Wise Society : Barbara Olivi: la scelta di vivere in favela
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Barbara Olivi: la scelta di vivere in favela

di Nicoletta Ripani
13 Gennaio 2011

La fondatrice della Onlus "Il sorriso dei miei bimbi" racconta la sua esperienza in una delle favela più degradate di Rio de Janeiro. Proprio per sostenere i progetti di questa organizzazione, sabato 29 gennaio a Milano si svolgerà l’evento-mostra "Favela fotografica", con esposizione e vendita di immagini realizzate a Rocinha

Olivi Barbara e un bambino di RocinhaÈ il 1998 quando Barbara Olivi, una giovane donna di Reggio Emilia con la passione dei viaggi arriva in Brasile. All’inizio va a vivere a Capocabana e lavora nel mondo del turismo. Poi decide di fermarsi stabilmente nel Paese con la voglia di dare un significato più profondo alla propria vita. E scopre Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro e dell’America Latina. In questa baraccopoli immensa, in disastrose condizioni igienico-sanitarie, fra miseria e violenza, Barbara entra in contatto con la vera realtà dei bambini di strada. Fra sospetti, ostilità e diffidenza, inizia a darsi da fare conquistando, poco a poco, con la sua disponibilità e la sua determinazione, la fiducia della gente. Allo stesso tempo comincia a raccogliere fondi per finanziare progetti in favore dell’infanzia e dell’adolescenza abbandonata, e bistrattata. Nasce così la Onlus “Il Sorriso dei miei Bimbi”(www.ilsorrisodeimieibimbi.org), di cui Barbara è oggi presidente, che si occupa di educazione e formazione per i giovanissimi che nascono e vivono nel contesto della favela. Proprio per sostenere i progetti di questa organizzazione sabato 29 gennaio a Milano (presso Spazio Pasticceria via Tortona 28, dalle 17 alle 22,30) si svolgerà l’evento-mostra Favela fotografica, con esposizione e vendita di immagini realizzate nella favela di Rocinha.

 

ilsorrisodeimieibimbi.orgCome descriverebbe Rocinha e più in generale una favela?


Rocinha è una favela grandissima che si trova sulle pendici della montagna Dois Irmãos, alle spalle dei quartieri ricchi di São Conrado, Leblon e Ipanema. Nei primi anni ’30, qui c’erano solo poche baracche di legno. Con il tempo questo piccolo e povero quartiere  è cresciuto, sono state costruite altre case in mattoni, realizzati allacciamenti, quasi sempre abusivi, e sono nate attività commerciali. Oggi ci vivono circa 200 mila persone. I problemi a Rocinha sono tanti. Prima di tutto, le precarie condizioni igieniche e sanitarie, aggravate da sovraffollamento e umidità, favoriscono il diffondersi di malattie infettive come tubercolosi, colera, epatiti e dengue; poi gli abitanti delle favela vivono in condizioni di discriminazione e ghettizzazione, e spesso non hanno accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Il tasso di disoccupazione è molto alto. Rocinha è anche una delle più importanti basi del Paese per il commercio della cocaina: tra le baracche infatti si nascondono le case dei narcotrafficanti, che usano la folla di Rocinha come scudo umano contro le irruzioni della polizia. Negli ultimi anni la baraccopoli è stata più volte teatro di drammatiche guerre fra bande, in cui hanno perso la vita numerosi abitanti innocenti, vittime delle pallottole vaganti.

 

Cosa l’ha spinta a iniziare l’attività della Onlus? Come ha iniziato?


Ho cominciato in modo naturale, con semplici gesti a occuparmi dei bambini: chiacchieravo con loro e andavo a trovare le famiglie in stato di bisogno. Poi, prima con la mia famiglia e più tardi con mio marito Julio, ho deciso di raccogliere fondi per finanziare progetti d’educazione e formazione. Da allora la Onlus (nata ufficialmente nel 2002) è cresciuta, sviluppando una realtà che da quasi dieci anni si occupa dei bambini di strada ma anche dei giovani della favela. La profonda convinzione che la cultura sia l’unico strumento per spezzare il circolo vizioso di ignoranza e violenza è stata per noi la principale fonte di ispirazione e guida in tutti questi anni. Oggi, anche se continua uno stato di continua emergenza, posso dire che la comunità di Rocinha si stringe attorno al nostro lavoro, condividendone principi e valori. Fortunatamente è cresciuto anche il numero dei nostri sostenitori, consolidandosi in un commovente vincolo d’amicizia che ci permette di andare avanti con entusiasmo.

