Wise Society : L’Artico diventerà il nuovo fronte della guerra globale?
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L’Artico diventerà il nuovo fronte della guerra globale?

di Vincenzo Petraglia
2 Aprile 2025

Per decenni la regione artica, fondamentale per gli equilibri militari e ambientali del pianeta, è stata considerata un modello di governance pacifica, oggi gli scenari sono molto cambiati anche a causa dei cambiamenti climatici e di una nuova corsa alle fonti energetiche. Romain Chuffart, presidente e managing director dell'Arctic Institute, ci aiuta a capire meglio cosa sta succedendo e cosa attenderci dal futuro

In un mondo sempre più segnato dai cambiamenti climatici, l’Artico sta vivendo una trasformazione radicale che non solo solleva questioni ambientali, ma anche geopolitiche ed economiche di portata globale. Le temperature nella regione stanno aumentando a una velocità oltre quattro volte superiore rispetto alla media globale, accelerando lo scioglimento dei ghiacci e aprendo nuove rotte marittime e opportunità economiche. Uno stato delle cose che ha attirato l’attenzione delle grandi potenze mondiali, scatenando una vera e propria corsa al controllo di questa parte ancora vergine del pianeta, ricca di risorse naturali e forti interessi economici e militari.

La contesa sembra al momento coinvolgere in primis Russia e Stati Uniti, non a caso sotto l’Amministrazione Trump sta insistentemente parlando di un’annessione della Groenlandia, avamposto strategico proprio per l’accesso al cuore della regione artica. Ma anche, in misura sempre crescente, la Cina, altra superpotenza non indifferente agli indubbi vantaggi offerti dalla regione più a nord del pianeta, che sta cercando di accrescere la sua influenza nell’area attraverso investimenti e alleanze strategiche.

Romain Chuffart, The Arctic Institute

Romain Chuffart, presidente e managing director dell’Arctic Institute

Sviluppi che non riguardano solo l’estrazione di petrolio e gas naturale e la protezione delle rotte commerciali, ma che pongono anche nuove importanti sfide legate alla sicurezza internazionale, con il rischio di nuovi conflitti, di cui ovviamente tutti faremmo volentieri a meno in un mondo già al momento infuocato da tante, troppe, guerre.

In questo complesso quanto preoccupante contesto, Wise Society ha intervistato Romain Chuffart, presidente e managing director dell’Arctic Institute, che svolge un ruolo cruciale nell’analizzare e monitorare le dinamiche geopolitiche, ambientali e di sicurezza dell’Artico, raccogliendo dati e fornendo ricerche che informano sia il grande pubblico che i decisori politici, il quale ci ha detto cose molto preoccupanti sul futuro di questo luogo strategico sia la sicurezza mondiale che per gli equilibri, ambientali e non solo, del pianeta.

Cosa sta succedendo nell’Artico?

L’Artico sta attraversando una trasformazione sistemica. Il cambiamento climatico sta accelerando a una velocità oltre quattro volte superiore alla media globale, rimodellando ecosistemi, economie e infrastrutture. Allo stesso tempo, la regione sta vivendo una riconfigurazione della governance: i modelli tradizionali di cooperazione sono sotto pressione e nuovi attori e interessi stanno emergendo sulla scena. Non si tratta solo di un cambiamento ambientale, ma anche di mutamenti geopolitici ed epistemologici che definiscono l’Artico contemporaneo.

Cos’è cambiato negli ultimi anni?

La rottura della cooperazione artica globale in seguito alla guerra della Russia in Ucraina ha profondamente alterato il panorama politico. Per decenni, la regione è stata considerata un modello di governance pacifica, anche in un contesto di tensioni globali. Ora quell’architettura si è incrinata. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico non sta solo sciogliendo i ghiacci, ma anche le certezze. Le narrazioni consolidate sulla stabilità, l’isolamento e la prevedibilità non sono più valide.

Perché l’Artico è così attraente per le nazioni più potenti del mondo oggi?

L’Artico è al centro di diverse dinamiche globali interconnesse. Ma, in modo più sottile, è anche un palcoscenico per il potere narrativo: chi definisce concetti come “responsabilità”, “sicurezza” o “sostenibilità” nella regione ottiene autorità morale e politica a livello globale. L’Artico non riguarda solo lo sfruttamento delle risorse o la militarizzazione, ma anche la legittimità in un ordine mondiale in trasformazione.

È in corso una spartizione dell’Artico tra le grandi potenze mondiali?

Non in senso formale. Non c’è una corsa alla conquista territoriale. Tuttavia, la governance si sta frammentando, a causa di rivendicazioni legali parallele, riallineamenti diplomatici e divergenze epistemiche. Il pericolo non è un conflitto diretto, ma l’incoerenza: una rete di strategie nazionali auto-rinforzanti che erodono il multilateralismo ed emarginano le voci locali e indigene.

