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Angela Morelli: prendo l’impronta (idrica) di ogni prodotto

di Metella Ronconi
24 Maggio 2010

Uno dei lavori della designer illustra la water footprint che ogni prodotto lascia sulle risorse d'acqua del pianeta per spiegare con immagini concetti difficili ma importanti

Ha illustrato il “totem della vera felicità”, una sintesi della visione di Herman Daly, padre della teoria dello sviluppo sostenibile e fondatore dell’economia ecologica. E ha contribuito a diffondere il concetto di Water Footprint, l’impronta idrica, che stabilisce il consumo d’acqua personale. Angela Morelli, una laurea in Ingegneria a Milano e un master in Disegno Industriale alla Scuola Politecnica di Design, lavora a Londra e insegna alla St Martins University. Dove sta sperimentando il design come progettazione della comprensione.

Angela Morelli, designerPerché hai deciso di specializzarti in Information Design?

Il lavoro nello studio di Isao Hosoe a Milano è stata un’esperienza positiva in un ambiente internazionale molto stimolante; questo mi ha spinto a trasferirmi a Londra e mettermi alla prova presentando domanda di ammissione al St Martins College. Mi sono chiesta cosa poteva differenziarmi dagli altri designer: indubbiamente la laurea in ingegneria che mi consentiva di arrivare alla comprensione dei dati attraverso un approccio scientifico. Così ho scelto l’Information Design che si può definire come la progettazione della comprensione, ovvero: semplificare qualcosa difficile da comprendere attraverso la visualizzazione.

Uno dei tuoi lavori più  importanti è stato il progetto The Global Water Footprint of Humanity. Di che cosa si tratta?

Avevo un anno di tempo per realizzare il mio ultimo progetto durante il master alla St Martins e ho iniziato a interessarmi alla water crisis, studiando il Rapporto delle Nazioni Unite dove sono raccolti tutti i dati mondiali sull’argomento. Dopo mesi di studio mi sono imbattuta in questo indicatore che si chiama Water Footprint (l’impronta idrica) sviluppato da Arjen Hoekstra sulla base del concetto di Virtual Water ideato dal professor Tony Allan, per il quale ha ricevuto lo Stockholm Water Prize 2008 (il corrispettivo del Nobel per questo settore). Li ho contattati e abbiamo iniziato a collaborare per visualizzare le Water Footprint di 132 Paesi.

Secondo me questo è stato un perfetto esempio di Information Design poiché non si è trattato di un lavoro commissionato, ma piuttosto i ricercatori hanno iniziato a utilizzare le mie mappe proprio perché, per la prima volta, qualcuno era riuscito a visualizzare i dati rendendoli più comprensibili.

Morelli Angela, COWChe cosa si intende per Virtual Water?

Per Virtual Water di un prodotto si intende il volume di acqua dolce consumato per realizzarlo, sommando tutte le fasi della filiera. Si parla di acqua “virtuale” perché la maggior parte dell’acqua utilizzata per realizzare quel prodotto non è contenuta nello stesso, ma è stata consumata durante la sua produzione. È interessante applicare il concetto di acqua virtuale ai prodotti agricoli (intesi sia come prodotti derivanti dalla coltivazione delle piante sia dall’allevamento degli animali), in quanto l’agricoltura assorbe circa il 70% delle risorse idriche utilizzate dall’uomo a livello globale.

Per fare degli esempi concreti: bere una tazzina di caffè vuol dire consumare 140 litri di acqua, mentre per ottenere un chilo di carne di manzo ne occorrono addirittura 15.500 litri.

Come dice il professor Allan, si tratta di un concetto che in qualche modo serve a “catturare l’invisibile”.

In seguito Arjen Hoekstra ha sviluppato questa teoria creando l’indicatore Water Footprint. Per valutare “l’impronta idrica” di un Paese si deve calcolare il consumo totale interno (l’acqua utilizzata per i consumi domestici, agricoli e industriali), sommare l’acqua virtuale che entra con i prodotti importati e sottrarre quella che lascia il Paese con le esportazioni. L’Italia ad esempio importa il 51% dell’acqua virtuale consumata, l’India appena l’1,5%.

Il suo progetto è stato utilizzato come documentazione alla Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite.
Sì, nel 2009 ha ricevuto il premio INDEX AIGA Aspen Design Challenge ed è stato pubblicato in un booklet distribuito durante la Conferenza sul Clima che si è tenuta lo scorso dicembre a Copenhagen.

Morelli Angela, TotemIl suo ultimo progetto grafico è stato il Totem della Vera Felicità…

Il compito era quello di sintetizzare in un grafico la visione dell’economista Herman Daly, fondatore dell’economia ecologica. La sua tesi di fondo è che, entro il 2020, le esigenze dell’uomo dovranno adeguarsi alle risorse del pianeta e non viceversa. La struttura del totem segue l’ordine delle azioni e rivoluzioni necessarie per arrivare a uno stato di “vera felicità”.

Con questo progetto ho vinto la Steady State competition indetta da Eco-Labs, un network di grafici e designers impegnati nella divulgazione di stili di vita e di pensiero ecologici. Il mio lavoro è stato anche selezionato per il libro IMAGES 34 – The Best of British Contemporary Illustration 2010.

Quali sono le sue previsioni per il futuro dell’Information Design?
Difficile dirlo perché l’Information Design è uno strumento che deve facilitare la comprensione e si può applicare a tutte le altre discipline. Si evolverà seguendo le esigenze degli utenti, quindi della società stessa. Penso al Service Design, la progettazione di servizi ponendo al centro l’utente, all’Exhibition Design, ma anche all’uso delle tecnologie più avanzate, come il touch screen, ai Musei Interattivi. Ci sono talmente tante applicazioni; oggi la tecnologia ci permette esperienze meravigliose.

E il suo futuro?
Per il momento sto lavorando con l’associazione Poverty Action; il progetto si chiama Chlorine Dispensers for Safe Water per il Kenya (l’acqua contaminata è la principale causa di due milioni di morti all’anno fra i bambini). Tra qualche mese sarà pubblicato anche il libro “Virtual Water” del professor Tony Allan, al quale ho collaborato realizzando le infografiche.

Morelli Angela, Segnalibro

 

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