L'architetto tedesco, esperto di "piani del verde" non ha dubbi: per lui un paesaggio urbano ben progettato contribuisce al benessere e alla salute degli abitanti, ridisegnando un rapporto equilibrato fra la città e il territorio. È quello che serve anche a Milano, magari proprio in vista del 2015
L’architetto paesaggista Andreas Kipar l’Italia la conosce bene. Si è trasferito dalla Germania a Milano 26 anni fa, e con Giovanni Sala, agronomo, vi ha fondato lo studio Land, acronimo di Landscape Nature Architecture Development. Fin dall’inizio il campo d’azione è la pianificazione urbanistica e territoriale, con i “piani del verde” come quelli di Ravenna, Reggio Emilia, Cagliari, della Repubblica di San Marino e Vercelli, il recupero delle aree industriali dismesse (Napoli, Torino, Venezia-Marghera fra gli altri) e piani strategici di area vasta, dal bacino industriale della Ruhr in Germania alla Brianza lombarda, dal Carso triestino, all’ Emilia Romagna e nella Valle del Sacco a Frosinone. Nella Milano che si prepara ad accogliere l’Expo 2015 lo studio Land si sta occupando della progettazione dei “Raggi verdi”, otto tracciati che dal cuore della metropoli si allargano verso il paesaggio provinciale circostante. Kipar è anche fra i fondatori di Green City Italia, l’associazione nata per la promozione di una nuova concezione dello spazio verde pubblico e privato e di un’innovativa filosofia “urbangreen” sostenibile, che migliora la qualità della vita.
Come stanno cambiando il modo di progettare e abitare lo spazio urbano e il paesaggio?
Profondamente. Sempre più siamo chiamati a pensare al paesaggio urbano, per questo servono risposte radicali di fronte a domande altrettanto radicali. Il paesaggio è l’elemento di vivibilità che garantisce condizioni di qualità della vita migliori e nel contempo integra il contesto esterno, come il territorio agricolo o boschivo, al verde urbano. E oggi il cittadino è prontissimo a riappropriarsi dello spazio e del paesaggio, sono le amministrazioni che non tengono il passo. Il problema riguarda principalmente il tempo delle decisioni, basti pensare che a Milano per piantare un albero servono un numero elevato di permessi, a New York visitando un sito web che fa riferimento all’amministrazione cittadina (www.milliontreesnyc.org) si può decidere dove farlo e quell’albero viene piantato. Inoltre in Italia non esistono format che definiscono tempi, modalità e obiettivi dai quali è possibile partire per lavorare in modo coordinato, strumenti intermedi che consentano di mettere in rete interventi diversi. Ci sono format pensati per i grandi eventi come i giochi olimpici o, a Milano, l’Expo 2015, ma non per gli interventi più ordinari. Il format consente la visione di lungo periodo, al contrario la mancanza di orchestrazione fra tutti gli attori rischia di far ottenere risultati non all’altezza delle potenzialità iniziali. A Berlino con la commissione “Tempelhof” lavoriamo da circa un anno su 300 ettari di territorio nel centro della città, con concorsi e dibattiti ben sapendo che nel 2017 si terrà l’ esposizione internazionale del paesaggio e nel 2020 una grande mostra dedicata a Berlino città capitale delle energie rinnovabili.
Progettare il paesaggio “dentro” la città vuol dire lavorare sulla trasformazione urbana di grandi aree dismesse. Che, spesso, devono fare i conti con un nemico in più, l’inquinamento del terreno…
Se le aree dismesse sono rimaste intercluse all’interno del perimetro urbano è necessario aprirle al contesto circostante e creare attraverso la progettazione del paesaggio un nuovo assetto in continuum con la città, così che un’area inizialmente di dieci ettari si “allarghi” fino a 30-40 ettari, grazie a una rete di connessione fluida con l’intorno. Esiste anche un secondo approccio che sfrutta il preverdissement, cioè la messa a dimora delle piante fin dalle prime fasi di realizzazione di un intervento e non a bonifica finita. Nel bacino della Ruhr mentre bonifichiamo il suolo, in superficie coltiviamo biomassa. Una distesa di colza o di mais consente di ottenere un fantastico campo giallo nel quale l’energia sostenibile anticipa i nuovi assetti urbani. La stessa riqualificazione ambientale diventa un progetto visibile che aumenta il valore immobiliare del terreno. Un conto è vedere un’area devastata e preclusa per anni, un altro un prato fiorito sul quale cominciare a impostare i primi lotti di un nuovo utilizzo: a Milano per esempio potremmo trasformare in campi energetici gli scali ferroviari dismessi.
Progettare il verde è anche lavorare su benessere e salute, da che cosa partire?
Puntare sulla piantumazione di alcune specie può aiutare a ridurre gli effetti dell’inquinamento atmosferico e le allergie. I cittadini sono sempre più allergici e occorre stare attenti, per esempio, a non selezionare piante che possono sviluppare pollini più di altre. Non dobbiamo cadere di nuovo nella trappola di realizzare giardini ornamentali, ma autentici paesaggi urbani che sono insieme giardino, parco urbano e piazza: la sfida è non fare un singolo intervento ma progettare l’insieme. In una città in continua evoluzione i tempi del verde come puro decoro sono finiti, la gente non cerca qualcosa di bello da guardare ma uno spazio nel quale essere attiva, basta pensare alla forte richiesta di orti urbani, giardini e aree gioco. Esiste un humus di cittadini che vuole intervenire ma oggi, ancora, non riesce a farlo perché non siamo del tutto pronti per passare da una situazione statica a una fluida e dinamica, l’unica che può consentire la partecipare più ampia e diversificata possibile alla fruizione del verde e del paesaggio.