Rocinha, album di SheilaTostes/flickr

Quali sono stati i maggiori ostacoli che ha incontrato?

 

La diffidenza della popolazione nei confronti di una “gringa italiana” che decide di vivere in una situazione di disagio e degrado per far nascere un progetto sociale. All’inizio non è stato facile, sentivo uno sguardo diffidente e accusatore su di me. Ma, come contropartita, ogni amicizia conquistata in favela è per sempre. Anche vivere a contatto con le dinamiche del narcotraffico, con le sue leggi severe, mi ha creato non poche difficoltà.

 

E le più grandi soddisfazioni?

 

Vedere i bambini imparare ed esprimersi con gioia. Sapere che i nostri giovani girano il mondo, imparano le lingue e si specializzano in un mestiere. Tutti i giorni cerchiamo di iniettare l’antidoto della speranza e di un futuro migliore a chi vede sistematicamente negati questi valori per distinzione di razza e provenienza sociale. La nostra “arma”, un termine provocatorio in contrasto con i veri strumenti di morte che circolano in favela come se fossero leciti, è l’educazione intesa come veicolo di libertà. La cultura come unico strumento per spezzare il circolo vizioso di ignoranza e violenza tipico delle favela. La libertà come affetto spontaneo che sentiamo per i nostri protetti. La libertà come rispetto profondo per ogni individuo, così prezioso e unico nella propria essenza.

Rocinha, album di fabbio/flickr

Quali sono, a suo avviso, i problemi più grandi e più difficili da risolvere all’interno di un posto come Rocinha?


È molto difficile racchiudere in poche parole la vita in favela, dove la quotidianità è quasi sempre condizionata dall’emergenza e dall’eccezione. La violenza e l’abbandono sociale, per esempio, fanno di Rocinha uno dei luoghi più pericolosi del Brasile; manca acqua pulita, una rete fognaria decente, strade; infine, la lotta tra narcotraffico e polizia lascia sempre a terra vittime innocenti. In questo periodo la situazione è particolarmente drammatica: il Governo Federale ha avviato un piano di recupero sociale delle favelas cariocas (quasi mille), che prevede l’irruzione della UPP (Unità di Polizia di Pace) in favela, come è avvenuto recentemente anche in altre baraccopoli di Rio, come quella di Alemao. Quindi viviamo nell’incertezza, nel timore di continue invasioni militari con conseguente bagno di sangue. Tutti interventi per cui la favela è anche tristemente nota nelle cronache internazionali.

 

Quali sono i progetti a cui sta lavorando in questo momento? E quelli che vorrebbe realizzare in futuro?


Una scuola materna con 80 bambini, un progetto di formazione professionale a cui hanno aderito oltre 20 giovani, un corso di lingue, un laboratorio Web e di arti visive, un progetto di alfabetizzazione per bambini di strada e adulti analfabeti, l’accompagnamento psicologico e l’assistenza sociale alle famiglie. Questo è quello che facciamo, tutti i giorni. Il futuro è sempre incerto. Ma abbiamo tanti sogni e voglia di raggiungere nuovi obiettivi. Tra questi, un progetto di sviluppo di turismo responsabile, un tour in favela guidato dai nostri giovani, un caffè letterario come centro culturale con esposizioni, libri e arte, un bed&breakfast dove potremmo accogliere i nostri sostenitori, dando concrete occasioni di lavoro agli abitanti di Rocinha che, sottolineo, sono nella stragrande maggioranza dei casi persone oneste, coraggiose, piene di vita che affrontano una quotidianità dolorosa e difficile con grande dignità. Piccoli eroi del quotidiano che non fanno notizia, purtroppo “invisibili” al resto del mondo.

Rocinha, album di eflon/flickr

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