L’architetto Tiziana Monterisi parla del suo lavoro di ricerca e progettazione a partire da materiali di scarto e della sua visione dell’architettura in perfetto equilibrio tra estetica etica e sostenibilità economica
«Il mio lavoro non si riduce a progettare un’architettura meramente estetica. Tutto è rivolto a una progettualità partecipativa, a un continuo scambio di punti di vista, interrogativi e soluzioni non convenzionali che rispondano in modo responsabile al processo progettuale e alla sostenibilità del risultato». L’utilizzo di tecnologie d’avanguardia e materiali naturali e il forte senso di responsabilità nel rapporto con l’ambiente sono i concetti alla base del lavoro dell’architetto biellese Tiziana Monterisi, che affianca l’attività di costruzione e ristrutturazione di edifici secondo i principi della bioarchitettura alla ricerca e progettazione di prodotti per l’edilizia di “svolta”. «Tutto quello che faccio – dice – è rivolto a generare un cambiamento, a stimolare un nuovo punto di vista in un percorso anticonformista che faccia della responsabilità delle proprie azioni il vero cardine della libertà».
Questo le ha permesso di avvicinarsi al mondo delle costruzioni in paglia promuovendo la realizzazione di edifici a elevatissima efficienza energetica, utilizzando come materie prime gli scarti dell’agricoltura e, in un’ottica di impatto zero, limitando il più possibile l’impronta ecologica generata. Libertà che l’hanno portata a lavorare, oltre che a progetti abitativi innovativi seguiti dal suo studio Tiziana Monterisi Architetto (come Casa UD, soluzione abitativa che si è aggiudicata il Premio Sostenibilità 2017 grazie all’uso di paglia di riso nel telaio, terra cruda per gli intonaci interni e vetro cellulare) anche al lancio di RiceHouse, azienda che valorizza i materiali naturali derivanti dalla filiera del riso e che e si è appena aggiudicata il premio speciale di CasaClima a Klimahouse 2018.
Tiziana, ci parli dell’esperienza come Responsabile dell’ufficio architettura di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto di cui ha sposato la mission “ispirare e produrre un cambiamento responsabile nella società attraverso idee e progetti creativi”.
La mia esperienza all’interno del mondo di Michelangelo Pistoletto è nata per caso. Da poco trasferita a Biella ho cominciato a seguire le attività che si svolgevano all’interno di Cittadellarte da spettatrice finché, un giorno, mi sono trovata a discutere con Michelangelo di un nuovo modo di intendere l’architettura, un processo dove salute, benessere e sostenibilità avessero lo stesso peso delle tradizionali matrici di riferimento dell’architettura. La mia visione di un’architettura di svolta si è concretizzata in una mostra installazione che rappresentava gli esempi più rilevanti dell’architettura naturale italiana raccolti all’interno di un gigantesco simbolo del Terzo Paradiso fatto di paglia di riso e, successivamente, nell’Ufficio Architettura di Cittadellarte nel quale la mission generale si è materializzata in un percorso dove la casa prendeva forma come la reale Terza Pelle dell’uomo dopo l’epidermide e l’abito.
Quando e come è nato il suo interesse per l’architettura e l’edilizia bio?
In realtà credo che non esista un’architettura bio o per lo meno non dovrebbe esistere. L’Architettura è così da sempre, ma con il boom della ricostruzione, l’edilizia ha preso il sopravvento e l’architettura contemporanea è diventata per poche archistar una questione di pura estetica. Concordo con l’antropologo Franco La Cecla, quando critica il fatto che agli archistar, troppo spesso chiamati in causa per spettacolizzare e stupire il grande pubblico, venga affidata la trasformazione di parti di città, nonostante il loro disinteresse di tipo etico/politico. Per me l’architettura deve essere un perfetto equilibrio tra estetica etica e sostenibilità economica. Prendo in prestito lo slogan di Slowfood per dire che l’architettura deve essere “Bella, Pulita e Giusta”, in perfetto equilibrio tra natura e artificio.
