diversi.
Ci fa un esempio?
Coi francesi di Agropolis stiamo sviluppando un progetto sul riso e uno sul comparto cerealicolo. Stiamo lavorando sull’identificazione di metodi di produzioni più efficaci attraverso la selezione per i singoli contesti di varietà più resilienti agli stress ambientali e idrici. Inoltre una caratteristica che che sta molto a cuore a Fondazione Cariplo è che questo programma che sulla carta è italo-francese, in realtà, ha come elemento obbligatorio l’inclusione nei team di lavoro di ricercatori di paesi in via di sviluppo, in modo da consentire loro di trarre vantaggio dalle nuove conoscenze in una logica open source. Per esempio nell’ambito della ricerca sul riso, visto che tre miliardi di popolazione vive su una dieta basata su questo alimento, un programma esclusivamente italo-francese, due paesi che rappresentano solo il 0.5% della produzione mondiale sarebbe stato limitante.
Visti i temi avete un collegamento con Expo2015?
Più che altro abbiamo un collegamento con l’eredità che Expo dovrà lasciare. Insieme con il Comune di Milano stiamo sviluppando la Food Policy – un accordo tra le città metropolitane di tutto il mondo promosso dal sindaco di Milano sulle politiche alimentari – che sarà firmata a ottobre proiettandosi verso Dubai 2020.