Quali sono le potenze mondiali coinvolte?

Sono molte, principalmente gli Stati artici. La Russia rimane l’attore dominante nell’Artico in termini di geografia e infrastrutture. Gli Stati Uniti stanno ricalibrando il loro approccio alla regione, ora con una strategia più esplicita. La Cina si sta posizionando come uno “Stato quasi-artico”, avanzando interessi scientifici ed economici. Gli stati nordici promuovono approcci basati su valori, mentre il Canada naviga il suo doppio ruolo di Stato artico e Stato con una forte componente indigena. L’Unione Europea sta spingendo per un’agenda normativa sull’Artico, sebbene sia limitata istituzionalmente. L’Artico è quindi una regione multipolare e multi-attore, non una semplice contesa tra due blocchi.

Più nel dettaglio, cosa sta facendo l’Europa in merito?

L’Europa sta promuovendo una visione dell’Artico incentrata sul clima, almeno sulla carta. Nella pratica, il suo Green Deal si scontra con le ambizioni estrattive nell’Artico, in particolare per quanto riguarda le materie prime critiche. Gli Stati artici europei stanno anche rafforzando il coordinamento militare tramite la Nato, sebbene ciò riguardi più la politica dell’alleanza nel suo complesso che specifiche minacce artiche. Il ruolo dell’Europa è quindi complesso: propone quadri normativi, ma deve conciliarli con le proprie dipendenze materiali e implicazioni strategiche.

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Foto: Andy Wang / Unsplash

Cosa ci aspetta per il futuro?

Il futuro dell’Artico non è predeterminato, ma conteso. Potrebbe diventare un modello di cooperazione post-carbonio e pluralistica, oppure rispecchiare la frammentazione geopolitica vista altrove. Molto dipende dalle narrazioni che scegliamo di rafforzare: se trattiamo l’Artico come un inevitabile teatro di rivalità tra grandi potenze, finiremo per riprodurre quei meccanismi. Ma se mettiamo al centro la diplomazia, la governance indigena e la gestione condivisa, rimangono aperte altre possibilità.

Quali i rischi più grandi che corriamo?

I rischi più immediati sono il collasso ambientale, le disuguaglianze sociali e la frammentazione della governance. La militarizzazione non è la traiettoria dominante, ma la “securitizzazione” sì – ovvero l’inquadramento delle questioni artiche attraverso la lente della sicurezza nazionale – che può oscurare altre priorità come i diritti indigeni, l’adattamento climatico e la cooperazione transfrontaliera. Il rischio è che, nel rispondere alle “minacce”, ne creiamo di nuove.

Sicurezza globale dunque, ma non solo…

L’Artico non è solo uno spazio strategico; è un indicatore di come il sistema internazionale risponde a crisi planetarie sovrapposte. Se l’Artico diventa un luogo di dialogo, demilitarizzazione e governance ecologica, può contribuire a stabilizzare le fratture geopolitiche globali. Se invece non lo facciamo, potrebbe amplificarle.

Secondo lei, cosa bisognerebbe fare?

Abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma: dalla dominanza al dialogo, dallo sfruttamento alla cura. Ciò significa investire in istituzioni cooperative, dare priorità all’autodeterminazione indigena e resistere alla securitizzazione delle questioni climatiche e delle risorse. Significa anche mettere al centro gli abitanti dell’Artico, le cui conoscenze, esperienze e visioni sono troppo spesso marginalizzate nei forum internazionali.

Dall’Artico e dalla sua salvaguardia dipende d’altronde la vita stessa del pianeta e quindi del genere umano…

Esattamente. L’Artico è sia un regolatore climatico che una patria culturale. La sua protezione non può essere ridotta a semplici metriche ambientali, ma deve includere giustizia, diritti e buona governance. In un certo senso, il modo in cui governiamo l’Artico riflette il nostro approccio alla convivenza nell’Antropocene.

Qual è la mission dell’Arctic Institute e cosa fa nel dettaglio?

The Arctic Institute è un think tank indipendente che opera all’intersezione tra sicurezza artica, sostenibilità e giustizia. La nostra missione è sfidare i paradigmi dominanti (militarizzati, estrattivi o esclusivi) e promuovere una conoscenza che supporti la pace, la cooperazione e una governance umana e inclusiva. Produciamo ricerche interdisciplinari, facilitiamo il dialogo tra settori e confini e amplifichiamo le voci sottorappresentate, in particolare quelle dei popoli indigeni. Crediamo che l’Artico possa essere un modello per nuove forme di internazionalismo, ma solo se siamo disposti a ripensare il potere, la responsabilità e la legittimità.


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Vincenzo Petraglia

 

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