Perché è così difficile stimolare il cambiamento e costruire secondo natura?
Il settore fa fatica a decollare, innanzitutto, perché il concetto stesso di sostenibilità è troppo spesso travisato e abusato. Un altro motivo è l’approccio superficiale alle problematiche ambientali e di cambiamento climatico che caratterizzano il nostro tempo. Infine, pesano la crisi energetica e l’esaurimento delle fonti fossili di cui, purtroppo, si tende a sottovalutare le conseguenze. La sostenibilità degli edifici dipende dalla nostra sensibilità a queste tre problematiche poiché l’abitazione rappresenta lo snodo primario per un nuovo equilibrio tra uomo e ambiente. Dato che non ci sogneremmo mai di indossare tessuti plastici che possano nuocere alla nostra salute, dobbiamo fare lo stesso quando si costruisce un’abitazione. Impiegare materiali di origine naturale nella costruzione di una casa, non è solo architettura ma anche economia, salute, benessere e cultura.
I costi della bioarchitettura sono molto più alti? Si ammortizzano nel tempo?
La casa sana non è un concetto economico ma percettivo. Quando si parla di bioarchitettura il valore economico diventa una normale conseguenza della cura e dell’attenzione con cui vengono praticate determinate scelte. La casa naturale è un edificio di estrema qualità, molto performante, altamente confortevole, che non consuma energia e questo è determinante nel valutare l’impatto economico di un edificio visto che i costi di gestione e manutenzione di una casa sana sono estremamente ridotti. Inoltre, la casa sana abbatte drasticamente il debito economico legato all’impronta che gli edifici hanno sull’ambiente, un valore economico che oggi non viene computato sulla spesa del singolo edificio, ma che viene ricaricato sulla società in termini di salute e danno ambientale.
Paglia e riso. Come si è avvicinata al mondo delle costruzioni in paglia e riso?
Forse era già scritto nel mio cognome! Nel 2008, curando la mostra “Architettura di Svolta” per l’evento annuale “arte al centro di una trasformazione sociale responsabile” ideato da Pistoletto, ho conosciuto l’edificio in paglia a Lana (BZ) degli architetti Margareta Schwarz e Werner Schimdt. Mi occupavo già di bioarchitettura ma da quell’incontro l’unica domanda a cui ancora oggi non sono riuscita a rispondere è stata: qual è un solo motivo per non costruire in paglia? Cominciai a visitare edifici in Svizzera, Austria, Germania, a studiarne le caratteristiche, tutti usavano paglia di frumento o grano. Poi, dato che l’Italia è il primo produttore di riso in Europa, con la coltivazione concentrata tra Biella e la Lomellina, ho approfondito la coltivazione del riso, gli scarti, le loro caratteristiche, le quantità disponibili ogni anno e, negli ultimi due anni, abbiamo messo a punto un sistema di valorizzazione della filiera dei materiali derivanti dalla produzione del riso al fine di realizzare nuovi prodotti destinati alla bioedilizia, dai biocomposti agli isolanti a sistemi prefabbricati strutturali e isolanti al tempo stesso.
E così è arrivata la nascita di Ricehouse che si è appena aggiudicato il premio speciale di CasaClima, che significato dà a questo premio?
Il premio ha un valore estremamente elevato. Il direttore dell’Agenzia CasaClima Ulrich Santa ha elogiato il nostro impegno nel valorizzare una filiera, la capacità di aver messo a sistema vari materiali naturali derivanti dagli scarti della coltivazione del riso al fine di creare una reale economia a ciclo chiuso. Tutto questo, credo, identifichi la volontà verso un cambiamento di rotta anche da parte di una delle più importanti agenzie che si occupano di risparmio energetico nel mondo dell’edilizia. Un segnale importante verso una nuova attenzione alla sostenibilità ambientale, alla proliferazione dei rifiuti e allo sviluppo dell’industria del riuso di nuove materie prime derivanti dagli scarti di lavorazione.