La vita si allunga e le pensioni rischiano di far saltare i conti pubblici. Bisogna correre ai ripari, anticipando gli scenari futuri. Senza dimenticare che dietro i numeri ci sono le persone
Viviamo troppo a lungo: una buona notizia per gran parte di noi, un problema complesso da affrontare per gli economisti. L’allungarsi della vita rende infatti le pensioni sempre più costose e impatta negativamente sui conti pubblici. In Italia il fenomeno si presenta in forma più accentuata, con conti pubblici non ancora sotto controllo e una speranza di vita tra le maggiori al mondo: 79,4 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne.
Il Professor Carlo Ambrogio Favero studia e prevede gli effetti socio-economici di quella che alcuni chiamano “la rivoluzione della longevità”. Professore di Economia presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi di Milano, è stato advisor del Ministero dell’Economia per la costruzione di un modello econometrico dell’economia italiana. Sarà tra gli ospiti della prossima Conferenza Mondiale sul Futuro della Scienza, che si terrà a Venezia dal 19 al 21 settembre. Lo abbiamo incontrato per anticipare il tema che tratterà: le conseguenze economiche dell’invecchiamento.
Professor Favero, quali sono le conseguenze economiche del progressivo invecchiamento della popolazione?
Il collegamento tra economia e demografia dipende da quanto risparmiano gli individui durante il loro ciclo di vita. Questa interrelazione ha un’importanza pervasiva in economia per le immediate conseguenze che ha sul disegno dei sistemi pensionistici.
“Longevity risk”, il rischio longevità. Dove può avere l’impatto più significativo?
Sulle pensioni, ovvero sulla nostra vita al termine del lavoro. Dato che gli individui possono risparmiare solo nella fase lavorativa, un aumento della aspettativa di vita comporta un invecchiamento della popolazione ed una diversa dinamica di consumi e risparmi. Una popolazione che invecchia produce minor risparmio e richiede maggiori esborsi da parte del sistema pensionistico. I sistemi pensionistici moderni, basati sul metodo a contribuzione, raccolgono fondi durante la vita lavorativa degli individui per creare un capitale sufficiente a garantire una pensione per un periodo di anni pari alla durata attesa della vita. Se la durata effettiva della vita risulta superiore a quella attesa, diventa concreto il rischio che gli individui non abbiano sufficienti risparmi per sostenere i consumi in età avanzata.
Come tutelare il sistema – e le persone – da questo rischio?
La soluzione del problema è l’indicizzazione del sistema pensionistico alla longevità. L’idea è quella di non fissare l’età della pensione, ma di agganciare l’età pensionabile alle aspettative di vita: non si va in pensione a 65 anni ma piuttosto quando l’aspettativa di vita residua è di 20 anni. Un principio condiviso nella recente nella riforma del sistema pensionistico italiano, promossa dal ministro Fornero e dal governo Monti.
Il destino è quello di spostare sempre più in là l’età pensionistica, e quindi di lavorare sempre di più, o sono ipotizzabili altre alternative?
Quello che conta, per mantenere un sistema in equilibrio, è che per ogni individuo siano eguali le contribuzioni eseguite in fase lavorativa con i pagamenti ricevuti in quella post-lavorativa. Spostare in avanti l’età pensionistica non è l’unica soluzione: nel sistema svedese sono gli individui a scegliere l’età del pensionamento – che è flessibile a partire dai 61 anni – accettando però che il totale delle pensioni che riceveranno sarà uguale ai contributi dati. In sostanza, al ridursi dell’età pensionistica si riduce la pensione mensile.
Si può sfuggire allo scontro generazionale tra giovani e anziani per la distribuzione di risorse limitate?
Il problema è quello di mantenere il sistema in equilibrio. Questa esigenza coinvolge tutti, anche coloro che non sono ancora nati, e non è semplice risolverla. Prendiamo ad esempio l’indicizzazione dell’età pensionabile all’aspettativa di vita: questa misura impone dei costi immediati a carico delle generazioni lavorative attuali che vengono però compensati dai benefici per le generazioni future. Il fatto che le generazioni passate in Italia abbiano beneficiato di un sistema “troppo generoso” è un dato di fatto, e oggi la popolazione italiana deve comportarsi da formica per pagare il debito accumulato dalle cicale del millennio passato.
Quali paesi hanno messo in campo le politiche più efficaci?
La Svezia è sicuramente all’avanguardia. Ma anche l’Italia con le riforme Amato, Dini e Fornero è in prima linea tra i paesi europei che possono vantare un certo grado di stabilità del sistema pensionistico.
Dietro i numeri ci sono le persone: dobbiamo tutti aspettarci una vecchiaia meno tranquilla e garantita?
La vecchiaia è garantita quando il sistema è in equilibrio. Gli errori fatti in passato ci hanno allontanato dall’equilibrio. Oggi è necessario subire dei costi per ristabilirlo.
“Maggiore speranza di vita” può coincidere con “speranza di una migliore qualità della vita”?
Una cosa non implica l’altra. Siamo sulla buona strada quando si mettono in pratica i risultati della ricerca nel campo della medicina, della demografia e dell’economia, valorizzando sempre di più l’approccio interdisciplinare.