L’agricoltura moderna è vulnerabile a causa della bassa diversità genetica delle colture. Solo gli ecosistemi basati su animali e piante autoctone sono in grado di reagire naturalmente ai cambiamenti
Secondo la Fao ogni anno vengono mediamente distrutti nel mondo ben 13 milioni di ettari di foreste (una superficie grande praticamente quanto tutta la Grecia), mentre la varietà delle piante e delle colture continua a ridursi inesorabilmente. Nei soli Stati Uniti d’America, per esempio, all’inizio del secolo scorso esistevano circa 2500 varietà di pere, coltivate oggi in appena due varietà, che alimentano oltre il 95% del mercato. Svariate ricerche registrano come negli ultimi decenni sia aumentata in maniera vertiginosa la velocità con cui si estinguono specie vegetali ed animali, dovuta nella massima parte dei casi all’attività umana: deforestazione, urbanizzazione, agricoltura intensiva basata su grandi coltivazioni monocolturali, introduzione di specie geneticamente modificate che distruggono la naturale varietà delle specie autoctone, inquinamento, uso di pesticidi e fertilizzanti e così via. Negli ultimi 400 anni si stima che siano scomparse, infatti, oltre 650 specie di piante. Dati allarmanti che ci pongono di fronte a seri interrogativi, che abbiamo posto a Carlo Fadda, ricercatore senior presso la Bioversity International di Nairobi nonché promotore di numerosi progetti nel campo dello sviluppo e della cooperazione internazionale legati alla salvaguardia della biodiversità agricola, a margine del quinto Forum internazionale su alimentazione e nutrizione promosso da Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn).
Perché oggi è così importante proteggere la biodiversità?
Perché è in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Dipendiamo dalla natura per risorse fondamentali quali cibo, principi attivi per le medicine, materie prime per costruire o produrre energia. In natura ogni specie animale o vegetale, indipendentemente da quanto sia piccola o grande, ha una sua specifica funzione che contribuisce a garantire l’equilibrio dell’ecosistema terrestre. Pensiamo, per esempio, alle api che attraverso l’impollinazione svolgono un’importantissima funzione di fertilizzazione. Alcuni studi stimano che oltre un terzo degli alimenti umani verrebbe meno se sparissero impollinatori naturali come le api le vespe, le farfalle e altri insetti. Ecosistemi in salute, nei quali viene garantita la naturale varietà di animali e piante autoctone, sono ecosistemi che meglio reagiscono e resistono ai fenomeni atmosferici, meno vulnerabili pertanto ai cambiamenti climatici e a disastri naturali quali uragani, inondazioni, siccità e alle altre fonti di stress provocate dall’uomo e dall’inquinamento di cui è portatore. Una tematica che oggi, specialmente nei paesi più poveri, è di vitale importanza.
Ci spieghi meglio…
Ogni anno circa il 30% dei raccolti nel mondo va perduto a causa di parassiti e malattie e l’utilizzo di colture geneticamente omogenee su grandi estensioni di terreno può causare la comparsa proprio di nuovi ceppi di malattie e parassiti. Per correre ai ripari nei paesi industrializzati si fa uso massiccio di pesticidi, notoriamente dannosi sia per l’uomo che per l’ambiente, solitamente non accessibili invece ai piccoli coltivatori dei paesi poveri. Una risposta alternativa al problema può darla proprio la salvaguardia della biodiversità agraria, capace di svolgere funzione di antiparassitario naturale. È stato dimostrato che l’utilizzo di diverse varietà di una stessa coltura riduce di molto le possibilità, per quella coltura, di essere attaccata da parassiti.
Qual è la strada da percorrere per non peggiorare ulteriormente la già precaria situazione in cui ci troviamo?
Bisogna innanzitutto partire dall’avere ben chiaro una cosa: l’agricoltura moderna è vulnerabile a causa della bassa diversità genetica delle colture. Chiarito questo, bisogna investire in ricerca e tecnologie che riducano, per esempio, l’uso dei fertilizzanti e ridiano all’agricoltura la sua naturale capacità di sopravvivenza e adattamento ai cambiamenti climatici. Questo lo si fa preservando innanzitutto colture e piante autoctone a scapito delle grandi estensioni di monoculture che sempre più negli ultimi decenni hanno preso il sopravvento nel mondo. Ovviamente risulta poi molto importante portare avanti una profonda opera di sensibilizzazione sia al livello dei governi che dei singoli cittadini, puntando innanzitutto sulle nuove generazioni.
Cosa può fare in concreto ciascuno di noi per contribuire alla salvaguardia della biodiversità?
Si potrebbe cominciare col ridurre gli sprechi d’acqua e di energia nel nostro quotidiano e preferendo sempre un’alimentazione a base di prodotti di stagione. Fondamentale sarebbe inoltre una partecipazione più attiva di ciascuno di noi nell’opera di sensibilizzazione degli altri nei confronti delle tematiche ambientali.